Lettere (Filippo Sassetti)/Lettera XIV

Lettera XIV

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XIV.

Al Signor Francesco Valori. Firenze.


Molto Magnifico Sig. mio. Osservandiss.


Andava pensando, poichè tanto era stato senza scrivervi, se egli era bene scorrere ancora altrettanto, e farlo poi, quando la lunghezza del tempo non mi avesse tolto, di mente nò, la morte violenta del vostro fratello, che questo non potrebbe essere, ma datomi licenza di non trattar con esso voi di cosa, che so certo, che vi trafigge l’anima, e che non potrà essere, che in trattandone tra di noi, il dolore, e la pena non vi si moltiplichi per mille doppi. E certo che io mi sarei attenuto a questo consiglio; ma il trovarmi quà come solo, e dove non sia nessuno, col quale io possa in qualche parte dare esalazione al molto affanno, che mi ha recato la nuova di questo così atroce caso, fa, che io venga adesso a travagliare voi di nuovo, significandovi il dispiacere preso, il quale sarà dirittamente misurato da ciascuno, che sappia quanto ami voi, ed amassi il vostro fratello; in che fare nè sono, nè sono stato solo, perchè tale era la bontà sua, che piegava l’animo degli uomini tutti, ancora che assai non avessero sua conoscenza, ad amarlo, e desiderargli bene, di maniera che quando io considero il caso seguito, non posso stimare, se non che uno, che avesse in odio tutta la gioventù Fiorentina, si sia voluto di lei vendicare per questo verso; che quanto all’avere ricevuto ingiuria da Pagolantonio buona memoria, io andrò sempre molto adagio a restarne capace, avendolo conosciuto sempre di maniere tali, che oltre alla bontà concedutagli da Dio, e dalla natura, vi era aggiunto in lui una maniera straordinaria d’arte singolare di pieacere, e dar contento a ciascuno, la qual cosa si è conosciuta, per quanto io ho ritratto, nella malattìa, morte, e sepoltura sua, siccome io credo veramente, che sia avvenutno nel suo giudizio, riputandolo per certo nella gloria degli eletti di Dio, di sorte tale che quando io a tutto penso, mi lascio trasportare in questo parere, che io vorrei anzi essere Pagolantonio morto, che chi l’ha morto vivo, sia egli segreto, sicuro, e in se medesimo giustiziato (se questo però esser puote) quanto esser si voglia potendosi alla fine di Pagolantonio desiderare dieci, venti, o cinquant’anni di vita, e dell’altre cose poche, perchè egli era Fiorentino, de’ Valori, nato de’ Medici, con tante facoltà, quante gli bastavano a viver come chi egli era, dotato da Dio d’intelletto singolare, inclinato ad ogni opera buona, aveva i suoi amici intrinsechi, e particolari, ed era , come io dissi, amato da ciascuno, se non se da uno, che facilmente avea per fine di essere odiato da tutti. Non si possono vedere le cose, che hanno da venire, donde nasce, che le presenti molte volte perturbando molto più, ch’elle non dovrebbero; e pure avvengono accidenti tali, che se l’ossa de’ morti potessero ripigliar la carne, figura, e spirito loro, io non credo, che elle si facessero, e perciò, dato che si sia luogo convenevole alla passione, e all’affetto fraterno, bisogna rimettere il tutto in Dio, e confomarsi co suo tantissimo volere, siccome io vi prego a fare, rendendovi certo, che se e’ vi è mancato un fratello naturale, ve ne sono rimasti molto volontarj, e molti, de’ quali voi avete a fare poco minore stima, che d’uno, che ve ne nascesse adesso, se possibile fusse; nel numero de’ quali, comecchè poco vaglia, avendo riguardo all’animo mio, avere a reputare me, assicurandovi, quanto per carta fare si possa, che se io mi sono rallegrato delle cose, che prosperamente vi sono succedute, altresì mi sono afflitto di questa calamità vostra, quale prego Dio, che vi sia rimutata in qualche avventuroso successo in quel modo, che piacerà a Sua Divina Maestà. Questo caso sinistro, oltre agli altri cattivi effetti, ch’e’ partorirà, forzerà voi a cominciar pure adesso a vivere di nuovo; cosa tanto dura, quanto sa chi l’ha provata, come io; ma convenendosi fare quanto più s’avaccia, men tempo si getta, e men faticoso pare. Voi avete con non molti anni giudizio saldo, e potrete molto bene scorgere da voi stesso quello, che da voi aspetti la Casa vostra; avete molti amici, e parenti, e tra gli altri lo Eccellente M. Baccio vostro, nel quale, oltre alla bontà, ed al giudizio, si è congiunto l’amarvi come proprio suo figliuolo, di che mi sono avveduto molte volte, e ve l’ho detto, e voi altresì l’avete conosciuto, e perciò è cosa ragionevole, e che egli vi consigli, ed aiuti, e che voi seguitiate il parere suo, che non sarà mai lontano e dal vero, e dal bene. Di me, e de’ miei casi vi posso dir poco altro, se non che io presi un granchio, per riparare all’altrui mala fortuna, a credermi alla ventura; tuttavia io andrò secondando questa vita così il meglio, che mi sarà conceduto. Siamo già stati quì 18. mesi con la Peste, quale in questi ultimi 6. ha fatto del male. Parmi sentire, che 15. giorni dopo se ne trovassero rassegnati 58. mila , e non ci vanno le cose così per l’ordine, che non si abbia a stimare, che ne sieno morti molti più. Sonmi scaramucciato quanto io ho potuto per non venir seco alle mani, e come ancacciuto forte che io sono, non ho saputo scambiettar sì, che ella non mi abbia bucherato due volte per casa, e portatone seco due Neri; restisi quì la cosa, e basta. In Lisbona dicono, che non ne muoiono se non da 15., o 20. il giorno, e certo, che se ne potrebbe sperare tosto la liberazione, se le cose vi andassero con qualche ordine, ma le loro Leggi, e’ loro stabilimenti sono come già il bando da Siena, sicchè ci bisogna un modo singolare, e divino di liberarsene, che quanto all’arte di costoro, ella (dico la Peste) non se ne muoverà di quì. Della guerra abbiamo avuto paura sempre, da poi l’ultimo scurare della Luna in quà, nel qual punto morì M. Arrigo1ultimo Re de’ Portoghesi; infino a quì non è per ancora scoppiata la cosa, e in quanto a temperanza, si potrà ormai lasciar l’esempio del Computista maggiore di casa Strozzi, perchè in questo fatto egli è trapassato fino a quì; non sò quello si seguirà, che se la cosa va in lungo molto, si potrà poi dire: compita sette; intanto i nostri Soldati non patiscono, anzi abbondano di tutte le necessità loro, e come diceva Messere Giovanni Berti nostro, sono in un paese, dove vi sono più sete, che lane, sebbene le lane vanno di quì per tutto il Mondo; nè anche il ben fresco sarà stomacaccio loro; oh poverelli, quanto hanno patito, e da patire! Di quei Coluri mi pare quasi, che voi ve ne faceste mezzo mezzo beffe, imperò ce ne sono che dire molte cose degne, e come diceva il mio Padre metafisico di Pisa, da darne di belli avvisi. Interviene a questa gente bestiale quello, che avverebbe a un muratore senza più, che trovata una pietra fine, e rilucente, se ne servisse a tirar su un pezzo di muro, come di qualunque altro sassaccio, e mattone; ma non è tempo adesso da tener questi propositi, e se Dio vorrà, che si possa, altra volta ve ne ragioneremo con maggior fondamento. Sonmi andato passando già presso a sei mesi di villa con la Sfera d’Oronzio2trattata da lui più che ordinariamente, sebbene in qualche cosa si scosta dall’opinione comune, e talvolta piglia qualche errore. Ho similmente veduto dell’uso di quella mia girella, nella fabbrica della quale Maestro Sanino ha fatto parecchi errori, ora seguento le pedate di quel suo primo Maestro, ora non potendo conoscere gli errori della stampa, parte de’ quali ne ho trovati in cielo, e parte in terra; pure come di cose, che io ci ho potuto rimediare, me ne son passato. E’ quello uno strumento di velluto, e d’oro de’ più perfetti, che a creder mio si possono fare, massime se vi si aggiungessero alcune cose, che aggiunger vi si potrebbono in paesi, dove gli uomini non hanno il cervello differente dagli altri d’altri paesi, se non fino a un certo che. Ma di questo altra volta, che ora è tempo di fornire, siccome io intenda fare, e perciò con raccomandarmivi vi prego a salutare Mess. Federigo, dal quale non ho avuto mai un vale, e Mess. Giovanni, e gli altri amici comuni tutti, e in particolare Mess. Lelio. Tenetemi in grazia vostra, e di Mess. F. ..... vostro fratello, che Nostro Signore Iddio vi dia pace, e contento.

Di Lisbona alli 15. di Giugno 1580.

Affezionatis. servit.

Filippo Sassetti.

Note

  1. Enrico I del Portogallo (1512 - 1580), detto Il Casto. N. d. C.
  2. Ci si riferisce quì al De mundi sphaera, un trattato astronomico pubblicato nel 1542 dal cartografo e matematico francese Oronce Finè (1494 - 1555), latinizzato in Orontius Finnaeus. N. d. C.