Lo schiavetto/Atto secondo/Scena III

Atto secondo - Scena III

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Schiavetto, e Rondone

Schiavetto.
O Rondone, Rondone, si suol dire che ’l rondone è uccello inestancabile, sempre per l’aria agitandosi; ma tu hai il nome di Rondone e il volo da poltrone, e stracco se’, per così poco viaggio? Da Fano a Pesaro v’è pur molto poco.
Rondone.
Tu vuoi la burla, pare a me. Ti dico che ho nome Rondone, ma non Rozzone, o cavalaccio da soma! Tu vuoi ch’io porti questo cofanetto de gl’imbonimenti su le spalle, e mi pesa; e quel camminar dietro alla marina per quella arena, oltre ch’io sono zoppo, m’ha segate le gambe. E poi non ho altro che questa camisioletta rossa su la carne, e il vento mi s’è ficcato così nelle coste, che ti so dire che per ismaltirlo ci vorranno molti sospiri selvatichi.
Schiavetto.
Pur io sono vestito da schiavo, come te, ben che un poco più nobilmente, e tanto il vento non m’ha traffitto.
Rondone.
Oh ? Sta’ cheto, ch’io voglio questa sera toccar tanti dinari, che voglio che i fazzoletti, tirati e annodati, facciano parer l’aere ingombrato di neve, quando al verno ella cade dal cielo a lenzuola stracciate.
Schiavetto.
O che Rondone astuto! E come vuoi fare?
Rondone.
Io voglio avere un poco di polvere in un cartoccino e voglio dire (con i nostri giuramenti soliti) che quella bevuta fa tirar coreggie; e soggiongendo dirò: «Signori, voglio che l’esperienza parli!». Ciò detto, io la berrò. Ora, perch’io sono pregno di quel vento preso dietro alla marina, e che le coreggie nel (voi mi intendete) mi fanno come i fagioli nella pentola quando bollono, non così tosto, ch’io l’averò bevuta, comincieranno a voler uscire. Io allora darò loro licenza e, con riverenza, a tempo a tempo, e ad una ad una, e ora a dua a dua, e anche a tre a tre, darò a credere d’avere una mano di moschettieri nel culo.
Schiavetto.
Affé, già sento che la polvere del moschetto puzza.
Rondone.
Eh? Tu t’inganni! Voleva ben io scaricare, ma la canna non ha preso fuoco, è stato solo il polverino. Ma odi, di grazia: allora, dico, che gli ascoltanti sentiranno l’effetto e che testimonianza piena n’avranno da duo sensi principali, naso e orecchie, allora, dico, alcuno non sarà che crepando dalle risa non annodi il fazzoletto per comperarne.
Schiavetto.
O caro Rondone, se tu con le tue molte facezie non mi apportassi qualche gusto, io sarei ormai per tanto disperarmi divenuto la disperazione istessa.
Rondone.
Or non sai qual mezo senza di me è bastante a trar la disperazione da i cuori disperati? Tre braccia di fune attaccato ad un trave, legatoselo al collo e tirar tanto, che la disperazione, non potendo di sopra, di sotto se n’esca. E sai come io ti posso servire? Guarda questo staffile di canapo, è la vera triacca per ogni goloso; e io per amor tuo il boia con ogni maggior delicatezza ti prometto di fare.
Schiavetto.
In vero, ch’altro che di carnefice tu non hai aspetto.
Rondone.
Saper bisogna ancora che far torto non posso al mio parentado, nel quale discende per trentasei gradi questo ordine di boia, e per dirtela, mio padre era boia, e boia sono stati tutti i miei signori fratelli maggiori.
Schiavetto.
Per vita mia, che s’io ti credesi tale, che in oltre il caricarti di villanìe, vorrei con questa freccia passarti da un canto all’altro.
Rondone.
Dico che parlo su’l saldo, e aggiungo che più volte, per non mi domenticare l’ufficio, m’è saltato chiribizzo d’appiccarti! Oh polastrotto da essere empiuto, si vede bene che tu le tò su, come l’uomo te l’appresenta! Io burlo, io burlo, so che tu l’avevi creduto, eh?
Schiavetto.
Piano, piano, parla con la lingua, e non mi toccar il volto con la mano.
Rondone.
Uh? Salvaticotto senza pelo, e che, avete paura?
Schiavetto.
Non ho paura, ma non istà bene.
Rondone.
Lasciamo questo, poiché vuoi così; non tocchiamo, ma parliamo. Dimmi un poco, e quando ti vuoi risolvere di dormir meco? Sono tanto pauroso, ch’ogni topo mi sgomenta.
Schiavetto.
O che sempliciotto! Ditemi, in grazia, e’ vi pare, o ’l mio furfantone, ch’io debba dormir con voi?
Rondone.
Ma caro signor gentiluomo senza giuppone, vi dirò: s’io parlo in questa guisa, lo fo solo perché, quando arriviamo tardi a gli alloggiamenti e che perciò sono piene le letta, o che uno per lo meno vòto si ritrova, subito dite: Rondone alla paglia! Vi arricordo che anch’io sono di carne tenerella, vedete.
Schiavetto.
Rondone, me n’avvedo, questo è uno andare in infinito. Qui v’è una osteria, e dal di fuori mostra d’essere nel di dentro molto capace; qui senz’altro si averà un buon letto per uno, stattene allegro.
Rondone.
Oh? Adesso discorete bene, mentre ne’ riposi così mi chiamate, come nelle fatiche. O dall’osteria! olà, o dall’osteria, dico!