Lettere (Sarpi)/Vol. II/157

CLVII. — Al signor De l’Isle Groslot

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CLVII. — Al signor De l’Isle Groslot
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CLVII. — Al signor De l’Isle Groslot.1


Per il corriero che partì di qui oggi a 15, risposi alle due di V.S. delli 2 e 3 settembre, che vennero insieme con una direttiva al signor Molino. Per questo corriere ho ricevuto quella delli 15, la quale con ogni ragione incomincia dall’ammonir la mia negligenza, che mai ha saputo scrivere a V.S. se non in risposta; il quale peccato non posso negare nè debbo iscusare, ma dir solamente che per l’avvenire mi correggerò.

L’ultima sua, sì come è un vero ritratto delle cose di costì, così mi ha mosso le lacrime, perchè osservando che non passano meglio qui nè in Germania, mi persuado esser la divina volontà, che ancora viviamo sotto il giogo. Ma se così è sua gloria, dobbiamo conformarci alla sua volontà e renderli grazie. Quanto s’aspetta a costì, se la regina avrà [p. 147 modifica]tanta virtù (il che io non credo) che possa sostentare quell’assoluto governo, farà miracoli, almeno per quanto tocca le cose umane; ma se altrimenti, aspetto che in breve sarà fatta una lega con rovina del regno.

I nostri hanno perduto il zelo, perchè il papa procede con ogni mansuetudine, come anco perchè per quella via non si ascende: indizio manifesto, che il passato non era da Dio; il perchè non è da maravigliarsi s’è restato senza effetto. Si aggiunge bene, che dubitando qualche cosa da’ Turchi, pare che bisogni trattenersi col papa e con Spagna; e così Dio si lascia indietro. Non veggo altro rimedio per conservare o nutrire quel poco che resta, se non venendo molti agenti di principi riformati; e massime de’ Grisoni, perchè questi farebbono l’esercizio in italiano.

I Gesuiti, benchè assenti, non fanno manco male qui che costì, con lettere e instromento di preti e frati confessori: i quali non mi maraviglio se possedano costì la regina, perchè l’adulazione è mezzo potente per aver la grazia, massima de’ deboli. Ho letto la rimostranza presentata per nome dell’Università, molto bella scrittura e degna di monsieur l’Eschassier, se è sua. Quel particolare che non si sia trovato avvocato per l’Università se non comandato, può ben esser documento che la potenza dei padri Gesuiti è insuperabile. Io mi son riso dell’offerta di sottoporsi alli statuti dell’Università; perchè essi, quando ricercano l’ingresso in qualche luogo, non restano di fare qualsivoglia promessa, avendo arte di salvarsi di mendacio con le equivocazioni e riservazioni mentali; e, quel che importa più, di sormontar quelli che gli avranno obbligati, [p. 148 modifica]e sforzarli a lodare, non che a contentarsi che non osservino niente. Mi pare di vedere la Francia in breve tutta gesuita.

L’Anti-Cottone è una molto bella scrittura e soda, e mi rende l’autore molto ammirabile; alla quale non so se con molta facilità un altro potesse giungere. Senza dubbio il Padre,2 per quel che mi dice, non si promette tanto. È troppo piena la Francia dei soggetti potenti e dotti, massime riformati, ch’egli possa ardire di poter aver luogo in così illustre numero; senza che l’avvertimento di quell’antico è da esser tenuto nella memoria: Non esse scribendum in eos qui possunt proscribere. Però, in tutte le cose umane si pesa il bene e il male; nè è prudenza, per una leggiera cosa come quella che potrebbe far esso Padre, perdere l’occasione di qualche migliore; sì come egli mi dice, che non curerebbe niente per fare qualche cosa di buono, e dove valesse.

Ma poichè siamo in questo proposito, le dirò che finalmente, con estrema opera, ho acquistato un esemplare stampato in Roma delle loro Constituzioni dell’anno 1570. Di che le dirò prima, che innanzi di vederle, non sapevo dire che cosa fossero Gesuiti; perchè il toccare le loro azioni riceve risposta con dire: — Sono abusi de’ privati, che non tirano in [p. 149 modifica]conseguenza l’universale; ma l’instituto è quello che mostra qual sia il comune. — Poi le aggiungerò, che se sino al 1574, quando non erano niente e quando non avevano fatto alcuna impresa, si scorge la mala semenza; chi potesse vedere le susseguenti d’allora fino al presente, potrebbe ben scrivere qualche cosa bella e utile al mondo. Considerando li andamenti di questi Padri da trent’anni in qua, io veggo che sempre si sono posti unitamente ad una impresa particolare. Se bene si tratta in una sola regione, adesso metteranno tutte le loro forze in Francia, per veder di spuntare e farsene padroni; e ardisco di dire, che le cose mostrano tale faccia, che per necessità conviene o che ottengano il suo fine, o che rovinino. Dio faccia, se così è sua gloria, che succeda il secondo, perchè il primo non può avvenire senza una guerra civile; a che essi metteranno ogni industria.

Ho visto una scrittura stampata in Parigi di un miracolo del beato padre loro Ignazio; e mi pare cosa bella che gli abbino dato ufficio di far pisciare le putte, come agli altri pari suoi il suo. Ho veduto una scrittura francese d’una damigella G., e vado congetturando che sia madamigella di Gournai,3 a favore di questi Padri, ricompensa del miracolo: ed ho creduto che quella ne sia l’autore, perchè nomina e commenda Badouere. Gran cosa che ateisti e Gesuiti s’accoppiano così facilmente! [p. 150 modifica]

Il signor Castrino non ha mai mancato di mandarmi tutte le belle cose che escono in luce costì, e per questo resto molto obbligato e a lui e a V.S. Intorno a che presi anco ardire nella mia passata di pregar V.S. per l’Apologia in francese, e non in altra lingua, del padre Richéome; nè al presente saprei che vi fosse altro necessario per i miei usi. Il signor Molino scriverà per questo spaccio al signor ambasciatore, che dia il pacchetto al signor Agostino Dolce; e se a V.S. tornasse fatto senza suo incomodo di trovar alcuna di quelle apologie, mi farà piacere. Il suddetto signor Agostino, ovvero il signor Anselmi, segretario dell’ambasciatore, che torna in qua, me lo porterebbe. Ma il tutto sia senz’alcun incomodo di V.S., sì perchè nessuna cosa mi sarebbe grata con quello, come anco perchè il bisogno non merita che sia preso incomodo. Mi pare che Cuiacio scrivesse alcune cose in Canonica,4 e noi qua in Italia non le abbiamo mai vedute: le altre opere sue sono qui frequenti e celebrate, e io le leggo con gusto e frutto, che mi fa credere che anco le Canoniche siano altrettanto degne, se non più. Mi sarebbe molto grato sapere se si trovano; il che potrà V.S. una volta intendere, quando per qualche accidente si troverà a Parigi.

Ho più volte pensato di ampliar la cifra con note per le sillabe più usate; ma perchè non sono le medesime quelle della lingua francese e [p. 151 modifica]dell’italiana, non ho saputo come fare. Le più usitate appresso a noi sono quelle che entrano nel declinar i verbi; ma la declinazione francese è tanto diversa, che quelle non servono niente. Quanto alla lettera X, per non confondere la con le,5 il suo carattere potrà essere ZZ, e così ho notato nella mia cifra.

Aspetto con molto desiderio di sapere quel che avrà fatto il duca di Feria, che non potrà esser se non male, considerato chi è e di dove viene. A Guise ho sempre creduto poco, sì come a tutta la casa sua; e meno credo, poichè fa matrimonio con Gioiosa. V.S. mi farà singolar favore scrivendomi con qualche minuzia le qualità di quel Barrave, che va a Roma, e ancora la qualità di quel che viene qui. Espernon, senza dubbio, non farà se non male. Fa ben bisogno a’ riformati star con molta avvertenza.

In quel che tocca le cose d’Italia, io non posso dire a V.S. se avremo guerra o pace. Due cose credo; una, che li Spagnuoli faranno ogni cosa per non far guerra; l’altra, che il duca di Savoia farà ogni cosa per farla, a suo vantaggio però. Ma gli uomini s’impegnano, e se bene operano ad un fine, molte volte sortiscono il contrario. Potrebbe occorrere che li Spagnuoli fuggendo la guerra, la incontrassero. Al presente, se bene siamo tanto innanzi, restano i medesimi soldati nel ducato di Milano, esausto perciò molto, con pericolo di rovinare, anzi con certezza, se inverneranno; il che non sapremo se non per l’evento. Ed in Spagna, se bene intendano tanta desolazione, non ne tengono conto, parendogli avanzare per la spesa che fa il duca di [p. 152 modifica]Savoia: però lo stato di questo non è in così mali termini come il loro. Egli temendo che li Spagnuoli, cadute le nevi, quando il passo del Delfinato non sarà facile, possino fare qualche tentativo, ha accresciuto le sue genti con quattro mila francesi sotto il duca di Nemours, e se ne stanno così. Il principe Filiberto suo figliuolo ha accelerato il suo viaggio in Spagna, dove a quest’ora forse deve essere. Alcuni dicono che non era così volontà del padre, ma ch’egli ha temuto di non esser richiamato da lui. Ed è vero. Spagna ha intelligenza eziandio con i figli contra il padre; politica nuova nell’Italia, ma vecchia nella monarchia di Spagna: e, per me, credo che di questa lezione i Gesuiti ne tengono scuola, ed è sicuro che assolverebbono d’ogni colpa il diavolo, quando questo volesse accordarsi con loro. Ora consideri V.S. quel che si può sperare costì, e noi qui.

Ma io son troppo importuno con tanta lunghezza, alla quale m’ha trasportato il gusto del parlar con lei, qual doveva però esser moderato e non voler corrispondere all’affetto, come cosa impossibile. Farò fine baciandole la mano.

Di Venezia, il 12 ottobre 1610.




Note

  1. Dalla raccolta di Ginevra ec., pag. 290.
  2. I lettori si saranno avveduti degli indizi, che da qualche tempo incontriamo, che queste Lettere fossero composte o almeno scritte a nome di Fra Fulgenzio, o di qualche altro confidente dell’Autore. Tutto a noi sembra che si facesse per precauzione, ed ora nell’un modo ora nell’altro. In quanto alla presente, non può non riconoscersi lo spirito e la dettatura di Fra Paolo in quella sì aperta dimostrazione del modesto sentire di sè, che altri forse non avrebhe osato di scrivere.
  3. L’abbastanza nota Maria le Jars di Gournay, che Michele de Montaigne avea scelta a sua figlia addottiva. Il suo benefattore era stato cattolico temperato; ma la donna, secondo il solito, non potea non cedere alla seduzione di quei che insidiano alla debolezza muliebre sotto il mantello della religione.
  4. Il sommo giureconsulto, Giacomo Cuiacio, visse alienissimo da tutte le controversie religiose e teologiche; e come i grand’uomini sono per lo più fissi in una sola idea, quando d’esse udiva parlare, soleva rispondere: Nihil hoc ad edictum prætoris.
  5. Segue nel testo una parola mal comprensibile, e quand’anche compresa, disutile; cioè: “nulle.„