Lettere (Andreini)/Lettera XCVI

XCVI. Delle corone, che concedevano i Romani.

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XCVI. Delle corone, che concedevano i Romani.
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Delle corone, che concedevano i Romani.


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EH cara anima mia sarà egli vero, che veduta tanta mia fermezza, scorto tanto amore, compresa tanta fede, e conosciuta tanta lealtà non vi disponiate al fin di mirarmi un giorno, con occhio men severo, e con faccia meno sdegnata? considerate vi prego la pallidezza dell’incenerito mio volto, laquale potrà farvi chiaramente conoscere l’ardentissimo fuoco, che per voi porto nel seno. Considerate vi prego (gentilissima Signora mia) che liberandomi voi dalla vicina morte farete il vostro nome immortale. Se ne gli antichi tempi si coronavano di verde gramigna quelli, che liberavano una città dall’assedio de’ nemici; Se nelle guerre maritime, chi prima offendeva il nemico portava cinto il capo d’una corona d’oro con ornamenti à guisa di punte di Navi; se chi faceva tornar indietro un’essercito fuggitivo era coronato d’olivo; e se d’elce, o di quercia s’adornava le tempie colui, che liberava un cittadino. Voi, che me sfortunatissimo amante libererete da quelle fiamme ardenti, che m’inceneriscono meriterete corona non di gramigna, non doro, non d’olivo, non d’elce, o di quercia: ma di

[p. 89r modifica]lucidissime stelle; e quando per vostra bontà vogliate da tanto incendio liberarmi, la bella Arianna (cred’io) non si sdegnerà per degna ricompensa di così nobil’attione di cingervi il crine con la sua propria. Non vogliate dunque negare à voi medesima tanta gloria; e se pur volete, ch’io finisca i miei giorni in questo cocentissimo fuoco, fate almeno, ch’i’ possa nel mio morire immitar la Fenice, laquale (così è fama) dovendo finir sua vita vuol prima affissar gli occhi nel Sole, benche nel Sole sia posta la sua morte. Mi si conceda morendo d’affissar queste mie innamorate luci in voi mio lucidissimo Sole, sola e vera cagione della mia morte; e perche maggior sia in voi il contento dell’arder mio m’avvenga come Fenice il rinovarmi, & à guisa di quell’animaletto, che nelle fornaci di Cipro, nell’incendio si nutrisce, mi sia conceduto nell’amoroso mio fuoco nutrirmi; e se ciò non basta, che per vostra fierezza vogliate, che affatto i’ muoia, eccomi pronto à sostener la morte; ma avvertite, che potrebb’esser, che ’l contento, che riceverete (crudele) nel vedermi morire havesse tanta forza, che voi parimente uccidesse. Deh non vogliate vi prego, per desiderio della mia morte, metter in forse la vostra vita: ma siate contenta di consolar colui, che senza la gratia vostra è impossibile, che viva.