Lettere (Andreini)/Lettera VII

VII. Lodi della Bellezza.

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Lodi della Bellezza.


S
OMMAMENTE mi glorio padrona mia di viver soggetto alla piacevolissima tirannide della vostra bellezza, poiche non è giogo più grato, nè più soave di quello, che pone la bellezza ad un’anima innamorata, vivete dunque certa, che questo mio cuore tanto hà di bene, e di conforto quanto per voi sospira, & arde; e se mi sarà dato in sorte di veder quanto bramo quelle chiome, che sono a’ raggi del Sole più belle del Sole, io non invidierò lo stato di qual amante si sia, benche felice. Non ardirei di pregarvi, che mi concedeste parte della gratia vostra, perche nè io, nè quanti vivono al mondo possono esser oggetto degno de i vostri alti pensieri; e perche si disdirebbe, che donna così bella, nata per arrichir la terra, e per far fede della bellezza del Cielo, vivesse senz’amore, e non essendo alcun degno dell’amor suo, converrà, che voi

[p. 7v modifica]medesima diveniate amante del vivo, e lucido Sole de gli occhi vostri. Dove gli altri amanti (gentilissima Signora mia) scrivendo alle donne loro sogliono humilmente pregarle, che vogliano risanar le lor amorose ferite, io scrivendovi, affettuosamente vi prego, che qualhora m’averrà di vedervi non vi sia discaro di ferir mille, e mille volte questo mio petto, perch’io conosco, che le vostre ferite quanto più offendono tanto più giovano, essendoche quanto più sono profonde, tanto più invitano ad amare la vostra bellezza, laquale per esser vera imagine della celeste, quanto più s’ammira, tanto più fa, che si contempli quella del sommo Bello. se tanto, e tale è dunque il bene, ch’io ricevo nell’amarvi, non sarà mai, che benche avamparmi senta, cerchi d’estinguer il fuoco, essendo tanta la gioia che nasce dalla mia fiamma, che m’è caro d’ardere, anzi desidero di struggermi, e di consumarmi: ò piaghe soavi, ò dolce inganno, ò felice legame, ò grate frodi amorose, quanto quanto vi son obligato: ma, perche io non vorrei, che la lunghezza della mia lettera turbasse il sereno delle vostre ciglia tacerò. Vi son al solito servitore humilissimo.