Lettere (Filippo Sassetti)/Lettera XIII
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XIII.
Al medesimo
Molto Illustre Signor mio.
Tante sono state le buone nuove ricevute da le di se stesso, che io posso affermare a VS. che nessun’altra lettera mi ha dato tanto gusto, quanto la sua; poichè esser libero di pensare a’ casi d’altri, sentire, che ella si goda la Villa d’Arcetri, e insieme che ’l suo unico sino allora stia bene, ed ella ancora di salute, sono tutte le cose, che si potevano desiderare. Quello anello non aveva già bisogno di navi onerarie, perchè di Lisbona gliele mandassero. Non so perchè tanta tardanza. Quella Terra fa il peggior effetto negli uomini, che io abbia veduto mai, e lo ho provato in molte cose, ch’e’ vi si fanno straccurati ne’ servizj degli altri, e tenaci nel comodo loro. Parmi, che Carlo Velluti sapesse, che erano scusati i 60. scudi, quanto sia per pareggiare i nostri conti, e scrivendomi con gran fretta, perchè quelle Navi partirono senza dar loro tempo, mi scrive, che non gli mandava, ma quando e’ vengono, non mancherà qualche gentilezza per dilettare con la novità, o la Signora Consorte, o ’l suo figliuolo, che già grande, averà per ventura gusto di vedere egli ancora cose nuove. Certi Alfabeti ricevetti da lei in Lisbona, e gli portai quà meco; ma non fu vero, che io ne potessi riscontrare cosa nessuna in queste parti. Nella Cina pare a me, che e’ manchino d’alfabeto, e di caratteri, o elementi semplici, e si servono di cotai figure, che significano un concetto, le quali, come infinite, siccome sono i concetti molti a novero, rendono la scrittura loro difficilissima comune a tutte quelle parti più Orientali, come sono i Iaponi, e a Mezzogiorno i Giavi differenti tra loro di lingua, come i Svizzeri da i Caldei, stati già tutti una cosa stessa, mostrando gli occhi, e ’l volto stiacciato, che tutti sono o Chini, o Tartari, chi ne cercasse, o ne potesse vedere la quintessenza difficile a ritrovarsi, perchè non si può andare per la terra addentro. Ma di quei tanti loro miracoli dirò a VS. che Pietro Grifo, che ella avrà ben conosciuto in Pisa, nipote di Plozio, che adesso sono due anni, che andò là, mi scrive, che dalle molte ricchezze in fuori di quel Re, che si ragunano con infinite sorte di tirannìe, tutto il resto, che si racconta di quelle maraviglie, sono bugie espresse, pubbliche, e notorie; perocchè nessuna giustizia, nessuna polizia, od altra cosa buona vi si ritruova. La gente ingannatrice, male avventurata, invidiosa, e piena di mal costume; e ancorachè ciò sia tutto diverso da quello, che suona, io voglio anzi credere a questo uomo prudente, che agli smoderamenti de’ Portoghesi. Quanto a scienze, là non ne hanno nessuna; ogni studio loro è nelle loro Leggi, l’anima delle quali, in luogo della giustizia, è la pecunia. Non si può negare, che l’arte non vi sia con alcuna squisitezza, e sopra tutto la Terra ripiena di tutti i beni, e come dicono i Portoghesi, abastata. Io mandai a VS. l’anno passato quel mio concetto del Cinnamono, tale quale egli si fosse; la cassa, dove egli aveva da venire, s’imbarcò sopra una nave, che sossoprò1, e quell’Isola di Zeilan2 sta adesso in guerra, e non sò quando io me ne tornerò a riavere dell’altro. Sarebbe forse stato meglio, che anco la Scrittura non fosse venuta alle sue mani, se però questo poteva essere salve l’altre cose, perchè vi è necessario emendarne alcune mende a proposito del frutto, che può essere argomento di quanto si possa dar fede a chi di bocca nelle parti nostre dà relazione delle cose d’India, poichè io mi lasciai ingannare, avendo la cosa davanti agli occhi. Aveva lasciato quì in Coccino, quando io me ne tornai a Goa l’anno passato, che mi facessero un gran vaso di questo frutto in conserva sì per poter dare a chi avesse desiderata la vista d’esso, come, perchè il sapore è aromatico, e buono, e tira dalla mastice al pistacchio; ma come queste diligenze sono reputate da costoro scempiezze, per non dire adesso c....., non ne fui servito, e in quel luogo bisognò, che io avessi pazienza alla domanda, che mi fu fatta: e a che era buono quel seme? che è la ragione, che danno queste genti alle cose, che non vanno loro per la fantasia. Non ho avuto occasione dipoi di conversare con uomini di scienze, donde io abbia potuto ritrarre qualcosa degna di venire nella sua cognizione. Dettemi nelle mani uno Astrologo, dal quale ritrassi diverse cose, circa l’opinione, che hanno quà dell’origine, e durazione del Mondo, ed essendomi occorso scrivere a certi Signori Alemanni, quello fu, come noi diremmo, il suggetto della Lettera. Quanto sia per cose nuove da contarsi di costoro, il Sig. Giovambattista Vecchietti3, che quà si ritrova ancora, e se ne viene sopra queste Navi, mi fece favore di domandarmene una copia, e la levò; e se VS. avrà tempo da impiegare in sentirla, sono certo, che gliene mostrerà volentieri; sono immaginazioni, e perciò io non intendo di tediarnela altrimenti. Il detto Sig. Giovambattista passò d’Egitto a Soria, e per l’Armenia n’andò in Persia con più felice successo di quello dell’altro Gentiluomo, che ’l Sig. Cardinale de’ Medici mandava in Etiopia, perchè essendo giunto alla Corte del Re, fu di quì dispacciato a voglia sua, e venutosene ad Ormuz, passò quà in India a ’20. di Ottobre, e viensene adesso, e conducendolo Nostro Signore a salvamento, darà nuove particolari di quelle Terre, e costumi di quelle genti, che per essersi fatto padrone di quella lingua, lo potrà fare molto più a pieno di me. Dirà egli a VS. quello, che io mi stimo, che ella sappia, che io sono molto suo servidore, e le desidero da Nostro Signore molta vita, e salute.
Di Coccino agli 11. di Gennaio 1585.
Affezionatis. servit.
Filippo Sassetti.