Lettere (Sarpi)/Vol. II/176
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CLXXVI. — Al signor De l’Isle Groslot.1
Non ho intermesso di scrivere a V.S. dopo aver ricevuto il suo comandamento di doverlo fare con ogni corriero; e oggi quindici giorni sono le scrissi, quantunque quel dispaccio non m’avesse portato alcuna sua. Con questo ho ricevuto la gratissima delli 20 maggio, con le allegate di quel signor di Inghilterra, quali ho recapitato.
Stiamo tutti con gran maraviglia che differiscasi così lungamente la nuova edizione dell’Anti-Cottone. Io l’attribuisco alla prudenza di chi vuol veder l’esito dell’assemblea.
La fama sparsa che dalli Ugonotti fosse stato ucciso il re, senza dubbio viene da chi vuol guerra per causa di religione; e ho gran dubbio che la prudenza degli uomini savi non sarà bastante a impedire che non nasca qualche sedizione causata da tali infamazioni, la quale faccia la querela universale. Pure, la divina Provvidenza soprastà a tutti i disegni umani.
Il duca di Savoia ha pur disarmato, nè a Torino si tratta altro se non sopra il tumulto che nacque dalla falsa nuova che il duca fosse ucciso;2 della quale non potendosi penetrare in modo alcuno nè l’autore ne l’occasione, aggiunto anco che l’istesso tumulto è successo in altri luoghi del Piemonte, e in tutti contra Francesi,3 fa star molto dubbi li speculativi, se questa sia cosa che debbi portar seco conseguenza.
Le nuove di Germania sono piene di tanta confusione, che non è possibile far giudicio dell’esito, se non questo universale: che l’imperatore resterà affatto senza nissuna reputazione, e passerà questa qualità anco nel successore, sia chi si voglia; e li regni d’Ungheria e Boemia, perduto l’imperatore, non saranno acquistati al fratello se non in nome; ed essi, in luogo di libertà, daranno in una confusione che potrebbe esser finalmente la loro rovina, e a vantaggio de’ Turchi: i quali se concluderanno la pace di Persia, come sono vicini a fare, volteranno le loro armi nell’Ungheria, dove già pullulano i semi delle discordie per la causa di Transilvania.
Le confusioni di Germania non dispiacciono a Roma, come alcuno crederebbe, parendo loro che perciò saranno sicurati che non possi più esser imperatore che miri alle cose d’Italia, dacchè quella corte teme, perchè in altro non pretende maggiormente, che sopra lo Stato romano. Nè ai Gesuiti quelle dispiacciono, perchè essi nella confusione si maneggiano e crescono di potenza. E si vede in effetto, che in questi tumulti hanno fatto un nobilissimo collegio in Bamberga, e aumentato grandemente quello di Praga.
Qui in Italia siamo in ozio così nocivo, sebbene universalmente amato e desiderato, che voglia Dio non sia causa la sicurezza che si promette, di farci cadere in qualche repentino male. Non solo ci troviamo sicuri, ma giudichiamo anco impossibile che da nessun luogo possa venir chi turbi la nostra tranquillità.
Nella differenza che scrissi per la passata, col papa, per ancora non posso preveder quello che sarà. Dico solo, ch’esso ha detto contentarsi di ogni cosa, purchè in apparenza si mostri di portargli qualche rispetto: ch’è argomento di gran debolezza e timore. Fu in questa città, i giorni passati, il cardinale Gaetano, quale in giuochi e meretrici ha mostrato le sue virtù.4 Nessuna cosa fa maggior danno al servizio di Dio, quanto di credere a quei di Roma così facilmente. Questo addormenta i politici, che sono la maggior parte; dà animo ai papisti e lo leva ai buoni. Dio ci aiuti.
Io credo che le mie lettere riescano noiose a V.S., non per la lunghezza, ma per l’aridità; la quale nasce e dal mancamento di materia in questo nostro ozio, e dalla mia natural sterilità: quale prego V.S. che scusi, e creda certo che il desiderio di parlar con esso lei non m’impedirà di mettere fine alle lettere che le scrivo con dispiacere.
La risalutano il signor Molino e padre M. Fulgenzio, e io le bacio la mano, pregando Dio che benedica sempre le sue azioni.
- Di Venezia, dì 22 giugno 1611.
Note
- ↑ Edita come sopra, pag. 366.
- ↑ “Avvenne... uno strano accidente in Torino nel dì 6 di giugno. Non si sa da chi fu sparsa voce che al Duca era stata tolta la vita dai Franzesi nel parco. Di più non vi volle perchè il popolo di quella città, amantissimo del suo sovrano, eccitasse un fiero tumulto, gridando ad alte voci: Ammazza, ammazza i Franzesi. Prese l’armi, tutti andarono a caccia d’essi Franzesi, i quali udito il gran rumore, chi qua chi là corsero, a rintanarsi. Era sul mezzodì, e il duca, dopo data una lunga udienza, s’era coricato sul letto e avea preso sonno. Svegliato da’ suoi cortigiani e informato di quel disordine, corse tosto al balcone della Gallería per farsi vedere. Raffigurato che fu dal popolo, si convertirono gli sdegni in lietissime acclamazioni; ed essendosi cresciuta la folla alla piazza, il duca uscì in persona a meglio consolar gli occhi de’ suoi buoni sudditi, e si quetò tutta la sollevazione.„ Muratori, Annal. d’Ital. an. 1611.
- ↑ Applicando la regola fiscale del cui bono non pare da dubitarsi che l’occasione di quel tumulto fosse falsamente e con arte fatta nascere dagli Spagnuoli, e dai loro alleati i Gesuiti, a cui molto stava a cuore e tornava utile di turbare e rompere l’amicizia che allora passava tra Francia e Savoia.
- ↑ Bonifazio Gaetani, romano, avea grado di vescovo, ed era stato promosso alla porpora fin dal luglio del 1605.