Mastro Titta, il boia di Roma/Capitolo LVII
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La relazione amorosa dei due giovani incominciata sotto così felici auspici progredì rapidamente; ma non varcò troppo i limiti del lecito e dell’onesto. Corrado avrebbe potuto avere la fanciulla in sua piena balìa, solo che lo avesse voluto. Ma la sua passione non andava disgiunta da calcoli profondi ed eminentemente pratici. Elsa era leggiadra, passionata, cara, ma la sua dote e le speranze dell’avvenire non mancavano di grandi attrattive. Possederla gli avrebbe procurato una soddisfazione deliziosa, ma passeggera. Condurla in isposa avrebbe invece assicurata, colla sua fortuna, una perenne felicità. Un’ereditiera milionaria, anche essendosi permessa di sfogare qualche capriccio, non avrebbe mancato di aspiranti alla sua mano. Bisognava diffidare dei suoi slanci, bisognava contenersi, bisognava trarla al punto di volerlo ad ogni costo per marito. I genitori l’amavano ed erano ricchi abbastanza per assicurare ad entrambi un’esistenza beata, una vita largamente signorile.
La riservatezza di Corrado irritava sempre più la fanciulla. Mille volte gli si era gettata nelle braccia e mille volte egli l’aveva dolcemente, ma coraggiosamente respinta.
- Io ti adoro come una santa - le diceva spesso - e per nulla al mondo verrei meno al rispetto che ti devo.
Che orribile seccatura è mai il rispetto degli uomini per una fanciulla - diceva a se stessa Elsa, e aggiungeva forte: - Io vorrei essere amata da te, un po’ meno come santa, e un po’ più come donna.
Corrado non rispondeva.
Un giorno finalmente l’allieva disse al maestro: - Perché non mi chiedi in isposa a mio padre?
- Perché non mi garberebbe di essere costretto a fare un salto dalla finestra.
- Forse non hai torto... Mio padre accorda un gran valore al danaro, perché dice di averlo guadagnato con sudore. Ma, se realmente mi ami, è un’alea che è necessario correre.
- Perché non gliene discorri tu?
- Per la ragione identica.
- Rivolgiti a tua madre.
- Conta assai la mamma!
- Pare ti porta molto affetto.
- Non lo nego, ma...
- Almeno ella potrà esplorare l’animo di tuo padre e predisporlo alla richiesta.
- Forse non hai torto... Gliene parlerò questa sera stessa.
E come disse fece.
La sera medesima, non appena levata la mensa della cena, essendosi il signor Facenni ritirato, Elsa abbordò la sua genitrice con una domanda a bruciapelo:
- Che te ne pare, mamma del maestro?
- Mi pare bravino assai.
- Non è questo che ti chiedo.
- Spiegati meglio allora.
- Che te ne sembra? Come uomo.
- È un bel giovane.
- Non è vero? Sarebbe fortuna per una donna pigliarlo per marito.
- Se avesse a darle da mangiare.
- Una posizione non gli può mancare: ha tanto ingegno. La sua opera deve essere un portento. Quando l’avranno messa in scena gli procurerà di punto in bianco la celebrità.
- Se non gli procurerà una raccolta di torsi di broccoli.
- Mamma, ti beffi di me?
- Di te? Perché mai, figlia mia?
- Perché l’amo, l’adoro, voglio sposarlo, sarò sua moglie, o andrò a chiudermi in un chiostro.
- Lo prevedevo! - esclamò la signora Facenni, tirando un profondo sospiro dal petto. Domani ti porterò a confessarti da padre Agostino. Penserà lui a levarti le ubbie dal capo.
- Lo voglio! Lo voglio! Non c’è padre Agostino che tenga! Lo voglio - gridò la fanciulla pestando i piedi. E se non me lo date mi ammazzerò.
Questa crudele minaccia atterrì la povera signora.
- Giusto Cielo! - esclamò. - Mi punisci di qualche colpa? L’affare è più grave di quanto pensavo.
- Dunque?
- Che vuoi che ti dica, Elsuccia mia, parlane tu stessa a tuo padre.
- Devi farlo tu.
- To!... Non mi lascierà finire. Lo conosco bene. Ti adora. Ma ha le sue idee di grandezza: vuol fare di te una principessa, una duchessa, una marchesa almeno. Su questo punto non transigerà mai.
- Non è la ricchezza che forma la felicità di due sposi.
- L’ho udito dire anche questo; ma ci credo poco. D’altra parte non è questione di ricchezza. Se ti fossi innamorata di un nobile, disperato come Giobbe, ma di grande casato, saresti certa di ottenere il suo consenso. Ha delle ambizioni tuo padre.
- Se non diventerò contessa, diventerò moglie di un maestro celebre, come Rossini, come Morzat.
- Non è pane pe’ suoi denti.
- Insomma, mamma mia, se mi vuoi bene se desideri che io viva, fatti in pezzi per persuaderlo.
- Mi proverò; ma senza speranza.