Mastro Titta, il boia di Roma/Capitolo LXV
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La relazione col curato, così felicemente continuò, con molta soddisfazione dei tre contraenti. Da quel momento la casa di Domenico Valeri era sempre fornita d’ogni ben di Dio e il bravo marito si dimenticava sempre più frequentemente di dare a Michelina il denaro per le spese di casa. Questa d’altra parte aumentava il lusso de’ suoi vestiti e la ricchezza de’ suoi ornamenti. Il prete era ricco e generoso, la donna ambiziosa, il marito avido.
Non poteva quindi accadere diversamente.
Ma la cupidigia del merciaio aumentava continuamente e godeva nell’ammirare i gioielli, gli oggetti d’oro di cui sua moglie faceva pompa ma avrebbe però voluto pigliarsene una larga parte.
Una sera rientrando, dopo l’assenza di parecchi giorni, in casa, trovò Michelina a mensa, assisa davanti un desco, sul quale erano i resti della succolenta cena che ella aveva, come di consueto, fatto col curato. Ma il bravo prete se ne era andato perché alla mattina seguente doveva officiare prestissimo.
Il merciaiolo sedè allegramente a fianco di Michelina, e dopo averle dato un abbraccio, con tutto quel tanto di galanteria che teneva a sua disposizione, disse:
- Vediamo un po’ che cos’è rimasto di buono. Del pollo, del prosciutto, dei tartufi di Norcia, pizza di Civitavecchia ecc. bene, benone, benissimo.
E incominciò a mangiare a quattro ganasce, suscitando l’ilarità della sua sposa, che avendo alzato un po’ il gomito col curato, si sentiva in vena di tenerezze.
- Bevi, allocco - esclamava versandogli del vino; questo è di Grottaferrata asciutto, che aiuta la digestione. Poi c’è lì del moscato di Gradoli, che par...
- Piscio d’angioli?
- L’hai detto tu, sozzone.
Quando Domenico si fu ben bene rimpinzato di cibo e di vino, stimò giunto il momento di tenere alla sua pudica metà un certo discorso, che andava mulinando in testa da parecchi giorni.
- Dimmi un po’ Michelina, incominciò - il curato è generoso non è vero?
- Generosissimo.
- Non ti rifiuta mai nulla?
- Non ho bisogno neanche di chiedere, suppone che abbia un desiderio, non me lo lascia manifestare, lo previene.
- Brava persona! Prete modello! Curato eccellente! Dunque se gli domandassi qualche cosa, non te lo negherebbe?
- Che dovrei domandargli?
- Che so io? De’ quattrini.
- Me ne ha già dati di molti.
- Ah si? Quanti press’a poco?
- Guarda!
In così dire Michelina si alzò, andò al canterano, ne trasse fuori una cassetta fatta a mò di stipo antico, coperta di velluto, con ornamenti e borchie di metallo, si frugò nel colmo seno, e tirata fuori una piccola chiave, aprì il cassetto.
Il merciaiolo sbarrò gli occhi stupefatti e gridò:
- Ma qui ci saranno almeno tremila scudi.
- Lo credo bene.
E frattanto Michelina si divertiva a tuffare le mani bianche e grassottelle nelle monete d’oro: provava una specie di voluttà al contatto di quel prezioso metallo.
Domenico era diventato più pallido del consueto. La vista dell’oro gli cagionava delle vertigini, e più volte in pochi secondi aveva portato gli sguardi dalla cassetta alla punta di un coltello, che aveva servito per tagliar la pizza e giaceva ancora sulla tavola.
- È pericoloso tenersi in casa tutto questo denaro - disse d’un tratto.
- Perché?
- Perché si potrebbe sapere, sospettare e un bel giorno od una bella notte venirci a sgozzare in letto per derubarci.
- Sei impazzito?
- D’altronde il denaro ne’ cassoni non frutta niente, invece impiegandolo saviamente, si può ricavarne interessi.
- No, no! Esclamò Michelina, la quale non voleva saperne di distaccarsi dal suo tesoro.
- C’è un bel podere da vendere presso Macerata.
- Che ne sappiamo noi di coltivazioni?
- Si potrebbe comperarlo e subaffittarlo.
- No, preferisco tenermi il mio denaro.
- Ebbene, se ti piace aver del denaro da maneggiare, mettiamo un bel negozio da mercante: io smetterò di andar per le fiere e potremo fare una vita comodissima e da buoni borghesi.
- Neppur questo mi va. Finché c’è il curato di quattrini non me ne mancheranno: dopo ci penseremo.
Il Valeri tentò con altre proposte di rimuoverla dal proposito di tenere i suoi cespiti morti, chiusi nel canterano. Ad ogni nuova insistenza Michelina diventava più inflessibile e mostravasi per giunta seccata dei discorsi del marito. Questi dovette quindi persuadersi che per il momento non c’era a far nulla, propose di coricarsi e Michelina consentì.
Il letto era come di consueto, quando il curato cenava in casa dell’amante, preparato con grande cura, colla biancheria pulita e più fina, e ben sprimacciato. La donna satura di voluttà vi entrò e Domenico dietro di lei, ma troppo turbato per pensare a sovvenire ai bisogni fisici della moglie, la quale dopo aver atteso invano qualche carezza almeno, profondamente si addormentò. Il merciaiolo invece non poteva chiuder occhio: aveva sempre dinanzi a sé la cassetta e la mano di Michelina, che rimuginava le monete d’oro.
Passarono così lunghe ore. La testa di Domenico s’era mutata in un vulcano, gli martellavano le tempie, aveva la bocca e la gola arse dalla sete; pareva in preda ad un violento attacco di febbre. Ma a forza di volontà riuscì a dominare sé stesso, a riacquistare una tranquillità relativa ed a riordinare le sue idee.
- Colle buone, pensava, io non riuscirò mai ad ottenere nulla da questa baldracca. Essa continuerà a spillar quattrini al prete e ad accumularli. Ma chi mi assicura che non verrà il giorno in cui, presa da una passione imperiosa per qualche giovane mascalzone, non si faccia mangiar tutto da lui? Chi mi assicura che quando si sarà fatta un capitale sufficiente a vivere in una comoda agiatezza, non mi mandi all’inferno, e se ne vada a vivere da sé? Così dovrei sopportare il danno e le beffe. No, bisogna sopprimerla. Tremila scudi di patrimonio li ha, un altro migliaio di scudi almeno valgono i suoi gioielli. Con questa somma un uomo solo può vivere senza affaticarsi, e godere. Aspettare più oltre sarebbe una pazzia.
Entrato in tal ordine di considerazioni, il merciaiolo non si fermò. Formò un piano di guerra, confuso sulle prime, ma che andò man mano precisando ne’ più minuti particolari, colla riflessione.