Lettere d'una viaggiatrice/«Alla montagna debbo ritornare»/Il Cervino

Il Cervino

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IL CERVINO

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dal Breuil, un giorno felice....


Ah, ecco, finalmente, una vera montagna, la gran montagna terribile e bella, la cima tremenda e affascinante; ecco l’invincibile seduttore delle Alpi; ecco il Cervino..... Ogni altra visione alpina sparisce. Tutte le intime impressioni che provaste, vagabondando pei monti, impressioni amene o tetre, impressioni bizzarre o solamente curiose, impressioni di schietta gentilezza o d’intensa poesia, tutte si velano, si dileguano. Quella che provate innanzi al Cervino, è la impressione vivida e complessa, quella che vi penetra, che vi comprende e vi prende, la impressione perfetta e rara, che tutti gli assetati e gli affamati di vivere [p. 412 modifica]ricercano affannosamente, poiché sanno che, per essa, la loro vita avrà un’ora in cui tutta la sua potenza sarà centuplicata e che per essa un ricordo incancellabile farà vibrare sempre l’anima, più tardi, lontano, nelle ore solinghe. La vera montagna, il Cervino, altissima rupe sorgente solitaria e nitida dai suoi ghiacciai, che formano corona alla sua base, che risalgono sino alla paurosa cima, una piramide di rocce e di geli che si eleva, libera e superba, leggermente inclinata, poiché questa montagna è anche elegante, ha anche, oltre la gran seduzione mortale, non so quale seduzione di grazia giovanile! Dico, la vera montagna. Perchè vedete, al profano, all’ignaro, all’anima nuda e ignorante, la montagna è, molto spesso, come l’amore: procura le più irritanti e le più amare delusioni. I nomi del monte Rosa, del monte Bianco, del Gran Paradiso, vi hanno fatto tanto sognare, con le loro vertiginose altezze, che voi sperate in qualche cosa di unico e d’immenso, in qualche cosa di così precisamente grandioso e di così precisamente unico e solenne, che tutta la vostra fantasia si [p. 413 modifica]esalta in questa sublime speranza..... Ma un solo, altissimo, monte Rosa non esiste; esso ha sette punte, questo monte Rosa: e ognuna di queste punte ha una altezza diversa e un nome diverso: e chi è salito sovra una, non ha fatto nulla, e il suo animo è profondamente insoddisfatto, e incontrandosi con qualcun altro che ha conquistato una cima più importante, il suo amor proprio è umiliato. Un accanito alpinista inglese pensò di salire sopra ognuna di esse: la Signal Kuppe, la Vincent-Pyramide, il Lyskamm, la Dufourspitze, e via dicendo. Compì la pruova, l’ostinatissimo inglese. Lo incontrarono, al ritorno, con gli occhi malati malgrado gli occhiali azzurri, con la faccia piena di pustole, perchè l’aria del ghiacciaio taglia prima la pelle e poi talvolta copre di foruncoli il volto. Gli domandarono la sua impressione complessiva e definitiva. E questo inglese rispose, seriamente, a Giuseppe Giacosa: la mia impressione è che il miglior punto per vedere il Monte Rosa, è la guglia del Duomo di Milano. Oh vanità dell’alpinismo, oh chimera, oh chimera....! [p. 414 modifica]


Non così, il Cervino ... voi vi rammentate le parole di entusiasmo che leggeste nei libri: voi ricordate il lampo di passione che ha acceso lo sguardo di qualcuno che, in un giorno non lontanissimo, sentì il fascino di quell’altezza e di quella grandezza, che vi volle salire, impreparato, solo, con le guide da Zermat, cioè dalla Svizzera, donde l’ascensione è anche più mortalmente perigliosa e che, ancora, passato il tempo, costui arde di passione, parlando del Cervino; voi conoscete tutta la lugubre leggenda della prima ascensione nel 1865, in cui il Cervino fu scalato per la prima volta, è vero, ma uccise cinque, sopra otto, di coloro che tentarono l’audacissima impresa; voi sapete che, sì, è vero, quando si ha molto coraggio e molta spensieratezza, quando si sfida ogni pericolo o non si pensa al pericolo, il Cervino può essere ancora scalato, a colpi di piccozza [p. 415 modifica]nel ghiaccio, ascendendo miracolosamente su pareti rocciose, a picco — e intorno il precipizio è di trecento metri — in preda a una follia di ascensione, che nulla più vi fa vedere. Ricordate tutto; sapete tutto; ma, quando, sulla via che dalla leggiadra Chatillon sale, sale la Valtournanche, quando, ai Grands Moulins, la carrozza si ferma e voi vedete, per la prima volta, l’estrema roccia del Cervino sorgere, fra un angolo di due colli, bianca sullo azzurro finissimo del cielo, bianca, asprissima, nella luce mattinale, voi sentite che il Cervino è più grande di ogni sogno, di ogni visione, di ogni leggenda. È una cima che rivedrete, ogni tanto, risalendo da Valtournanche, ma avete la certezza che esso a nulla rassomiglia. E, subito, il moto della carrozza vi pare così lento, che quasi preferireste scendere e salire, lestamente, prestamente, a piedi, sentendo che il desiderio vi darebbe una forza, un impulso di conquista. Una piccola foresta di pini circonda l’albergo di Valtournanche, ed essi sfrusciano così dolcemente al vento, e voi vedete brillare al sole, fra i pini, lo Chàteau [p. 416 modifica]des dames, una montagna tutta bianca, così vicina, che par quasi la tocchiate col dito. Che importa, che importa...?

L’apparizione delle cavalcature che vi debbono portare al Breuil, dove il Cervino si vede, tutto, solo, unico, è salutata da un sussulto di gioia; lungo la via dovrete cavalcare molto e camminare a piedi, che importa...! Il muletto si mette fra i cespugli, dove ancora i neri mirtilli i cui piccioli grani hanno il sapore delle more e che fanno le labbra violette, attirano la mano dei viandanti, sale per sentieri rudi e stretti, passa fra gole alte e ripide, dove l’aria si fa triste e l’acqua cadente rumoreggia cupamente: vi abbandona nella gola di Busserailles, dove si fa un gran pezzo di salita, a piedi, poiché la strada è troppo erta, troppo pietrosa, per andarvi col muletto, vi riprende più tardi, più innanzi, quando già l’aria si affina e penetra deliziosamente nei vostri polmoni e dà una velocità più impetuosa al vostro sangue. Ma voi non badate, non potete badare al bellissimo viaggio, voi che invocate questa apparizione del Cervino, in un profondo silen[p. 417 modifica]zio, seguito dal suo cane, alla ricerca di qual morente da salvare. Egli trasportava i semivivi nella sua capanna e li faceva rinvenire al calor del fuoco, con qualche cordiale, e dava loro del cibo e un tetto; e all’indomani, per vie meno tremende, li conduceva sino a un punto ove potessero tornare alle loro case o raggiungere il paese, scopo dei loro passi. Qual mai notte alta, lunga, triste, tetra, in cui sentì le sue forze mancare e chiese, al Signore, coraggio e vita per compire la sua opera, qual mai notte più orrenda delle altre, gli ispirò la volontà di perpetuare, nel tempo dei tempi, soccorso ai perduti sulle Alpi? Chi sa..... Da dieci secoli, per opera di san Bernardo da Mentone, ai due valichi più percorsi della catena del Monte Bianco, verso la Francia e verso la Svizzera, i due ospizii del Piccolo San Bernardo, del Gran San Bernardo, continuano costantemente, tenacemente, largamente, con pietà di cristiani, con ardore di cattolici, con civiltà di uomini, il soccorso a ogni viandante, ricco o povero, di qualunque nazione sia, a qualunque religione appartenga. [p. 418 modifica]a duemiladugento metri, un albergo. Provvido uomo! Così voi potete vivere presso il Cervino un giorno, una settimana, un mese. Strano albergo, sempre pieno, in questa stagione, di quella frenetica legione di alpinisti, a cui ci si sente già di appartenere, avendo provato la seduzione del gigante delle montagne. Chi sono, donde vengono, dove vanno questi alpinisti? Chi sa! Li tiene solo questo amore invincibile delle altitudini, quest’adorazione delle cime, questa frenesia inguaribile del salire, sempre più alto..... A restare un mese, in questo curioso, solitario e freddo albergo del Giomein, voi ritornereste, a casa, con la fantasia piena delle più strane figure, ma con l’anima nostalgica di alpinismo, per sempre. Ma chi vi resta una settimana o un giorno, non pensa a tutto questo. Guarda il Cervino: indescrivibile, veramente. Esso è, volta a volta, leggiadro, truce, solenne e come affettuoso. Nella mattinata, esso ha trasparenze finissime; sulla sua cima, nel cielo più terso, ogni minuto, si forma una leggerissima nuvoletta e se ne stacca, mollemente, perdendosi nell’atmosfera, come [p. 419 modifica]un vapore, come un fumo: si dice: il Cervino fuma la sua pipa. Quali linee squisite nella precisione, sul cielo, come il mezzogiorno s’avanza; e i ghiacciai acquistano un aspetto più candido, come più biondo e più festoso... Lassù, un giro di rocce coperte di neve che circondano la cima eccelsa, quella che si chiama la cravatta, hanno l’aria morbida come di bianche braccia lievi, che stringano il gigante in un fresco abbracciamento. Voi guardate: gli occhi non si stancano, sebbene l’ora declini: o sia l’ora dell’alba purissima, o quella delle trasparenze mattinali, o quella calda meridiana, dove par che la montagna s’infiammi nelle sue nevi eterne, o quella più fredda e più intensa, in cui la giornata discende, voi avete un senso istesso: l’inaccessibile. Il Cervino è inaccessibile; uomini vi sono saliti, è vero, ma vi sono anche morti; uomini vi salgono ancora, è vero; ma ne muoiono, ogni tanto. E coloro che ne conquistano la cima, è in un impeto di tal febbre, in un tale tumulto di passione, che niuna legge umana più vi impera: e, dopo non ricordano quasi più: furono proprio essi [p. 420 modifica]che toccarono la vetta del colosso? Ricordano la febbre, la passione, ecco! Francesco Casanova che vi ascese, si rammenta solo che di lassù, vide tale uno spettacolo di montagne e di ghiacciai intorno, che li calcolò fantasticamente a cinquecento chilometri, uno spettacolo che ispirava uno stupore estatico! Sì, inaccessibile il Cervino, malgrado che i valorosi e i pazzi vi salgono.....

Cade il giorno: il vespero violetto si diffonde nell’aria. Allora il Cervino, guardato di nuovo, vi appare terribile. I suoi ghiacciai hanno una tinta livida, sinistra: si prova un brivido di gelo, un brivido mortale. È più alto, nelle ombre: sale nel cielo, immane, terribile, vi sopraffa, vi vince. Lassù abita l’ospite formidabile, la morte. E quando, nella notte, voi discendete malinconicamente la via che va a Chàtillon, il Cervino a ogni angolo vi riappare, sempre più fantastico, sempre più fantomatico, nella notte, come uno spettro di montagna, di cui sempre sognerete, sempre.