Lettere (Sarpi)/Vol. II/194

CXCIV. — Al medesimo

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CXCIV. — Al medesimo
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CXCIV. — Al signor De l’Isle Groslot.1


L’ultima mia fu delli 3 del presente, e per questo corriero non ho veduto lettere di V.S. La causa credo esser venuta dalli tempi sinistri che passano. Non ho voluto restare, se bene ho angustia di tempo, di farle riverenza, particolarmente per dirle, che si mette in ordine la congregazione delli padri Gesuiti per la primavera in Roma. Gli astrologi pronosticano sempre male dalle congregazioni delle stelle malefiche: piaccia a Dio, che è superiore a stelle ed a cieli, di convertir ogni cosa in bene. Credo che si faranno valer in Roma contro la Repubblica di Lucca, perchè in quella città sono stati lasciati eredi di una grossa facoltà da una [p. 266 modifica]gentildonna vedova, privati li parenti; e quei magistrati hanno dichiarato il testamento inofficioso, dove li Padri hanno perduto la loro pescagione.

Qui è tenuto ancora ch’è stata trattata la loro causa con la Università di Parigi, e giudicata, secondo che si aspettava, a favor dell’Università. Vado credendo che si stamperanno le arringhe fatte nella causa, dove intendo che monsignorr Servino e l’avvocato dell’Università hanno parlato dottamente e saviamente. Sto con molto desiderio di esserne fatto partecipe, come di cose che possono servir mirabilmente anco a noi.

Ho veduto la censura della Sorbona sopra li tre Sermoni, la quale non si può se non commendare. Dio volesse che tutta la dottrina della Sorbona fosse simile a quella! Ho veduto insieme un’Apologia che fa il padre Solier contra quella censura, molto petulante e veramente da gesuita.2 Forse da queste contenzioni ne nascerà bene; chè la Sorbona ritirandosi dalla nuova dottrina loro, capiterà in qualche buone opinioni. Le pretensioni spagnuole in Roma continuano: non so se si possa sperare che di là debba succedere qualche bene. Temo grandemente che questi buoni Padri non diano qualche tracollo in Francia; perchè intraprendono troppo arditamente i pregiudizi contro la libertà della Chiesa gallicana, ch’è un punto mal inteso da’ Francesi. Nè so, in vero, come abbino possuto sinora soffrire [p. 267 modifica]tante ingiurie: ma se una volta vi mettono la mano, son sicuro che faranno da buon senno. Il tempo maturerà le cose.

Del rimanente, non vi è altra cosa nuova, se non la continuazione dell’antica mia devozione verso V.S.; alla quale, insieme con gli amici, bacio la mano.

Di Venezia, li 18 gennaro 1612.




Note

  1. Stampata come sopra, pag. 435.
  2. Francesco Solier, gesuita dei più infaticabili, e autore di molte opere; tra le quali una versione in francese di tre Sermoni spagnuoli intorno alla beatificazione del Loyola. Questa traduzione fu condannata per quattro proposizioni concernenti il misticismo, e il Solier volle difendersi da tale censura nel modo che qui venne qualificato dal Sarpi.