Lettere (Isabella Teotochi Albrizzi)/XXXIV

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Mio dilettissimo Foscolo,

Venezia, 14 febbraio 1824.

Colgo l’occasione sicura di un amico che parte per Parigi, onde dargli un letterina per voi, ad oggetto di sgridarvi ed accarezzarvi nel tempo stesso. Dico sgridarvi, perchè non solo non mi avete mai scritto, ma nelle vostre lettere ad altri dirette, mai non si trova un segno di ricordanza, mai un saluto per Isabella: ed accarezzarvi poi dicendovi, che siete sempre presente alla mia memoria, che il vostro nome e le vostre lodi sono famigliari nella mia casa, e che quanto io posso vi onoro citando spesso i vostri bellissimi versi nelle mie descrizioni delle opere di Canova. Al quale proposito mi scrivono da Londra che le stanno traducendo, e che già ne sono uscite varie puntate; ma siccome non mi dicono di più, vorrei che mi faceste il favore d’informarvi e di scrivermi se le traducono così come sono, e se intagliano i rami, oppure se fanno come in Francia, ove ritagliano i rami e le traducono, ma ove, per verità, la testa spesso e la coda non mi appartiene. Fanno inoltre una strana applicazione de’ vostri versi, prendendo per la citazione Sepolcri che que versi sieno da voi scritti per esser collocati in questo e quel sepolcro. Ora appunto che sto facendo la descrizione del modello per Nelson, ho potuto abbellirla de’ versi:


ove clementi
Pregaro i Genj del ritorno al prode
Che tronca fe la trionfata nave
Del maggior pino, e si scavò la bara.


Pregovi dunque a scrivermene qualche cosa; e se non vi fosse difficile, vi prego di acquistarmi una puntata di questa traduzione, e con prima occasione mandatemela2.

Ma intanto che la non facile occasione vi si presenti, scrivete. Vi raccomando poi questa mia operetta, della quale sono presso che al termine, essendone già uscite ventisette o vent’otto puntate. Amatela almeno perchè porta sì di frequente ripetuto il vostro nome.

Veggo qualche volta la sorella vostra e sempre Naranzi; sicchè potete credere che delle vostre nuove non sono digiuna. Vorrei sentirvi contento; ma pur troppo è vero che uno scrittore italiano non è gustato e apprezzato quanto merita che in Italia, perchè altrove poco si studia e si conosce la nostra lingua. Che farete in Inghilterra del vostro bellissimo stile, sia che scriviate la prosa o il verso? Se chi parla la lingua non propria dicesi che rimanga con la metà del suo spirito naturale, figuratevi poi chi la scrive! Ed è uno di quei prodigj che voi solo sapete operare, d’essere tanto stimato, quanto siete, all’estero. Qualunque Inglese (uomo di merito, bene inteso) qui arrivi, o di persona o di fama vi conosce perfettamente; ed è per me un piacere dolcissimo quello d’intrattenermi di voi, piacere che ho frequenti volte anche con l’ottimo Frere.

Pindemonte sta bene, ed ora riposa sopra i suoi allori, dopo la traduzione dell'Odissea. È questo il primo inverno in cui ci ha abbandonati; ma promette di ritornare in marzo.

Monti è vecchio, sordo, mezzo cieco e tristissimo dopo la morte del suo e nostro Perticari.

Soranzo Tomaetto sta bene e vi saluta, e il mio Giuseppino poi, con tutto il cuore.

Se mai vedeste Pesaro e Sanseverino, salutatemeli.

Addio, mio dilettissimo amico, addio. Scrivetemi una lunga lunga lettera, che in qualche parte almeno compensi il lungo sileuzio. Addio.

Isabella Albrizzi.


Note

  1. Pubblicata dall’Orlandini e dal Mayer nell’Appendice all’Epistolario di Ugo Foscolo. Vol. Il. Firenze - Le Monnier - 1854.
  2. In data ’dell’agosto 1824 Ugo Foscolo le rispondeva "Saggia e cara Isabella - Detterò da letto per non farvi aspettare una lettera che fors’anche, s’io l’indugiassi, non potrei scrivervi mai: e a me preme d’avvertirvi come io, sotto fede datami ch’ei ve lo recapiterà spedito e sicuro, ho consegnato al signor Vendramini un involto contenente sedici fascicoli (chè tanti ne sono usciti) delle vostre Descrizioni tradotte, Il libraio, per non guastare la serie, non volle venderie spicciolate; e d’altra parte l’opera vostra è sì elegantemente illustrata, e i disegni sono tanto lodati, che non mi è bastato il cuore di privarvene … Però, Isabella mia cara, quando e come potrete, pagherete quel poco danaro alla povera sorella mia, la quale io compiango assai più, perchè si crede sorella di fratello snaturato dagli agi".
    Quando il Foscolo riceveva la lettera dell’Albrizzi, soffriva terribilmente la miseria ed il mal d’occhi, abitava ad un miglio da Londra per fuggire la derisione dei grandi, e per campare meditava di dar lezioni di lingua italiana.