Lettere (Campanella)/LVIII. Al cardinale nipote Francesco Barberini

LVIII. Al cardinale nipote Francesco Barberini

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LVIII

Al cardinale nipote Francesco Barberini

Propone di fare, come aveva giá accennato agli eminentissimi Farnese, Aldobrandini e Bernerio, un collegio di giovani domenicani calabresi di bell’ingegno, e di stampare le sue opere per combattere gli eretici e diffondere la fede.

Son venuto piú volte e per un anno da Vostra Signoria illustrissima e reverendissima accompagnato dalla fedeltá, gratitudine, innocenza, veracitá e ragione che devono essere notissime al mondo, avendomi esse liberato dalle mani del re e di regii e dell’imperatore e del papa, e dall’implacabile gelosia di Stato e da ogni lingua e potenza senza aiuto umano, [p. 228 modifica]solo per l’incorruttibile giustizia del sapientissimo e santissimo Urbano VIII, che deve essere imitato da tutti.

E pur non posso aver audienza per gli occhiali contrari apposti a gli occhi di miei signori da statisti. Del che sperar devo che presto s’avvertirá, pensando contro i detti loro che il sole tanto resta immacolato dal fango quanto dall’oro, e che Vostra Signoria, sendo illustrissima come il sole, non si macchiarebbe ma s’esaltarebbe ascoltando questo vilissimo servo, con imitar Cristo dio nostro, «qui exinanivit semetipsum etc.» et «cum publicanis et peccatoribus etc.» «propter quod Deus exaltavit illum». Ma perché non ho la ventura di Toccio matto, per carta parlerò a Vostra Signoria illustrissima.

Io desidero dell’ingegni calabresi domenicani esquisiti, acuti e laboriosi, chi per mancanza di culto si perdeno, far un collegio Barberino de propaganda fide, fondato nel libro del Reminescentur et convertentur ad Dominimi omnes fines terrae; e fare tanti scolari armati di dottrina, profezia, testimonianze e desiderio di martirio e notizia di tutte sètte e nazioni per buona istoria e geografia, affin di suscitar la fede quasi smorta tra cristiani e moltiplicarla dove non è. Ed a questo proposito saria la chiesa della Madonna di monti, concedendo a noi o tutte l’entrate co’ pesi di debiti e dei luochi pii, o dandoci solo quel che si dá a preti mercenari in quel luoco, dove serviremo la beatissima Vergine con piú decoro e diligenza. E leggeremo a tutte persone etiam forestiere la invincibilitá della fede cattolica e ’l modo di convincer li settari a prima disputa. E per questo ancora desidero stampar l’opere mie, etiam senza il mio nome, non per mia gloria, perché consisteno nella conversion generale, per la quale ho fatto la riforma di tutte scienzie secondo li dui codici divini, natura e Scrittura. Perché le nazioni non insultino piú né discredano a noi, come fa Giuliano apostata e ’l Macchiavello e li statisti chi, facendo profession di aver Cristo, Sapienza di Dio, per mastro, poi mendicano le scienze da’ filosofi gentili da noi dannati e giudicati da tutti santi dottori peste occulta e palese del cristianesimo. [p. 229 modifica]

E questo mi hanno comandato i santi padri, i santi concili e san Tommaso, come io mostrai in un opuscolo; e non ho potuto a Vostra Signoria illustrissima mostrarlo, perché non ho l’amo e l’esca di quelli chi van pescando la volontá di principi: e però dicono a Vostra Signoria illustrissima ch’io mi queti, idest nasconda li talenti dati da Dio, lasci cecar li padroni, correr l’ateismo e la predestinazione al bene ed al non bene, come corre, onde ne segue ognun faccia a suo gusto, perché i decreti quomodocumque opererai non si pònno mutare da noi né da Dio. Per lo che le conscienze di molti teologi son piú grosse e derisorie della religione che non quelle di principi chi al papa, vicario di Dio, contradicono, a torto dicendo a ragion di stato: e tutti quasi ci servitno di Dio e del papa e non servimo a Dio ed al papa. E di qui avvenne la perdita di duecento regni occupati da maomettani e di quaranta da Lutero.

E perché i miei libri pugnano contra questi settari e falsi fondamenti, dimandai, secondo l’ordine fatto dal Santo Officio, che siano stampati, e possa ogni revisore dire il suo parere, se son buoni o no. E quelli chi questa mia giustizia impediscono, mettano in scriptis quel ch’han contra, e non parlino di nascosto; né mai mi fan vedere le qualificazioni tirate da falsa politica di chi non vuole ch’altro lume si accenda onde il loro paresse o minore o tenebre in cui s’ascondeno, e non vònno mai venire al paragone — «qui male agit odit lucem», — e fanno a Vostra Signoria illustrissima giudicar senza leggere quel che giudica secondo il loro pregiudizio. Nel gran giorno dell’universal giudizio al tribunale dell’ultima appellazione li tenerò queste veritá a fronte, che Vostra Signoria illustrissima è ingannata del concetto che li poser di me con tante e tali astuzie che li toglieno anche la voglia di disingannarsi.

Ma Dio alla buona intenzion di Vostra Signoria illustrissima fará noto ben presto quel che li vorrei dire, perché non faccia torto al suo ingegno, né al suo gran zio chi vede piú di noi, pieni di occhi ante et retro, come gli animai sacri di Ezechiele; e li statisti vi vorrebben ciechi e sordi, ché non [p. 230 modifica]vediate né udi[a]te se non co’ sensi loro. Parlo cosí, perché il calor della ragione e l’obbligo che porto alla Vostra Signoria illustrissima e a tutta casa Barberini, e la vera filosofia ch’io professo, e la buona volontá di Vostra Signoria illustrissima che non doveva essere ingannata, cosí mi comandano. Ed appello alle prove di quanto io dico, e domando per gloria di Dio e di santa Chiesa e del mio gran signore vero sapiente, Urbano VIII, e resto al suo comando, baciandole le sacre vesti di Vostra Signoria illustrissima e pregandole dal Signore, eterno re delle virtú, augumento di quelle a ben di buoni. Amen.

Scritta dal convento della Minerva in Roma, 14 febraro 1630.

Di V. S. illustrissima e reverendissima
umilissimo ed obbligatissimo servo fedele
Fra Tomaso Campanella.