Lo schiavetto/Atto secondo/Scena IV
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Giovan Battista Andreini - Lo schiavetto (1612)
Atto secondo - Scena IV
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Succiola, Schiavetto, Rondone
- Succiola.
- Oh? che domine sarà cotesto sguaiato? Poss’io morire dalle formiche manucata, s’in quest’otta i’ non fo dir di mene! Oh? che gente è cotesta?
- Schiavetto.
- O questa è una bella massarotta! Mi piace, da quello ch’io sono.
- Succiola.
- Saiviastrella col sale, cotesto è un bel colombaccio, non so se vada cercando la fava. Ohimène, come tutta mi ringalluzzo.
- Rondone.
- Uh uh? La cavalaccia ha veduta la biada, non è così, monna Ghita dalle poppe sudice?
- Succiola.
- Do’, zoppo spiritato, che ti sia fritto il fegato! Che ha’ tu detto? di’, sù, scarpello da intagliare i piè di’ bue.
- Rondone.
- Meglio era dire, da intagliare i piè di vacca, che con i vostri mi davi occasione di farmi eterno.
- Schiavetto.
- O bel contrasto.
- Succiola.
- Sa’ tu, che se non chiudi quella boccaccia fetida che ci cacherò dentro?
- Rondone.
- Do’, visaccio da venire a capo, che sì che sì, che ti do il taglio con le pugna?
- Schiavetto.
- Or sù, non più, dich’io!
- Succiola.
- Eh? Lasciate pur che m’uccelli. Vedete, egli l’ha errata a cotesta fiata. I’ son da Firenze e ho la lingua arrotata di fresco, dica pure, i’ so cicalare quanto lui.
- Rondone.
- E io holla pure or ora arrotata e datole di più il filo con la pietra da olio.
- Succiola.
- Or sù chetati, arrovelato! chetati, sudicio! chetati, baccelone! chetati, popon frasido! chetati, manico di pinco!
- Rondone.
- Oh? Vedi, adesso non ti risponderò, perché non t’ho intesa.
- Schiavetto.
- E madonna, non parlate seco, ch’è così burlevole, ma attendete a me.
- Succiola.
- S’è treschevole fiasi per sé, che, per monna Sandra, se mi fa infantastichire e infreneticare, si sarano raccozzati in mal punto. E credami che averà trovato sonaglio per la sua gatta.
- Rondone.
- O che scommunicati proverbi.
- Succiola.
- Iscomunicato se’ tu briccone, nato di becco.
- Rondone.
- O ruffiana poltrona, una pianellata, eh?
- Succiola.
- Che poltrona? To’ cotest’altra.
- Schiavetto.
- Ferma, ferma Rondone! Poni giù quella pianella.
- Succiola.
- Lasciatelo pur fare, cotesto bue selvatico. Che non mi stia a stranare, perché del sicuro cotestui la perderae.
- Schiavetto.
- Madonna, se voi lo conosceste, non v’adirereste seco, poi ch’egli è pazzo sperticato.
- Rondone.
- È verissimo. E pazzo pure è un mio fratello. Or ditemi, non darebbe a voi l’animo di cavargli il pazzo dal capo ?
- Succiola.
- Affé, ch’io t’ho per un pazzo vizioso e bene.
- Rondone.
- Tu se’ indovina, o furbetta, e che dite, non vi comincia a piacere questo mio umore? Crediate certo che a poco a poco v’entrerà, se vi slargate niente nel dovere.
- Succiola.
- Or sù non piue, l’intendi tu?
- Schiavetto.
- Madonna, crediate che farebbe rallegrar la mestizia istessa, ma mi piace che siete donna, che gli tiene (come si suol dire) il bacile alla barba.
- Succiola.
- Così potess’io tenergli la margherita al guindo ancora.
- Rondone.
- Do’, landra sfazzonata, intendo bene il parlar latino, sì?
- Succiola.
- Or sù, non andiamo dietro più a coteste frascherìe.
- Schiavetto.
- Via via, datemi la mano, terminiamo questa lite, entriamo nell’osteria, ché vi prometto, madonna Succiola, che gusto avrete in alloggiare questi virtuosi.
- Rondone.
- Or sù entriamo, entriamo, non si perda il tempo, in grazia io vi chiedo, anch’io rimetto ogni offesa.
- Succiola.
- Or sue, per vostro amore entriamo.
- Rondone.
- O che bello spasso! Per mia fé, ch’io non poteva desiderare il più felice! O ve’, che la malinconia non affligerà più Schiavetto? Voglio andare studiando modo novo di onorare costei con nove villanìe.