Lettere di Winckelmann/Articolo XVI
Questo testo è da formattare. |
◄ | Articolo XV | Lettere di Winckelmann | ► |
A r t i c o l o XVI.
Un certo signore romano avendo comprato una statua di una donna vestita, troncata d’una mano, e de’ piedi, con una parte della tonaca, la fece portare da uno de’ primi scultori romani, chiamato Bracci, per farla restaurare. Avrà questa dodici palmi di altezza. Lo scultore non la stimava antica; onde il possessore1 mi ci conduce per sentire il mio parere. La statua era stata trovata in una vigna, non già scoperta recentemente, ma, non si sa per qual ragione, precipitata in un fosso, ove le erano state buttate sopra molte carrette di calcinaccio. Quello, che la comprò, ebbe qualche sentore, che ci poteva essere almeno un gran pezzo di marmo; ond’egli operò tanto, che scoprì il naso, e senza stare a indagare più sotto per non essere soprafatto, fece portar via la statua con tutto il calcinaccio. Pulita, e rinettata, che fu la statua, sentendo quegli Io sproposito dello scultore riguardo al supposto lavoro recente, quasi se ne pentì. Convenne dunque allo scultore esporre le ragioni del suo savio sentimento. La prima fu il gradinato, cioè la sedia della statua, che è lavorata ruvida col gradino, sostenendo, che gli scultori antichi non usavano questo strumento. La seconda fu il lume degli occhi, ovvero la pupilla col forellino marcato d’una lunetta incavata, quale pretendeva lo scultore non usato nelle teste delle Deità; ideali dovea dire, mentre non poteva asserire, che la testa della statua fosse un ritratto. Mi recò maraviglia questo suo piccolo discernimento, per verità non comune. Prima di rispondere alle sue ragioni, gli domandai, in che modo credesse egli, che gli antichi scultori dessero l’ultima mano alle loro statue? Probabilmente, replicò, era il loro metodo quello, che vien praticato da noi, cioè di dar loro l’ultima pulitura colla pomice, allegandomi l’Antinoo, o a mio credere il Meleagro di Belvedere2. Questo gli tirai di bocca per confonderlo meglio. Gli risposi" dunque circa alla sua prima ragione, che gli scultori antichi fecero opere gradinate, il che si vede chiaramente allo zoccolo, o sia base del Laocoonte; e che usavano gradini, ma composti di più ferri uniti con una tenitura, il quale strumento si vede al monumento sepolcrale di Apro capomastro scarpellino, e architetto, nel Campidoglio3. Per ciò, che spetta alla seconda ragione, di cui lo scultore molto s’applaudì, gli accordai, che il lume accennato negli occhi non si trova per verità, che in poche statue divine, o ideali, ma non in nessuna. E’ da sapersi, che tali occhi sono un raffinamento metto in uso più comunemente nel tempo dell’arte già declinata, e divenuto poi universale sotto Adriano, come si vede ne’ busti degl’imperatori. L’unica testa, non ideale, a Roma, che abbia gli occhi segnati, da Augusto fino ad Adriano, è di Marcello nipote d’Augusto4. Falso è dall’altra parte, che non si sieno usati affatto innanzi a questo tempo. Gli ho scoperti in quattro teste dell’obelisco detto Lodovisiano, che sta colcato in terra a san Giovanni in Laterano5. Perciò quel punto, che significa il fiorellino, e il giro della papilla, che si fece incavandoli nel marmo, fu fatto già fin da antichissimo tempo dai Greci, prima cioè di Fidia, e dopo nel bel fiore dell’arte, ma in rilievo6. Così si vede nelle medaglie di Gerone di Siracusa, come in quelle di Alessandro il punto, e una lineetta intorno in rilievo7. Quella era la parte negativa della mia dimostrazione. Sentite ora la parte affermativa. La mano, gli dissi, non è fatta, nè può esser fatta da uno scultore moderno8. Tutti i moderni da Michelangelo in quà non hanno potuto farsi l’idea d’una bella mano: e siccome uno de’ caratteri dello stile moderno è il gonfio, tutti hanno urtato in questo difetto, il quale poi ha peggiorata la già mal intesa grazia. Le mani moderne sono generalmente troppo gonfie; e le membra delle dita vanno distinguendosi per tre elevazioni, crescendo, e sminuendosi per tre curve. Poi vi sono le fossette sui nodi dell’attaccatura delle dita, o sul carpo troppo visibili, e fatte a guisa d’umbilico, le quali non si trovano punto dagli antichi praticate, o non si sentono, che al tatto, e così almeno non comparirono. Le unghie poi sono più convesse. Voltandomi alla testa, gli dissi, che non poteva essere moderna per cagione dell’osso del naso, che non è stato mai reso visibile in teste giovanili, e donnesche. In somma, non avendo io veduto ancora le quattro figure donnesche di Michelangelo a Firenze, facciamo il confronto della testa di questa statua colla migliore fra le moderne, che sia in Roma. Quale è questa? Quella, che voi vantate tanto, e che rappresenta la Giustizia al monumento di Paolo III.9 fatta da Guglielmo della Porta sotto gli occhi del suo maestro Michelangelo. Che contorno meschino, che povertà di rilievi, che affettazione umile, che eleganza mal intesa! Perdonate tante ciarle. La severità, e la precisione dello stile didattico, che ho studiato d’osservare nella mia Storia dell’Arte, non ammette tali osservazioni; ma non le voglio far perdere10.
Note
- ↑ Questi è il signor march. Rondanini, che la tiene nel suo palazzo. Ora se ne forma una copia di grandezza naturale per mandarla in Pietroburgo.
- ↑ Vedi Tom. iI. pag. 141. n. a.
- ↑ Fu quello trovato sul Gianicolo, ed indi trasferito agli orti Vaticani, dai quali per ordine del gran Benedetto XIV. passò al museo Capitolino. Vien riferito da Grutero Tom. iI. pag. 624. num. 1., e dal P. Montfaucon Antiq. explic. Tom. iiI. par. 2. liv. 5. chap. 1. pl. 189. pag. 342. L’illustrarono poi monsig. Michele Mercati nelle sue Considerazioni sopra gli avvenimenti del signor Latino Latini, ec. consid. 5. pag. 68., ed il Padre Diego Revillas nella sua Dissertazione sul piede antico romano, che è la IV. del Tomo iiI. degli Atti dell’Accademia di Cortona, pag. 116. [ Si può vedere anche presso il canonico Guasco Antiq. inscript. mus. Capitol. Tom. iI. cap. 4. n. 143. pag. 6., e il canonico Foggini Mus. Capit. Tom. IV. Tav. 9. pag. 25., che diffusamente lo illustra. Apro non era né capomastro scarpellino, né architetto. Era un semplice misuratore di fabbriche. Di tali misuratori parlano molte iscrizioni presso Muratori Tom. iI. pag. 924. n. 8., pag. 960. n. 3., Reinesio cl. 9. pag. 83. n. 85., Sponio Miscell. erud. antiq. sect. 6. pag. 225. n. 1. 2., Donio cl. 8. p. 335. n. 86. Dell’impiego ne parla Plinio il giovane lib. 10. epist. 28., e le leggi romane nelle Pandette lib. 11. tit. 6. Si mensor falsum modum dixerit, ove Ulpiano nella legge ultima lo distingue dall’architetto, parlandone come di persona diversa. E che fossero divelli ufsizj, come lo sono anche al presente per regola, ci si conferma dall’aver quelli misuratori formato anticamente un collegio, indicato in due iscrizioni presso Grutero Tom. iI. p. 599. n. 1.. p. 623. n. 6., e non avvertito dallo Scaligero nel suo indice di questa raccolta, ove parla dei collegi Vi era anche il misuratore degli edifizj pubblici, di uno de’ quali si parla in una lapida presso Gudio Inscr. pag. 220. n. 5., e di un altro si ha memoria in una lapida riferita dal P. Volpi Latium vetus prof. Tom. VIII. lib. 15. cap. 5. pag. 293., ove si dice agrimensor ædificiorum pubicorum: agrimensore degli edifizj pubblici.
- ↑ Vuol dire forse un busto, che avea Cavaceppi, dato nella sua Raccolta di statue, Tom. I. Tav. 32., ove lo dice andato a Pietroburgo. Il busto del museo Capitolino dato da Bottari nel Tom. iI. Tav. 3. non ha gli occhi segnati: ma nè questo, nè quello sono sicuri ritratti di Marcello, di cui ci mancano le medaglie.
- ↑ Tali si vedono anche a qualche figura dell’obelisco, già di Barberini, ora nel giardino interno del Vaticano, di cui parlammo nel Tom. I. pag. 96. not. c.
- ↑ Vedi Tom. iI. pag. 39. segg. Gli aveva incastrati anche l’Ercole di Farnese.
- ↑ Vedi loc. cit. pag. 127. not. a.
- ↑ Vedi Tom. I. pag. 382. not. a.
- ↑ Nella chiesa di s. Pietro in Vaticano.
- ↑ Una delle prove, che si può considerare per distinguere le statue antiche dalle moderne, è quel colore giallognolo, rimasto in moltissime di quelle, il quale non è altro che un avanzo di una specie di encausto, o vernice di cera, che gli antichi davano alle statue di marmo, come fu detto nel Tom. iI. pag. 12. not. a., forse per farle più simili alla vera carnagione. La statua del sig. march. Rondanini non ha avuto questa, vernice, probabilmente perchè è vestita.