Terza parte

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II Appendice


Dessi vorrian vedere diritto il muro
alla fiumana che continua cresce,
per celar l’avanzarsi del futuro.
Potenza è quella che straripando esce
e frantuma le chiese e dogmi e dei,
vaso di scienza che in sapienza mesce.


Cesare Cantù nel narrare come Socrate alcune volte passeggiando con gli amici si arrestasse col dire di avere udito il démone, così si esprime:

“È impostura? È debolezza? Noi rispettiamo la credenza di queste comunicazioni dell’uomo con gli enti superiori, che troviamo fino alla culla dell’umanità, e che i secoli di maggior luce, anzichè negare, s’ingegnano di spiegare. E forse l’età nostra sta facendo un gran passo verso la rivelazione di quei misteri”.

I pensatori dunque riconoscono che i problemi dell’immortalità stanno per sciogliersi, nove decimi dell’umanità sono spiritualisti, essi credono a quest’esistenza dell’anima, alla sua personalità dopo che l’organismo materiale per causa della morte, si dissolve.

Li spiritisti invece di appoggiarsi a ragionamenti metafisici, a miracoli, a libri rivelati, credono che dei fatti suscettibili all’osservazione ed all’esperienza provino l’esistenza dello spirito, che non si estingue con la morte del corpo ma continua ad essere, non in mondi immaginari, ma in questo spazio dove noi viviamo, in queste moli che si chiamano stelle progredendo sempre in sapienza e perfezione.

Se ciò è vero, nessuno può impugnare i benefizi della grande scoperta, e riconoscerla come un bell’avvenimento dei nostri tempi. Essendo i fatti manifestazioni sensibili, osservabili e verificabili, e potendosi riprodurre costantemente con mezzi accessibili a tutto il genere umano, fino a prova contraria gli spiritisti affermano, che le anime dei nostri trapassati, vivono intorno a noi, possono mettersi in rapporto con le persone che lasciarono, e confortarle.

È detto che i fatti esistono, se essi sono quali si presentano, quali si osservano, l’avvenire appartiene allo spiritismo; se con ragioni più forti di quelle fino a quì esposte, si proverà che i fenomeni provengano da cause differenti, allora sparirà lo spiritismo senza la necessità di dir sempre che coloro i quali condussero la mente umana a questo studio furono degl’idioti e dei furfanti.

Al presente stando anche a quei fenomeni che non si negano, cioè alle tavole che si muovono, ai picchi che si ascoltano, quelli danno la dimostrazione che un agente dotato d’intelligenza e di volontà ha il potere di disporre delle forze cosmiche che lo circondano, di servirsi di queste per comunicare con noi, di rispondere a questioni a lui rivolte o emetterne delle proprie. Un agente che ha intelligenza e volontà, non può chiamarsi che un essere, dovendosi riconoscere in quello una personalità, benchè non rivesta organismo corporeo, a meno che non sia il Diavolo, per chi lo crede.

Da questo si può facilmente spiegare, perché l’uomo sia stato portato a spingere gli sguardi oltre i limiti del mondo sensibile; non sodisfatto delle infallibili rivelazioni, batte l’ala del pensiero per vie inesplorate, e vuol sapere, saper sempre, senza mai cessare.

L’uomo come viene definito anche dai biblici, rappresenta il più grande atto della creazione. Egli deve le sue conquiste a sforzi continuati, ed acerbe lotte a corti riposi. È il Prometeo della favola, che vuol rapire il fuoco celeste, liberarsi dai legami che gli cinse il mistero, vuol sapere perché vive, dove e come. Alle molte domande gli rispose la fede, poi questa mascherata dell’impostura cambiò foggia e parola, e la disillusione fe’ ricadere nel dubbio l’irrequieto spirito umano.

L’umanità assiste giornalmente a gente che viene a gente che va, fra la culla e la bara un’interruzione di tempo, corto periodo che si denomina vita.

Che gli uomini più elevati abbiano presentito che lo spirito esiste senza averne le prove, lo attestano i loro scritti, ispirati al più alto concetto della vita futura. Mazzini è un esempio; nelle sue opere minori di Dante al Vol. 4.o, con vero slancio sublime così scrive:

“Tergete le lacrime o voi che piangete, le anime che vi amarono e che voi amaste sino all’ultimo momento della loro esistenza terrestre, sono scelte a ricompensa del loro e del vostro amore, a vegliare su voi, a proteggervi, a sollevarvi di un grado più presso Dio nella serie delle vostre trasformazioni progressive. Foste mai, in qualche momento solenne, visitati subitamente, isperatamente, da una intuizione, da un pensiero, da un lampo di genio, da un raggio più luminoso dell’Eterno Vero? Forse vi lambiva la fronte un alito dell’essere che più amaste e che più vi amò. Sentiste mai, quando stanca l’anima di delusioni, erravate tremando, quasi per freddo sotto il tocco gelato del dubbio, il rapido calore di un pensiero d’amore e di fede scaldarvi il cuore a novella vita? Forse era un bacio della madre vostra che voi piangevate estinta e che sorrideva del vostro errore”.

È questa la stessa dottrina che porge lo spiritismo; è la conferma di una speranza. Non è vero che l’influenza morale di queste convinzioni affievolisca l’anima, che annichilisca l’attività; essa non avvolge l’uomo nel mistico velo del fatalismo per porlo al di fuori del moto, per produrre degli anacoreti che si percuotono il petto, o degli oziosi che si rifugiano nella quiete dei chiostri. Non fa disprezzare la terra per pensare alle gioie di un Paradiso, formando degli esseri inutili, contemplativi, che antepongono l’estasi infruttuosa all’attività che rigenera. La vita non procede per una pianura monotona, ma avanza per una montagna rocciosa, faticosa e piena di perigli; l’anima si fortifica nell’attrito, e le cime sono raggiunte da colui che seppe vincerne le difficoltà degli ostacoli. Essa non ha per impero che l’Universo, ed ha il diritto di frugare là dentro; chi le consiglia di arrestarsi non può avere che le credenziali dell’ignoranza, o gli attributi della perfidia.

“Io dormendo sognava, che la vita è bellezza, svegliato vidi che la vita è dovere”. Questo detto di Emanuele Kant, è bene il rammentarselo spesso, ed è ciò che ha prodotto i grandi benefattori dell’umanità gl’inventori sublimi.

È dovere di tutti di essere sempre là dove si compiono i destini dell’uomo; di riconoscere i benefizi di tutti quegli umanitari che si chiamino Galileo, Archimede, Linneo, Dante, Raffaello, Rossini, o pure Cristo, Confucio, Vincenzo di Paola, poichè se nei primi vive l’ideale della scienza e delle arti, spira negli ultimi un immenso amore per l’umanità; pionieri più o meno fortunati che preparano il terreno al moto pesante delle moltitudini.

Scienza e storia sono le nostro maestre, il genio antico vive per noi in pagine immortali, in maestosi monumenti; l’avvenire nella forza che abbiamo di convinzioni che conducono al bene.

Dall’India ai nostri tempi vibra un immenso raggio, ed in esso vediamo sparire e ricomparire la civiltà, nei colossi d’Egitto, nei monumenti della Persia, nelle dispute della Giudea; fra le ruine di tante città lo sforzo umano si ammira anche nel silenzio delle rovine.

Lo spiritismo lunge d’incatenare il pensiero al carro del dogma, vuole la sua libertà, l’amore fra gli uomini, il trionfo della ragione; esso afferma che i progressi dell’intelligenza umana senza alcuna distinzione nè eccezione sono il frutto delle fatiche, dei sudori, dei lavori dell’umanità intera. Forte contro il caos delle opinioni, nasconde il focolare dell’unità, sostituisce al motto cristiano, che un giorno i primi sarebbero gli ultimi e gli ultimi i primi, quello che tutti saremo eguali.

Nel grandioso dramma dell’umanità si apprese quanto ha potuto l’amore e la morte, l’amore con i suoi entusiasmi, la morte con i suoi terrori; l’uno eterno canto dei poeti, l’altra severa maestra di filosofi. Il dilemma dell’essere o non essere, sta per comprendersi; ci arresteremo noi sul cammino? Ascoltammo le voci dei profeti che si lamentavano sulla città incenerita; la parola del Nazzareno pronunziata sui laghi di Galilea; ma questi non dissero tutto, che l’umanità tante cose apprese nel succedersi delle generazioni per il corso di diciotto secoli.

Con le grandi scoperte l’umanità ha rimpiccolito la terra ma ingrandito il cielo; ha misurate e pesate le stelle, ha decomposto la luce, ha divinato che in quelle solitudini dove tutto appare in riposo, in quei punti che luccicano sopra un fondo nero, regni la vita, con delle umanità, che non a torto vennero chiamate sorelle. Ha presagito che nulla muore, ma tutto si trasforma; l’età succede all’età, e non altro concetto nascosero gli avi nel fondo delle loro tombe.

E per ultimo diciamo a quegli uomini che non vogliono cedere, e pretendono di conservare la superstizione dopo che la fede fu scossa, diciamo apertamente che la ragione ormai emancipata, combatte la colpa ma col dimostrarne la responsabilità, demolisce il Satana, trista figura del Medio Evo per la riabilitazione mediante l’espiazione e non per la Grazia, il vendicatore Jehova, ideale degli schiavi, definito in un Architetto di grandi leggi, immutabili come il suo pensiero, non soggetto a pentimenti e furori.

Tra le infallibilità che ruinano non ha più forza l’autorità delle vecchie leggende; le scissure religiose scuoprirono le vicendevoli colpe, e dettero campo di analizzarne gli effetti; il quotidiano esempio svelò la cupidigia del sacerdozio.

E a quel dire, che allo spiritismo si danno in braccio quegli uomini bramosi di novità, di eccitanti, di portenti, quando sono privi di una fede chiara e salda; rispondiamo che se lo spirito umano è irrequieto e peritante, ciò non succede perchè egli abbia abbandonata la verità, ma perchè sa e per lo meno sospetta di non averla ancora posseduta, se non in misura assai microscopica, ed è naturale adunque che spinga lo sguardo a cercarla con ansia, trepidazione e circospezione.

In ciò al disopra delle pretese rivelazioni sta il divino intuito che ogni uomo infiamma, e questo, latente resta negli uni, brucia in altri, e finalmente nei giganti, scoppia. È allora che le superstizioni sieno pure venerate e venerabili per età o per ragioni di fini, cessano di essere ostacolo alla umanità, cedono all’impeto dell’esplosione, e l’uomo avanza un passo, fa un gradino lungo la scala infinita delle sue perfezioni. Egli è certo che in questo lavoro dell’umanità collettiva, chi non vi rimanga personalmente estraneo, concorre in proporzione della propria istruzione, ma più specialmente dall’intelligenza e dalla sua naturale attitudine ed ingegno, ed è su questo ultimo dato che vuolsi calcolare la interminabile forma dei prodotti umani.

Si vede allora sfilare innanzi gl’ingegni positivi, i quali occupandosi sol di ciò che è suscettibile di peso, di numero e di esperimento, trovano le leggi della scienza esatta: si vede successivamente sfilare una turba innumerevole di altri esseri che riempiendo lo spazio che si diparte dal suddetto estremo si arriva a quel genere d’ingegni mistici, estremo opposto, i quali sol spinti da arcano sentimento, sempre però naturale, rivelano nozioni che non sono alla scienza competenti, ma che però s’impongono come sempre, e come sempre non vengono adequatamente intese e utilizzate.

È prodotto di questi ultimi ogni sistema religioso che fin qui conosciamo, ed è su tali fondamenti che tanta mole si sostiene. Tra i falli arroganti, fra le ridicole presunzioni dell’orgoglio umano, la Divinità immobile sta; nel grande atto della creazione, problema sempre aperto al sagace esercizio dell’intelligenza umana, Dio non scese mai alla creatura a far la dimostrazione delle sue leggi, nè sostituire in siffatti impieghi, nè profeti, nè messia, nè medium, nè pastori.

In tanti sobbalzi affannosi noi camminiamo; se ripetuti colpi ci giungono, diciamo francamente che non si teme ciò che può architettare la dotta calunnia, nè quello che può mormorare una lingua beffarda; alle sfacciate mene di certi preti di tutti i culti opporremo una tenacità cui nulla infiacchisca, non irosi ma neppure servili, non temerari ma neppure deboli, non andremo incontro a dispute indecorose, nè biascicheremo il calcagno di chi vorrebbe calpestarci.