Lettera 29

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A Bellosguardo

San Matteo, 10 aprile 1628

Amatissimo Signor Padre.

La liberalità e amorevolezza di V. S. in alcuna maniera non compatisce d’esser paragonata con l’avarizia del Papazzoni; ma piuttosto (quando ci fossino forze corrispondenti all’animo) a quella d’Alessandro Magno. O per dir meglio, io, quanto a me, assomiglierei V. S. al pellicano, che siccom’egli, per sostentare i suoi figli, sviscera sé stesso, così lei per sovvenire alle necessità di noi sue care figlie, non avrebbe riguardo di privar sé stessa di cosa a Lei necessaria. Or quanto meno dovrò io dubitare che gli dia molestia il pensiero di dovermi mandare tre o quattro libbre di zucchero, acciò ch’io possa condir per lei i credri mandatimi? Certo ch’io non temo punto che questo pensiero e affanno abbia avuto forza di causargli una minima palpitazion di cuore, e con questa sicurtà ho tardato a dargli risposta. Oltre che sopragiungendo il medico (appunto quando m’ero messa a scrivere) chiamato da me per causa della mia maestra che si ritrova ammalata, già son parecchi giorni, e convenendomi assistere a lei e dopo a tre altre ammalate, mi fu impossibile il poter allora satisfare all’obligo mio, già che in quell’azione non mi era lecito mandar altre in mio scambio. Scusimi perciò V. S. della tardanza, e la prego che per carità mi mandi (per detta mia maestra) questo fiaschette pieno di vino di casa sua: che basta che non sia agro, già ch’il medico glielo vieta, e il nostro del convento è assai crudo.

Ancora desidero di sapere se V. S. potessi farmi aver da Pisa, quando vi sarà fiera, parecchie braccia di calisse per due monache poverette che mi si raccomandano. Caso che ella possa farmi il servizio, manderò la mostra e otto scudi ch’hanno voluto già consegnarmi per questo effetto. Perché ho molta fretta non dico altro, se non che prego nostro Signore che gli doni la sua santa grazia, e a Lei, alla zia, e a tutti i rabacchini mi raccomando.

sua figliuola Affezionatissima

S. M. Celeste.