Lettere d'una viaggiatrice/«Alla montagna debbo ritornare»/L'orrido di Busserailles

L'orrido di Busserailles

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L’ORRIDO DI BUSSERAILLES

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in Valtournanche, luglio...


Invano, a coloro che mi parlano dell’orrido di Busserailes mentre, passo passo, quietamente i muletti camminano a raggiungerlo, invano io cerco di rispondere che me ne intendo, di orridi, che ho visto l’orrido di Guillemore, nella valle di Gressoney, e che sono anche coscienziosamente discesa sovra un ponticello di legno, il quale sovrasta l’orrido di Guillemore, per vederlo meglio. Immediatamente, resto oppressa da un coro di proteste, le quali dichiarano che se credo di saperne qualche cosa, sovra gli orridi, m’inganno; che l’orrido di Guillemore è un piccolo orrido, senza nessuna importanza, un orrido insignificante, un orrido di niente, e [p. 400 modifica]che, come il Cervino è la montagna delle montagne, come la Valtournanche è la valle delle valli, così l’orrido di Busserailles è l’orrido degli orridi. Per finire di demolire nella immaginazione il mio Guillemore, mi si domanda, se innanzi a quello spettacolo, io ho provato un senso di orrore; io mi ricordo, subito, il mio povero piccolo Lys, il mio candido e spumante fiume del giglio, e i grandi massi su cui si precipitava nel fondo, in Guillemore, e l’altezza dell’abisso che curiosamente misurai, gittandovi dentro una grossa pietra, distaccata dall’orlo.

No; non ho avuto senso di orrore... Ebbene, un orrido che non fa orrore, non esiste; si può concedere a Guillemore di essere una cascata, ma niente altro Così, ancora una volta, la segreta tortura della montagna mi riprende, e all’insaziato desiderio di vederla, di comprenderla, di abbracciarla, tutta, col cuore e con la fantasia, risponde una realtà troppo breve e troppo piccola. Non la vedrò mai, tutta: e niuno, credo, tornandoci per cinque, dieci, venti anni, l’ha mai vista, tutta... Sono [p. 401 modifica]tanti i monti, tante le punte, tante le valli, tanti i colli, così tanti e diversi i paesaggi, che la taciturna desolazione della impotenza umana, a conoscere tutto, e a intenderne lo spirito, colpisce, sempre, il nuovo innammorato delle bianche cime. Mentre, dopo un lungo tragitto dove le misere forze sono eccitate dalla più spirituale e più amorosa curiosità, voi vi estasiate nella solitaria beltà di un paesaggio, che a nullo altro visto rassomiglia, vi è sempre chi vi dice e ha ragione di dirvelo, che vi è un posto anche più bello, anche più meraviglioso. Dove, dove? Lassù; dall’altra parte; lontano; e già l’anima si distacca, ahimè, dalla realtà presente e sogna le altre, lontane, bianchissime sommità e già arde di tale cocente desiderio, che obbligherebbe il corpo a partire immediatamente, se non fosse, il corpo, un terreno e volgare involucro, soggetto alle più profonde e mortali stanchezze..... [p. 402 modifica]


Verso Busserailles cominciano a sparire i caratteri amabili e pure grandiosi della Valtournanche; le alte prode ricche di pini, le praterie di un verde fresco e pure intenso, i limpidi ruscelletti dall’acqua gelida, che canticchiando la vivace e cristallina canzone delle acque cadenti nella gran solitudine, vanno a raggiungere il fiume delle Marmore, il quale discende dai ghiacciai del Cervino e attraversa tutta la Valtournanche. La roccia appare sempre più brulla, sempre più nera: la valle si va restringendo sempre, fra due alte pareti di macigno, dove il cielo azzurro assume non so quale tinta fredda e triste, dove il sole resta pochissimo tempo, e l’aria è battuta da un gran vento freddissimo. Confusamente, insieme a un fragor sordo che più fortemente colpisce l’udito, già abituato al solito rumor del fiume, appare un ammasso titanico di rocce, che vi [p. 403 modifica]chiude la via: i muletti attraversano un ponte di legno e si fermano innanzi a una casetta, che è ai piedi di queste rocce; essa sembra un giocattolo infantile, che può essere schiacciato, da un minuto all’altro. Si scende da cavallo. Per veder l’orrido, bisogna entrarvi. Gli è che, a Busserailles, le due alte pareti di macigno si sono riunite, sopra un precipizio profondo, si sono sovrapposte a masse, e il fiume ha trovato il suo passaggio, nell’ombra, sotto questo arco immenso di macigni, nelle viscere della terra. Colà, si entra da un portoncino di legno, come in un sotterraneo. Con grande coraggio, una famiglia Maquignaz — nome glorioso, del resto, nella Valtournanche, e dovunque sia apprezzato il valore delle più intrepide guide alpine — ha affrontato il terrore e il pericolo di questa immensa grotta, che è anche un abisso, e vi ha fatto come un lungo e stretto palco di legno che va rasente una parete e arriva sino all’estremo dell’orrido. Se il vostro passo non trema, sentendo il legno umido quasi sfuggire al vostro piede; se il vostro udito non è così intensamente colpito [p. 404 modifica]dal fracasso altissimo, da potervi permettere di avanzare; se i vostri occhi che si debbono avvezzare all’oscurità della immane grotta, non provano l’orrore di quello spettacolo che lievemente; se tutti i vostri nervi non sono vinti da uno sgomento fantastico, indicibile, sentendovi sospeso sopra un abisso, dove il fiume si dirupa, fuggendo, sentendovi sul capo le rocce chiuse e agglomerate, sentendovi così piccolo, così meschino, innanzi a quella forza, a quell’imponenza, a quella maestà e a quel furore, voi potete avanzare lungo il precipizio, per più di cento metri. Alla metà, in alto, fra le rocce, vi è un buco, onde entra un po’ di luce, ma è così scialba, così fantomatica, che aumenta il terrore della scena. Almeno, nella oscurità perfetta, non si misurerebbe tutta la grandiosità terribile dello spettacolo..... Di lassù, da quel buco, un giorno, è caduto un uomo, dentro l’abisso. Dove è morto, infranto sulle rocce, o affogato dalla collera spaventosa delle acque? Poiché, camminando come sonnambuli in quella stretta via che costeggia l’abisso, si sente crescere sempre più questa [p. 405 modifica]collera del fiume contro le rocce del fondo, contro le pareti granitiche del precipizio: esso batte, batte, si arrotola, si dirupa, si precipita, furibondo della chiusura, degli ostacoli, dell’ ombra. Guardando giù, voi non vedete che una bianca e ampia schiuma, che attacca i massi, con un fragore di cannonate; e in quel momento, come un’ebbrezza di paura, come il delirio dell’orribile, vi consiglia una cosa pazza, disperata: buttarvi giù. Vi pare che tutto sia morto, il sole, l’aria e la beltà: vi pare che tutto sia sparito, di quanto era dolcezza e passione dell’esistenza: vi pare che non valga la pena di vivere, più, per nessuno: anzi non vi pare più niente: non sentite che l’ubriachezza crescente e vertiginosa di questo luogo orribile dove siete, non sentite che la potenza brutale del masso e dell’acqua, che combattono da centinaia di anni e innanzi alla quale ogni forza umana è derisione: non sentite che un fragore immenso, non vedete che una penombra paurosa, non toccate che l’implacabile macigno, e sul poco legno che sostiene la poca vostra persona, voi vi piegate, [p. 406 modifica]preso da quel gran biancore furibondo dello abisso, provando l’atroce voluttà di sognare, come vi spezzereste, come vi spolverizzereste, laggiù. Non forse, questo è l’abisso del gigante, le gotiffre du Geant, non forse un occulto titanico potere vi tiene e vi vince? Che caduta laggiù, travolto nell’ira implacabile dell’acqua, nell’ira della sua bianca spuma, i cui sottili e gelidi vapori vi avvolgono ed esaltano il delirio truce e invincibile!.....


Di là dentro in vero, non escono che volti pallidissimi e occhi vaganti, quasi senza sguardo. Per molto tempo ancora, cavalcando presso il Breuil, per salire alle falde del Cervino, non una parola esce dalle labbra dei viaggiatori. Uno di essi non era entrato, anzi. Aveva già visto l’abisso di Busserailles e non aveva voluto rivederlo. Forse i suoi nervi di uomo avevan sentito l’orrore troppo [p. 407 modifica]fortemente, una volta. Così, aveva aspettato fuori. Quanti minuti?

— Cinque minuti.

— Non di più, non di più?

— Cinque minuti, soltanto.

E mi misi a pensare che cosa sarebbe stato il sesto minuto, nel fondo dell’abisso.