Lo schiavetto/Atto quinto/Scena VI

Atto quinto - Scena VI

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Alberto, Prudenza, Fulgenzio

Alberto.
Olà? Chi v’ha dato questa licenza, o signora Prudenza? e a voi, o signor Fulgenzio inzamarato? Così, signor Fulgenzio, a procedere v’insegnano que’ nobili costumi, che vosco diceste di trar dalle fasce? e qui, credete forse che terminar si dovrà questo negozio? questo affronto? E tu, malvagia, dicevi poi di non voler Fulgenzio e ora seco abbracciata (e su la strada) i’ ti ritrovo? Ah, ben è vero che tutto il mondo non terrebbe a freno una femmina allor ch’ell’è disposta di voler far la sua lascivia sazia! Ma perché, con il discoprirmi nella strada il fallo tuo, mi discopri ancora il modo con ch’io debba castigarlo, dammi questo ferro, ti voglio morta alla vita, come se’ morta all’onore.
Prudenza.
Pietà, signor padre! Ohimè, i’ fuggo.
Fulgenzio.
Deh fermatevi, o mio signore, o mio caro suocero, o mio solo padre.
Alberto.
Tuo solo padre? E’ ne mente, vicini. O che furbo, per far ch’io paghi i suoi debiti, suo padre mi chiama! Né suocero, né padre di fallito io sono. Puttana di me, non lo voglio comportare! Di’ sù, furfantella, v’è altro, che questo abbracciamento ch’io ho veduto? Di’ sù, fa’ presto, non occorre fare il viso lungo, e ’l viaggio del gambero con l’andar indietro. Di’ sù, ché te lo ficco, ve’?
Prudenza.
Uh? Non fate.
Fulgenzio.
Lo dirà, lo dirà, signore.
Alberto.
State cheto voi, meser Cicciapottolo nell’agresto! Di’ sù, v’è altro?
Prudenza.
Signor sì.
Alberto.
Che cosa, un bacio?
Prudenza.
Signor sì.
Alberto.
Altro?
Prudenza.
Signor sì.
Alberto.
Che cosa, un toccamento di tette?
Prudenza.
Signor sì.
Alberto.
V’è altro?
Prudenza.
Signor sì.
Alberto.
Che cosa?
Prudenza.
M’ha fatto la gambaruola.
Alberto.
La gambaruola? Or sù, so il rimanente: ella è caduta, lui gli è caduto sopra e l’ha impregnata. A porca, a sfacciata! La voglio ammazzare.
Fulgenzio.
Eh no signore, pungavi più la pietà figliale, che punger ella non procura di ferro acuto le proprie carni sue.
Prudenza.
Deh caro padre, se pur brama di ferirmi, ond’io ne muoia, il ferro, che dal fianco io tolsi a Fulgenzio, sia quello che mi ferisca, che m’uccida, ché contenta morrò per mezo delle cose sue.
Alberto.
O temeraria, e mi burli? credi che non intenda questo anfibologico tuo parlare? Or che tu brami per lo pugnale di Fulgenzio morire, Fulgenzio voi, che sapete doprare il vostro pugnale, poi che i giovini sempre l’hanno in mano, a voi tocchi a far quel colpo che al presente a costei tanto piace.
Fulgenzio.
Non sia mai vero, ch’io debba dar la morte a chi è la vita mia.
Alberto.
Eh? Che non m’intendete.
Prudenza.
L’intendo ben io, signor padre.
Alberto.
Sì? O come la donna è saggia, quando si parla del suo interesse. Or sù, perché voglio più come padre perdonare, che come adirato vendicare, vi perdono. Abbracciatevi, baciatevi.
Prudenza.
Uh? Signor padre.
Alberto.
Do’ furfantella, tu fusti prosuntuosa e golosa, tu me lo fara’ dire! e ora in questo, tu vuoi essere onesta e senza apetito! Baciatevi, dico, se non, che vi ammazzo tramendue.
Fulgenzio.
Ecco, signore.
Alberto.
O così, bon pro vi faccia, mi si dirà poi l’inganno com’è stato. Or che per voi ho inteso cose nuove, e di non volgare stima, e voi per me pur dovrete intender cose di grandissima maraviglia. Sappiate adunque che una donna detta Florinda, che in Napoli tra Orazio e lei passò fede di matrimonio e godimento, è quella che in abito di schiavo e sotto nome apposito di Schiavetto, schiava di fortuna andava errando, per far tanto schiavo di morte Orazio, quanto Orazio aveva di lei fatta schiava del disonore. E oggi appunto teco parlando, e inteso che Orazio di Florinda (ch’è l’ingannata) s’era dimenticato, per ricordarsi di Prudenza, tanto lo sdegno la dominò, che più pronta all’odiare che all’amare, s’appigliò come sdegnata, come infuriata, di vendicarsi, ma non contro di te, ma contro di colui che in istato così misero posta l’avea. E qui mandato un certo suo Rondone per veleno, dandoli a credere che composizione contro i topi far volea, se ne tornò da lei; ma non già con veleno, ben che per veleno lo speziale (al balordo) creder lo facesse. E questo ben creder dobbiamo che sia stata providenza del Cielo, co ’l porre in mente allo speziale di non dar veleno a costui, che avendo aspetto e azioni di pazzo, cosa da pazzo fatto non avesse ancora. Ma solo li dette una certa composizione che ’l vomito moveva, la quale quella fu che gustata da Orazio, ch’è gentile, gli pose quella nausea, ed egli, vergognoso alla presenza di tanti gettar fuori, si ritenne e li cagionò lo svenimento.
Prudenza.
O caro signor padre, come sapete questo? Ma la giovine ha patito cosa alcuna? O forza d’amore e d’onore.
Alberto.
È rimasta illesa dalla giust’ira della giustizia, poi che lo speziale stesso, mescolato con la turba che seguiva questo Schiavetto mentre andava inanzi al signor governatore, udendola (ben che scoperta donna) condannarla a morte, forte cridando d’essere ascoltato, il signor governatore gli fece far adito fra la calca; e comparsoli avanti manifestò quanto a voi ho già palesato. In questo mentre, «Grazia grazia!» tutto il popolo chiamando, alle voci di tanti commosso, il signore grazia disse, e grazia le fece. Ed eccola apunto di qui comparire, con quel suo Rondone.