Lettere (Filippo Sassetti)/Lettera XV

Lettera XV

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XV.

Al Medesimo.


Molto Magnifico Sig. mio. osservandiss.


Arrivato quì io sono peggio, che la Luna da Bologna. Ho trovato due Lettere vostre, e una di quel poveretto; delle vostre una è de’ 30. di Novembre, l’altra de’ 14. di Dicembre, per le quali veggo, come avevate inteso la risoluzione mia dell’andare sin così in India, e stimavate la risoluzione troppo animosa; voi mi potevate dire dappoco molto più scopertamente, che voi non avete fatto; che della modestia vi ringrazio; sempre foste così; or pensate voi, che centomila villani abbiano a andare in India, e io nò? per la mala ventura, se io sarò più codardo di loro. Nella seconda vostra mi andate proponendo gl’inconvenienti delle guerre, e de’ Don Antonj, e delle Reine d’Inghilterra, che non si vestono oggidì in forma di Abate per andarsi procacciando pel Mondo le venture, come le figlie de i Re facevano già, ma facendo il caso loro più alla libera, mettono pensiero alli amici degli amici. Or ponete da un canto tutti questi timori, e se voi farete a senno di chi ben vi vuole, non aspettate il nostro Re a Milano per quest’anno, che quell’odore benedetto della casa d’India ha fatto a lui come a me. Egli è ben vero, che egli ha questo sentimento dell’odorato più squisito di me, che e’ sente, e gusta sentendo solamente, io me ne rimango con l’odore, del quale è questione tra’ Filosofi, se nutrisce, o nò; parmi, che ’l Dottor Messer Graziano la potrebbe risolvere più che mai meglio, perchè in certi annali si trova scritto, che noi siamo composti di quelle medesime cose, che ci nutriscono. Or chi direbbe mai, che noi fussimo composti di odore? nè anche Octavio colla sua Dialettica, che rassomigliava Aristotile a quei, che cantando storpiavano il Furioso, la saprebbe dare ad intendere. Torniamo al caso nostro. Don Antonio in possesso del Regno non lo seppe difendere; pensare quello, che saprà fare a conquistarlo. Ridicolo suggetto di Tragedia sarebbe il suo; proponetelo un poco a qualcuno di codesti Accademici. Quel nostro Cirres ha un debole argomento a mantenere la gloria di Casa, e se piglia l’impresa di rimettere Don Antonio, credetemi certo, ch’e’ non darà materia pel Poemone al parente, amico, e sozio nostro garbato. Sicchè, Sig. Francesco mio, io non mi riterrò per questo per questo unquanco, o guari di non porre in opra il disegno mio, di che si va velocissimamente appressando il tempo, e voi con ugual passo discostandovi dal darmi qualche pegno dell’amicizia nostra, la quale non vorrei io, che fosse disciolta dalla lunga distanza del luogo, e dall’annuo silenzio, che ci converrà imporre alle nostre penne; ma non si potrà già scancellare della fantasia mia, quanti sieno i meriti vostri, per essere amato, e certo, che questo volontario esilio non mi si fa per altro sentire, che per rimanere senza speranza per molto tempo di vedere gli amici miei cari, i quali sapere voi quali, e quanti sieno, e quanta ragione io abbia d’osservargli, e di desiderare di vivere con esso loro; ma quell’altro pensiero più può, che io non posso, e mi comanda già da molti anni, sicchè mi conviene pure di ubbidirlo; piaccia a Dio, che sia tutto a suo santissimo onore, e per quiete, e contento dell’animo mio .... Io fornico, e mi vi raccomando. Addio Messer Francesco mio.

In Siviglia a’ 5. di febbraio 1582.

Affezionatis. servit.

Filippo Sassetti.