Mastro Titta, il boia di Roma/Capitolo LIX

Capitolo cinquantanovesimo - Il dolce nido - Dubbiezze

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Elsa si era ritirata nella sua camera da letto, un piccolo nido di colomba, nella quale la semplicità e l’eleganza si fondevano con felicissima armonia. Nel fondo il letto piccolo, quale conveniva ad una fanciulla, con cortinaggi di merletto, sormontati da altre tende di seta rosa tenuissima, quasi bianca, perfettamente simili ai panneggiamenti della porta e della finestra. Una toletta del secolo XVII, pure a cortinaggi bianchi, con servizio d’argento cesellato e porcellana pompadour. Un piccolo scrittoio di legno di rosa intarsiato, con madreperla. Un grande armadio a specchi, riccamente scolpito. Sedie e poltroncine coperte di velluto e di broccato, completavano l’arredo della stanza.

Elsa aveva licenziata la vecchia cameriera, ed avvolta in un accappatoio di finissima battista trasparente, s’era seduta allo scrittoio e andava tracciando sulla carta delle piccole zampe di mosca, colle quali intendeva partecipare ai suoi genitori i motivi che l’inducevano a lasciare il tetto paterno e quali erano le sue intenzioni per l’avvenire. Ma convien dire che le parole non corrispondessero perfettamente al suo pensiero, perché aveva già incominciato parecchie volte la lettera, e giunta a mezzo se l’era ripetutamente fatta a brani.
Pareva agitata da sinistri presentimenti. Se suo padre indignato da quella fuga che troncava tutti i suoi sogni di ambizione non avesse voluto assolutamente saperne più di lei? Poteva ella fare assegnamento sull’affetto della madre, ma questa non aveva tempra d’animo energico e non avrebbe mai trovato in se stessa il coraggio necessario per contrariare gli ordini del marito. E d’altra parte chi la assicurava della lealtà di Corrado? Chissà se egli, sbolliti i primi entusiasmi, non trovando più in lei la ricca ereditiera, non l’avrebbe abbandonata? Che ne sarebbe avvenuto di lei, sola al mondo in terra straniera, lungi dalla sua casa, da tutte le cose e le persone che aveva fin dall’infanzia imparato ad amare? Vinta da queste paure, ella si attaccò al cordone del campanello, per chiamare la cameriera. La vecchia comparve sulla soglia della porta, pochi momenti dopo, già mezzo assonnolita e in una toletta notturna, che moveva al riso.

- Che vuole la signorina?

- Non lo so - disse essa sbadatamente, seguendo il filo de’ suoi pensieri.

- Le occorre qualche cosa? Vuole che rimanga a tenerle compagnia, fino al momento della partenza?

Questa offerta, richiamò la fanciulla alla realtà della situazione.

- Credi tu che io faccia bene o male ad andarmene? - chiese francamente alla fantesca.

- Signorina, ella non mi ha mai rivolta prima d’ora una simile domanda.

- Ebbene?

- Io l’ho accontentata per quell’affetto che le ho posto fin da quando la ressi bambina sulle braccia. Se mi avesse domandato consiglio prima ne l’avrei forse dissuasa?

- Ed ora?

- Ed ora non saprei. Al punto cui sono giunte le cose sarebbe strano retrocedere. Ma dal momento che la signorina esita, vuol dire che non è più dominata da quella passione indomita, irremovibile, che la trasse all’audace proposito.

- È vero - mormorò essa. E quasi per riscaldarsi, per ravvivare la fiamma del suo amore, trasse da un tiretto dello scrittoio le ultime lettere inviatele dal maestro e si diede a rileggerle ansiosamente, dimenticando la cameriera, che stava ad aspettare e non osava né di interromperla, né di andarsene.

D’un tratto Elsa alzò gli occhi sopra di lei e vedendola in quell’atteggiamento, presa da’ brividi, si alzò, andò alla vecchia e abbracciatala, le disse:

- Quello che è deciso, è deciso. Tu perorerai la mia causa, non è vero?

- Certamente, se non mi metteranno sulla strada.

- Non temere: ti scagionerò completamente. Va pure a coricarti.

La cameriera non se lo fece ripetere.
Elsa, tornò allo scrittoio, vergò la lettera a’ suoi genitori, affettuosa, ma energica e perentoria nel frattempo. La piegò con mano sicura e la suggellò; quindi toltasi la vestaglia si avviò verso il letto per coricarvisi.