Letture sopra la Commedia di Dante/Lettura prima/Lettera dedicatoria I
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Lettera dedicatoria della prima edizione
(1554)
AL MOLTO MAGNIFICO
M. GIUSEPPO BERNARDINI
gentiluomo e mercante lucchese
La virtuosa e dolce conversazione, e i non manco dotti che belli e piacevoli ragionamenti avuti con voi, molto magnifico M. Giuseppo, quei pochi dì che voi dimoraste l’anno passato qui col nostro Lorenzo Pasquali, mi fecero oltre a modo e partigiano e affezionato, sì per quella sincerità di costumi che mi parve allor conoscere in voi, e sì perchè essendo rari quelli della vostra professione, che non abbino sempre la mentre intenta al guadagno solo, giudicai cosa degna di maraviglia, che nelle stesse faccende voi non mancasse1 giamai di non spendere qualche parte del tempo negli studii o in qualche altro esercizio virtuoso; cosa per il vero, secondo l’opinione di voi altri mercanti, i quali usate dire che ella vuol tutto l’uomo, molto aliena da essa mercatura, ma degna certo in chi sa fare l’una senza impedir l’altra, come voi, di non piccola lode. A questa particulare cagione dello amarvi se ne aggiugne un’altra universale, non punto minore appresso di me che qual si voglia delle predette; e questa è, che voi altri mercanti, quando voi vi dilettate di praticare con uomini literati e virtuosi, gli volete per amici e per compagni, e non per servidori e schiavi, come i grandi e come i Principi, non dico secolari o del mondo (chè questi per avere per loro fine il bene governare, mantenere e augumentare i popoli e i sudditi loro, hanno sempre civiltà e umanità, come posso particularmente far fede io, per i tanti benefizii di onori e di facultà, che ho ricevuti da la Eccellenza dello illustrissimo Signore Duca di Firenze, principe e patron mio), ma degli spirituali solamente, la maggior parte de’ quali, avendo per loro fine principale il convertire prodigamente in uso e comodo propio tutto quello che arebbe a servire, parte al culto divino, parte ad essi e parte al sovvenimento di quei popoli d’onde ei lo traggono, altra cura non tengono, nè fanno altrimenti stima alcuna de’ litterati e degli amatori delle virtù, che il tenergli per servidori, non per affezione ch’e’ portino a quegli, ma solo perchè e’ pensano che lo averne per le loro Corti arrechi loro e loda e onore. Laonde io che vivendomi contento nelle mie case del pane mi viene della fatica delle mie mani, quanto qual si voglia di loro in qualunche grandezza e riputazione, non ho mai voluto, non che servirgli, ma nè corteggiarli pure mangiando con loro o in modo alcuno altro, conoscendo assai chiaramente per tale cagione che le mie fatiche non arebbono mai grado alcuno appresso di loro, mi son finalmente risoluto di onorarne, per quanto io ed elle possono, quegli uomini che sono al consorzio umano di qualche utile. Nel numero de’ quali desiderando io, per le onorate qualità vostre, che foste voi uno, ne aspettava di giorno in giorno e la materia e l’occasione, quando la fortuna, favorevole certo al mio disegno, mi pose avanti quello che io desiderava. Imperocchè mostrandomi il nostro Pasquali (il quale se bene è ancora egli similmente mercante, stima ed ama tanto le virtù, che egli è stato per tal cagione messo nel numero de’ nostri Accademici, e di poi non manco onoratovi, che quegli che fanno professione solo di lettere) per una vostra lettera, quanto vi sarebbe stato grato il poter vedere la lettura che io faceva questo anno nell’Accademia sopra il nostro divinissimo Dante; mentre io col vero gli mostrava che tal cosa era al tutto impossibile, per non avere io scritte le tre lezioni che io aveva fatte fino a quella ora; Ser Lorenzo di Ser Giovanbatista Giordani, Cancelliere della nostra Accademia, amicissimo di amendue e molto familiare intrinseco mio, ci rispose: Questo non guasti, perchè io, mentre che voi leggevate, ne ho raccolto una bozza, a la quale penso che manchi poco o niente delle cose dette da voi; della quale voi vi potete valere a commodo vostro, e tanto più avendosene a onorare uno spirito tanto nobile, e cittadino di quella terra, la quale fu già patria dei miei antichi innanzi ch’ei venissero ad abitare in Firenze. Laonde fattola venire, e vedutola esser quale ei diceva, acconciai quelle poche cose che mi vi occorsero. E scritte poi l’altre di mano in mano, le ho ridotte tutte in un corpo, e per contento di molti amici finalmente date a la stampa, indiritte e dedicate nientedimanco a voi solo, che di ciò fare mi siete stato prima cagione. Accettatele voi adunque con la solita sincerità dell’animo vostro, e con quella prontitudine e contentezza che io ve le indirizzo e ve le dedico. Ma non vi aspettate in esse gli ornamenti e i fiori della lingua, perchè io nel dettarle ho tenuto sì fissamente applicato l’animo a la esposizione e spianazione de’ concetti, che io non ho posto studio nè cura alcuna ne’ modi del dire o nella bellezza delle parole; anzi familiarmente parlando, secondo l’uso pur fiorentino, ho ragionato in quel modo stesso che io mi son solito tutto il giorno, e con gli amici massimamente, persuadendomi che a questo difetto abbia a supplire la maravigliosa grandezza dello stesso poeta che io ho esposto, e la benignità e umanità de’ lettori, che da una persona, occupatissima in quegli esercizii d’onde ella vive, non vorrano più che ella possa. Vivete felice.
- Di Firenze, il primo giorno di luglio 1554.
Note
- ↑ Mancaste.