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lettere di fra paolo sarpi. | 175 |
mi, essendo il vicario patriarcale agli esami. Imperciocchè Paolo III, ch’è l’ultimo e, per conseguenza, dà forma a tutti gli antecedenti, conferma una tal concessione agli avogadori di Comune, con li consigli di Quaranta solamente, e non ad altri magistrati. Niun breve però parla del consiglio dei Dieci; di cui si deve per necessità supporre, che non può da’ brevi ricever podestà e autorità alcuna, nè ha bisogno di approvazione alcuna apostolica per giudicar ogni sorte di persone, nè è obbligato ad ammettere a parte1 alcuna prelato, o servare alcuna particolare formola; come quello che esercita la podestà naturale data da Dio alla Repubblica, la quale non può restringersi o limitarsi da veruna creatura. Siccome, dunque, non è obbligato a chiamar il Vicario all’esame, così non è convenevole in modo alcuno il chiamarlo, benchè restino obligati a farlo gli avogadori, quando che giudicheranno con li consigli di Quaranta. Si vede non esser convenevole per molte ragioni potentissime, delle quali ne riferirò due solamente.
I. Quello che farà l’eccelso consiglio de’ Dieci in ammettere per sua grazia il Vicario all’esame, quando sarà osservato per qualche tempo, gli ecclesiastici lo vorranno per obligazione; anzi diranno che non è grazia fatta loro d’assistere, ma grazia fatta da essi al principe di giudicare colla loro assistenza. Quindi, se lor piacerà, diranno di volerla rivocare, restringere: interpretare e, col progresso, in luogo d’intervenir all’esame solo, tratteranno d’intervenir alla instanza ed alla ritenzione; poi,
- ↑ Intendasi qui parte nel senso di deliberazione.