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di W i n k e l m a n n. | 263 |
questa dodici palmi di altezza. Lo scultore non la stimava antica; onde il possessore1 mi ci conduce per sentire il mio parere. La statua era stata trovata in una vigna, non già scoperta recentemente, ma, non si sa per qual ragione, precipitata in un fosso, ove le erano state buttate sopra molte carrette di calcinaccio. Quello, che la comprò, ebbe qualche sentore, che ci poteva essere almeno un gran pezzo di marmo; ond’egli operò tanto, che scoprì il naso, e senza stare a indagare più sotto per non essere soprafatto, fece portar via la statua con tutto il calcinaccio. Pulita, e rinettata, che fu la statua, sentendo quegli Io sproposito dello scultore riguardo al supposto lavoro recente, quasi se ne pentì. Convenne dunque allo scultore esporre le ragioni del suo savio sentimento. La prima fu il gradinato, cioè la sedia della statua, che è lavorata ruvida col gradino, sostenendo, che gli scultori antichi non usavano questo strumento. La seconda fu il lume degli occhi, ovvero la pupilla col forellino marcato d’una lunetta incavata, quale pretendeva lo scultore non usato nelle teste delle Deità; ideali dovea dire, mentre non poteva asserire, che la testa della statua fosse un ritratto. Mi recò maraviglia questo suo piccolo discernimento, per verità non comune. Prima di ri-
spon- |
- ↑ Questi è il signor march. Rondanini, che la tiene nel suo palazzo. Ora se ne forma una copia di grandezza naturale per mandarla in Pietroburgo.
rocchio, come sopra. Dall’essersi trovata questa iscrizione su di un pezzo di marmo simile a quello, fu cui era scolpita l’altra recata, vale a dire di cipollino, e nello stesso luogo, siccome ancora dalla forma dei caratteri, possiamo congetturare, che siano amendue di uno stesso tempo: e allora potrebbe dirsi, che il Minicio nominato nella prima linea di essa, fosse il medesimo, che il Minicio razionale (del quale impiego meglio parleremo nella nostra dissertazione qui appresso), vivente ai tempi di Marco Aurelio successore di Adriano, di cui si fa menzione in altra lapida presso il Donio class. 8. num. 45. pag. 326.:
M. AVRELIO....
COCCEIVS MINIC.
RATIONALIS ET..
Anche intorno alla forma dei caratteri ha sbagliato il nostro Autore al luogo citato della Storia, dicendoli del III. secolo dell’era cristiana. Ha osservato bene in principio di questa nota il signor abate Amaduzzi, che gl’indizj dei caratteri non sono sempre cose sicurissime. E infatti, che fondamento si può fare su di una marca fatta all’infretta da uno scarpellino, o tagliator di pietre in provincia? Del luogo, ove si cavava il cipollino, e del nome, che gli davano gli antichi, confuso dai moderni con quello di altri marmi, ne parleremo qui appresso nell’indice delle Tavole in rame al num. V. del Tomo iI.