Lettere (Sarpi)/Vol. I/50

L. — Il Doge di Venezia

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L. — Il Doge di Venezia
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L. — Il Doge di Venezia.1


Serenissimo principe

Ne’ giorni passati vi fu occasione di discorrere, se l’eccelso consiglio de’ Dieci sia tenuto chiamar il Vicario patriarcale per intervenire all’esame de’ rei ecclesiastici retenti per decreto di quel medesimo consiglio; e se torni a pregiudizio delle ragioni pubbliche, che per l’avvenire si continui a chiamarlo: per il che fu imposto al mio carico di rappresentare a Vostra Serenità riverentemente, in questo foglio, quel che tengo esser di ragione e di servizio publico.

Certa cosa è, per la dottrina evangelica, che Cristo nostro Signore ha fatto esenti da ogni potestà temporale i ministri suoi nelle cose spirituali, che appartengono alla salute dell’anime ed al regno de’ Cieli. È parimente cosa certa per tutte le storie sacre e profane, che gli ecclesiastici sono stati giudicati ne’ delitti temporali da magistrati secolari solamente, e che i vescovi non avevano alcuna criminale giurisdizione per molti anni, anco dopo Giustiniano imperatore, che regnava ancora nel 565; e che ne’ tempi seguenti, fu da diversi principi, per varie occasioni, a poco a poco concesso ai [p. 174 modifica]prelati di punire i chierici anco nel criminale, esentandoli dai magistrati secolari. Non si troverà però mai, che niun principe supremo li abbia esentati dalla potestà sua propria, sicchè si sia privato di poter giudicare qualsivoglia di loro in que’ casi che egli, per il ben publico, riputasse necessario di doverlo fare.

Così è occorso a Venezia: o per legge di tempi scorsi o per consuetudine simile a quella dell’imperio, gli ecclesiastici sono stati esenti da magistrati inferiori. Non bisogna però supporre che mai la Repubblica abbia avuto mente di privare se stessa, cioè quella parte di lei che sostiene la maestà, della podestà di giudicare in qualunque causa parrà necessaria per ben publico. Leggendo le storie, e vedendo le memorie che si conservano ne’ segreti archivi, si troverà che i magistrati supremi hanno sempre esercitato questa podestà, data da Dio alla Repubblica, eziandio prima che si avesse breve alcuno dalla sede apostolica in comprovazione.

Perciò, anche al presente, conviene far differenza tra l’eccelso consiglio de’ Dieci, che sostiene la persona del principe, e gli altri consigli e magistrati. Di quello, non bisogna in alcun tempo concedere che riconosca la sua podestà da altri che da Dio e dalla Repubblica, nè che possa la sua podestà esser limitata o ristretta da qualsivoglia persona, eziandio ecclesiastica. Gli altri consigli e magistrati, come quelli che hanno potestà limitata, saranno astretti ad osservare le formole prescritte.

Quest’istesso apparisce chiaramente da’ brevi de’ pontefici, che concedono a qualche particolar magistrato di giudicare gli ecclesiastici ne’ casi [p. 175 modifica]enormi, essendo il vicario patriarcale agli esami. Imperciocchè Paolo III, ch’è l’ultimo e, per conseguenza, dà forma a tutti gli antecedenti, conferma una tal concessione agli avogadori di Comune, con li consigli di Quaranta solamente, e non ad altri magistrati. Niun breve però parla del consiglio dei Dieci; di cui si deve per necessità supporre, che non può da’ brevi ricever podestà e autorità alcuna, nè ha bisogno di approvazione alcuna apostolica per giudicar ogni sorte di persone, nè è obbligato ad ammettere a parte2 alcuna prelato, o servare alcuna particolare formola; come quello che esercita la podestà naturale data da Dio alla Repubblica, la quale non può restringersi o limitarsi da veruna creatura. Siccome, dunque, non è obbligato a chiamar il Vicario all’esame, così non è convenevole in modo alcuno il chiamarlo, benchè restino obligati a farlo gli avogadori, quando che giudicheranno con li consigli di Quaranta. Si vede non esser convenevole per molte ragioni potentissime, delle quali ne riferirò due solamente.

I. Quello che farà l’eccelso consiglio de’ Dieci in ammettere per sua grazia il Vicario all’esame, quando sarà osservato per qualche tempo, gli ecclesiastici lo vorranno per obligazione; anzi diranno che non è grazia fatta loro d’assistere, ma grazia fatta da essi al principe di giudicare colla loro assistenza. Quindi, se lor piacerà, diranno di volerla rivocare, restringere: interpretare e, col progresso, in luogo d’intervenir all’esame solo, tratteranno d’intervenir alla instanza ed alla ritenzione; poi, [p. 176 modifica]d’esser eglino i principali; ed infine, d’escluder totalmente il secolare.

II. O si vorrà concedere l’assistenza in tutti i casi, ovvero solo ne’ delitti non toccanti lo Stato. Se si vorrà concedere in tutti, resterà inevitabile il pericolo di pubblicarsi qualche cosa che dovesse necessariamente star segreta. E in verità, che si farebbe, se giudicato venisse un ecclesiastico per causa di Stato, nella quale c’entri l’interesse de’ preti, come ogni giorno può occorrere? Se si vorrà eccettuare la causa di Stato, ci si potrà opporre che non si osservan le bolle; imperciocchè quella di Sisto IV nominatamente dice che il Vicario assista ne’ delitti di maestà; e quando il consiglio de’ Dieci si riconosce, obbligato per virtù delle bolle a chiamare il Vicario in qualche caso, bisogna necessariamente, che tale si conosca ne’ casi tutti.

Aggiungo ancora, che alle volte, e spesso, potrà occorrere che sia ritenuto un ecclesiastico, ed il publico interesse richieda che non si penetri fuori se sia per causa di Stato. Se si chiama, si saprà qual causa è.

E pure può essere che quantunque non sia causa di Stato, sia utile che si creda di sì; ed altro caso può venire dove sia causa di Stato, e metta conto che si creda di no. Di tali beneficii, con chiamar il Vicario senza necessità, la Repubblica volontariamente si priva.

Per queste considerazioni, credo fermamente che siccome l’eccelso consiglio non è in obbligo di far assistere il Vicario in caso alcuno, così ancor sia di molta sua convenienza e di grande servigio [p. 177 modifica]pubblico il tralasciar d’ammetterlo ne’ casi tutti: sottoponendo però il mio debol parere alla somma sapienza di Vostra Serenità. Grazie ec.




Note

  1. Stampata tra le Opere dell’Autore, tom. VI, pag. 161. È il secondo saggio che noi produciamo (vedasi a pag. 17-33) delle Consultazioni o Consulti che il Sarpi andava via via scrivendo per ordine pubblico, e che vuolsi ascendessero al numero di “settecento e più.„ nei diciassette anni ch’egli stette ai servigi della sua Repubblica (Griselini, Memorie aneddote di Fra Paolo ec., pag. 157.)
  2. Intendasi qui parte nel senso di deliberazione.