Lettera di Raffaello d'Urbino a papa Leone X (ed. Visconti)/Prefazione
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PREFAZIONE
Il marchese Scipione Maffei conservava fra i suoi manoscritti questa lettera diretta a Leone X. nella quale con molto affetto si parla dei monumenti dell’antica Roma, e di lavori impresi onde delinearli per modo, che vestissero sembianza del primitivo loro stato. Stimando che fosse cosa del conte Baldassare Castiglione, la mandò ai Volpi, i quali ne ristampavano le opere: e questi la fecero comparire nel 1733, aggiungendola in fine del volume già compiuto, col titolo seguente: Lettera non più stampata del conte Baldassare Castiglione a papa Leone X; comunicataci dopo finito il volume dal Signor marchese Scipione Maffei, presso il quale si conserva. Sessantasei anni dopo quando già quella lettera era stata riprodotta nella edizione cominiana delle opere del conte, sorse il dotto abate Daniele Francesconi, e con belle congetture, che si ebbero fin d’allora per dimostrazioni certissime, additò quella lettera essere veramente dell’insigne pittore Raffaello d’Urbino (1).
Il volume nel quale il dotto uomo comprese il testo di essa lettera, il discorso composto per rivendicarla all’urbinate, e che arricchì di note copiosissime da illustrare sì l’uno e sì l’altro, è fatto oggi assai raro. Nè quella preziosa lettera fu poi riprodotta, se non solo in edizioni di opere di grande mole; nè si fece uso di altri argomenti, che valessero a dichiararla, salvo quelli dal Francesconi additati (2). Non era però decorso un anno dopo la pubblicazione dello scritto del dotto bibliotecario di Padova, e il ch. Iacopo Morelli faceva conoscere un documento del più grande rilievo intorno agli studi di Raffaello sulle romane antichità. È questo il sunto di una lettera di Marco Antonio Michiel di ser Vettor, nella quale si trova narrata tutta la cura che Raffaele spendeva nei monumenti di Roma, l’espettazione somma in che si viveva di tal suo lavoro, e come egli avesse già compiuto il ristauro e la delineazione di tutti quelli compresi nella prima regione della città antica. Nè fuori del verosimile è il credere, che ciò appunto gli fosse occasione a scrivere la lettera che riproduciamo, presentando al pontefice così buon saggio di una intrapresa, per la quale gli era stato largo d’incoraggiamenti e di aiuti. Le parole del Michiel sono le seguenti: „El stendeva in un libro, siccome Ptolomeo ha isteso il mondo, gli edificii antiqui de Roma, mostrando sì chiaramente le proportioni forme et ornamenti loro, che averlo veduto haria iscusato ad ognuno haver veduta Roma antiqua: et già aveva fornita la prima regione: nè mostrava solamente le piante delli edifici et il sito, il che con grandissima fatica et industria dalle ruine s’avia raccolto; ma ancora la faccia con li ornamenti, quanto da Vitruvio et dalla ragione della architettura et dalle istorie antiche, ove le ruine non la ritenevano, aveva appreso, espressivamente designava (3).„ Ma una altra insigne testimonianza di questo archeologico ed artistico lavoro di Raffaello, si ha nelli versi di Celio Calcagnini. Sfuggì questa alla diligenza del Francesconi, ed ho potuto additarla io stesso nell’epigramma che il Calcagnini scrisse sotto questo titolo: „Della industria di Raffaello da Urbino„. Fu pure in quella occasione, che tentai di renderlo volgare al modo che siegue:
Tanti eroi poser Roma, ed in tanti anni;
Poi ne guastar tanti nimici il bello,
Per così lunga età volta a’ suoi danni.
Or Roma in Roma cerca e la ritrova,
E grand’uomo cercando è Raffaello;
Ma ritrovando fa d’un dio la prova (4).
Dopo due così fatte prove, tutte le altre poste in campo dal Francesconi divengono di minor nota. Non che non si abbia per questo a commendarne sempre assaissimo la industria; ma certo il qui riprodurle, si stimerebbe soverchio. Il simigliante si ha a dire di molte delle note con le quali illustrò egli il testo della lettera. Pertanto noi riterremo di tali note appena una ed un’altra. Alcune poi se ne leggeranno da noi nuovamente aggiunte, spezialmente intorno ai monumenti dell'antica città dall’urbinate ricordati; cioè alla parte più preziosa ed istorica di questo suo scritto. Del quale poi tanta è la eleganza, la veemenza, e la nobiltà, che non ne lascia in forse, che sarà veduto più che volentieri da quanti sono di cuore gentile e di alto animo e discreto.