Lettere (Sarpi)/Vol. II/210
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CCX. — Al signor De l’Isle Groslot.1
Crescono ogni giorno li oblighi miei verso V.S., e diminuiscono in me li modi di renderne alcuna ricompensa. Insieme con le sue delli 17 e 18 maggio da Lione, ho ricevuto il libro di Cuiacio, insieme con li altri che si è piaciuto mandarmi. Vorrei saper che cosa le fusse grato ricever di qua, non perchè io tratti con lei di ricompensazione, ma solo per dimostrar che riconosco li favori ricevuti. Le sue lettere con li libri furono portate dall’estraordinario nostro, il quale non passò...2 in Inghilterra, che non era venuto costì se non per la cosa di Grisoni; e ha avuto risposta assai poco pertinente, per la quale ognuno viene certificato che così non vi è altra mira, salvo il servizio di Spagna.
Quello che mi fa molto maravigliare in questo proposito, è che monsignor Pascale abbia fatto solenni e pubblici giuramenti per persuadere a quei popoli, non esser vero che vi sia alcuna conclusione di matrimonio tra Francia e Spagna. Con tutte queste difficoltà, nondimeno, spero che non saremo serrati in Italia, sì come vorrebbono quelli che dovrebbono più degli altri pretendere l’apertura di quella porta.
Ho sentito molto dispiacere della maniera tenuta dal signor Gussoni, se bene l’attribuisco più a mancamento di espressioni di buona volontà, che a difetto di quello. Con tutto ciò, io li toccherò qualche parola, perchè quando la corrispondenza non fosse in modo conveniente, meglio sarebbe troncarla. Con questa occasione li dirò, che li amici di Barbarigo risolvono che un altro vadi in Spagna; onde a lui toccherà Francia, ma questo non sarà se non l’anno seguente.
A Roma hanno imparato che la opposizione e contenzione non giova loro, ma mette li altri in vigilante difesa; e però, con dissimulata negligenza e con dimostrazione di creder ogni cosa, inducono negligenza vera e un sonno profondo. È verissimo che la tradizione di Badoero ha conseguenze, ma ancora segrete e grandi. Spero in Dio che questa sarà stata una alterazione di salute, e il fine sarà buono.
Mi dà gran gelosia la controversia che vedo nascere tra Reformati nelle cose di religione, massime essendone già nate altre molto pericolose in Olanda. Piacerà a Dio impedire i cattivi disegni; chè, quanto a me, tra tutte le imprese spagnuole, questa mi pare la maggiore, aver potuto dividere li Ugonotti. Ma perchè bene spesso si vede che Dio rivolta in bene le cose incommode, e che le desiderate tornano in male, voglio sperar nella Maestà sua divina, che farà terminare a buon fine e queste e coteste cose, se bene al presente noi non sappiamo divinar esito buono.
In Italia non abbiamo cosa di momento, perchè a Roma si continua il modo usato. Questo solo è di considerazione: che dovendosi creare a questa Pentecoste in Roma un generale dell’ordine di San Domenico e un altro di San Francesco, è stato comandato a Don Francesco di Castro, ambasciatore spagnuolo, che si ritrova a Napoli, di andar immediate a Roma, per assistere a quei capitoli e procurare che siano eletti Spagnuoli.
Il cavaliere Wotton si ritrova a Torino ambasciatore del re della Gran Brettagna; e se bene si dice che il suo negoziato non porti altro, salvo che il dar esclusione al duca del matrimonio della principessa, nondimeno molte congetture vi sono che quel duca, vedendo la stretta unione di Francia e di Spagna, pensi che sia necessario qualche contrappeso. Pensiero che piacesse a Dio entrasse nella mente di quelli ai quali è più necessario!
Il duca di Parma in questi giorni ha fatto morire dieci persone,3 fra quali sette sono nobili titolati, per conspirazione contro la persona sua; e si tiene per certo che la confiscazione di tutti li beni loro, eccetto che delli feudi, sarà applicata alli Gesuiti. Ma in Palermo a questi buoni Padri è avvenuto un bell’accidente. S’è morto un gentiluomo ricco, molto loro divoto, avendo fatto testamento, e instituito un figliuolo unico suo e li Padri insieme, dando l’esecuzione del testamento ad essi, con facuità di divider l’eredità come fosse piaciuto loro, e dar al figlio quella parte che li fosse parsa conveniente. Li Padri hanno diviso il tutto in dieci parti, e datone una al figliuolo, e nove ritenute per loro. Di questa così grande inegualità il figliuolo si è querelato al duca di Ossuna vicerè, il quale udite le ragioni da ambe le parti, ha confermato la divisione, ma voltati le termini: che al figliuolo tocchino le nove parti, e alli Padri una.
Se ben sono incerto, quando la presente debbe capitare in mano di V.S., non ho però voluto mancar di questo debito per baciarle la mano; il che fanno anco li amici.
- Di Venezia, il dì 5 giugno 1612.
Note
- ↑ Impressa come sopra, pag. 477.
- ↑ È, per via d’asterischi, questo segno di lacuna nella prima stampa.
- ↑ Eccone i nomi (e Vedi la nostra nota a pag. 221) — Contessa Barbara Sanseverina, conte Orazio Simonetta suo marito, marchese Gio. Girolamo di Sala figlio di Barbara, conte Alfonso Sanvitale, marchese Gio. Francesco Sanvitale, conte Pio Torelli, conte Gio. Batista Masi, capitano Bartolommeo Rovezan da Reggio, Oliviero de Olivieri parmigiano, Onofrio Martani perugino. I tre ultimi vennero impiccati: “Dopo questo fatto, un Padre Gesuita fece un sermone, stando nel palco dove avevano decapitati detti Signori, con animare la città ad esser fedele al suo Principe, et non atterrirsi per detto spettacolo.„ Tale è la conclusione di un racconto contemporaneo.