Lettera 50

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A Firenze

San Matteo, 10 settembre 1630

Amatissimo Signor Padre.

Non detti riposta all’ultima sua, per non trattener troppo il suo servitore; adesso con più comodità, ringraziandola delle sue tante amorevolezze, gli dico, che in presentando le bellissime susine a Suor Violante ebbi gusto grandissimo, per veder l’allegrezza e gratitudine ch’ella mi dimostrò, si come anco Suor Luisa delle due pesche quali gli donai, perché queste più di tutti l’altri frutti gli gustano.

Ricevo per mortificazione il non esser sortito il negozio di Madonna, perché forse avevo troppo desiserio che, col mezzo e favore di V. S., ella ricevessi qualche benefizio: pazienza, staremo aspettando l’esito dell’altro di Roma.

Ier sera la Serenissima ci mandò a presentar una bella cervia, e qua si fece tanta allegrezza e tanto romore quando fu portata, che non credo tanto ne facessero i cacciatori quando la presero.

Adesso che comincia a rinfrescare, Suor Arcangela ed io, insieme con le nostre più care, facciamo disegno di star a lavorare nella mia cella che è molto capace; ma perché la finestra è assai alta, ha bisogno d’essere impannata acciò si possa veder un poco più lume. Io vorrei mandarla a V. S., cioè li sportelli, acciò me li accomodassi con panno incerato, che, quando sia vecchio, non credo che darà fastidio, ma prima avrò caro di sapere s’Ella si contenti di farmi questo servizio. Non dubito della sua amorevolezza; ma perché l’opera è piuttosto da legnaiuoli che da filosofi, ho qualche temenza. Dicami adunque liberamente l’animo suo, che io intanto con la madre Badessa e tutte le amiche la saluto di cuore, e prego Dio benedetto che la conservi nella sua grazia.

sua figliuola Affezionatissima

S. M. Celeste.