Lettere volgari/Lettera III

A Messer Cino da Pistoia

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EPISTOLA

A MESSER CINO DA PISTOIA


ECCELLENTISSIMO DOTTORE DI LEGGI



Avrei con animo più quieto ascoltato assai meglio, o procettore e padre mio amatissimo, la gravità dell’amorevole ed in un medesimo tempo severo consiglio che vi è piaciuto darmi, se io m’avessi dato a credere che il suono delle parole vostre si fosse conformato col maturo discorso del core; il quale troppo bene so io, e voi ne fate fede altrui, ch’egli non forma gli accenti della bocca vostra coll’intrinseco [p. 86 modifica]de’ pensieri. Anzi se vi fosse lecito, e per l’età e per la professione, non dubito che tale si mostrerebbe in palese, quale voi stesso con grandissimo vostro contento lo spiegate nei dolci parti di poesia. Potrete voi dunque consigliarmi ad amar cosa che avete in odio? e d’altra parte, vi darà in animo di persuadermi a lasciare quei piacevoli studi che voi hanno fatto chiarissimo al mondo, e a me promettono altra vita, e più lunga e più onorata che questa non è? Io non credo che siate per farlo lungamente: e se pure lo stimolo di coloro che mostrano amar più l’util proprio che l’onor mio vi spignesse a far ciò, io porto fermissima opinione che non pure non vi dorrete meco del non avervi ubbidito, ma ritiratovi in voi stesso, qualora vi sovverrà del mio proponimento, tanto mi giudicherete degno di commendazione. Io, siccome piacque a colei che dispensa le cose di quaggiù secondo il suo volere, nacqui di padre povero, e tanto di me tenero, che vedutomi porre da parte la viltà della mercatura, quando con persuasioni e quando con esempii s’ha sforzato guidarmi, ond’io tuttavia cerco di fuggire, cioè allo studio delle leggi, strada spinosa, monte aspro, e poggio difficile. Ma poichè è pur piaciuto a chi governa il tutto, tolto lui da’ pericoli di questo mondo, e siccome mi giova di credere, collocato a parte del suo regno, ritrovandomi io padrone di me stesso, e in età di venticinque anni, voglio ritrarmi a quelle lettere, dalle quali più gloria e contento che ricchezze e noia spero di ritrarre. Piacciavi dunque lasciarmi in ciò quieto vivere: e poichè la benignità del cielo dell’una [p. 87 modifica]e dell’altra scienza vi ha arricchito, non vogliate che io disperando di asseguirne l’una, fugga, quando che sia, di guadagnarmi l’altra. La qual cosa, siccome vi sarebbe d’infinito affanno cagione, così credo che vedendomi riposato e contento non consumare oziosamente il tempo, vi rallegrerete della deliberazion mia. Colui che d’ogni felicità è datore larghissimo voi prosperi, e lungo tempo felicissimo conservi. Di Pisa alli xix. di Aprile mcccxxxviii

               Giovanni di Boccaccio da Certaldo discepolo e ubbidientissimo figliuolo infinitamente vi si raccomanda.