Mastro Titta, il boia di Roma/Capitolo LVIII
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L’effetto della missione assuntasi dalla signora Facenni fu che il suo consorte uscì dai gangheri, la trattò da mezzana e peggio, licenziò il maestro e ordinò a Giovanni di buttarlo dalle scale, se avesse osato di ripresentarsi. Quell’ordine fu per Binzaglia come una rivelazione. Egli aveva già notate le assiduità di Corrado, e le deferenze di Elsa per lui; ma non ci aveva dato soverchio peso. In quel momento gli ritornarono alla mente tutte le piccole intimità che aveva sorprese fra i due, si convinse che la loro relazione non doveva essere stata troppo innocente; diede ad essa una portata molto superiore al vero.
E la sua fantasia erotica si accese per modo da concepire per il maestro un odio accanito. Gli pareva di essere stato truffato da lui. Se c’era un frutto proibito da godere in quella casa, doveva essergli riservato. Risolse per tanto di esercitare la più attiva vigilanza e di cogliere l’occasione, non appena gli si presentasse, per prendere la rivincita.
- Un bocconcino di quella fatta cadere in bocca di quell’allampanato - mormorava, in preda ad un eccesso di cordoglio. Oh! me la pagherà!.
Elsa non appena fu informata dalla madre dell’infelicissimo esito della missione assuntasi e del licenziamento del maestro, anziché perdersi in querimonie o dare in inutili smanie, deliberò di giungere, per qualsiasi strada, al conseguimento dei suoi desideri.
La sua tranquillità ingannò i di lei genitori, che la supposero più ragionevole di quanto era a sperarsi.
Elsa trovò modo di mettersi in corrispondenza con Corrado, per mezzo di una vecchia cameriera, mutata in messaggera d’amore. Ma Giovanni vigilava e presto fu informato di tutto.
- Tu t’affatichi troppo - disse un giorno alla vecchia per portare al maestro le lettere della signorina.
- Che ne sapete voi?
- So quanto basta, e siccome mi fai pena, mi incaricherò io della bisogna, per puro amor del prossimo, lasciandone a te i proventi.
La vecchia non amava di meglio e di grand’animo consentì alla proposta del domestico. Per tal modo il Binzaglia conosceva per filo e per segno i progetti dei due amanti, perché prima di consegnar le lettere si faceva un dovere di leggerle. Elsa aveva proposto a Corrado di rapirla; ella porterebbe con sé le sue gioie e un migliaretto di scudi che aveva risparmiato sul suo spillatico. Questo avrebbe bastato a farli vivere, senza stenti, finché placata l’ira paterna, le nozze, diventate indispensabili per riparare l’errore commesso, sarebbero state consentite. Il maestro sulle prime mostravasi riluttante: ma alla perfine aderì al progetto. Approfittando della illimitata libertà che godeva in casa, Elsa fece tutti i suoi preparativi. Mandò all’amante le gioie, il denaro e tutto il corredo della sua biancheria e de’ suoi vestiti.
E finalmente fu stabilito il giorno della fuga.
Doveva aver luogo sull’albeggiare. Elsa sarebbe uscita dal palazzo per una porticina di servizio, della quale si era procurata la chiave. Corrado doveva attenderla poco lontano, con una carrozza di posta, che li avrebbe condotti a Firenze.
La sera della vigilia affettuosamente più del consueto baciati ed abbracciati i suoi genitori si ritirò per attendere l’alba, con ansia indescrivibile.