Lettera di Grisostomo al molto reverendo signor canonico don Ruffìno

Giovanni Berchet

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Questo testo fa parte della raccolta Opere (Berchet)/Scritti critici e letterari


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Lettera di Grisostomo

al molto reverendo signor canonico don Ruffino

 Signor canonico,

Ho letto con vera compunzione la garbatissima lettera scrittami da V. S. in difesa del Tiraboschi. Non avrei mai creduto che quel mio breve cenno nel numero 21 del Conciliatore, ov’io rinfaccio al Tiraboschi penuria di filosofia, dovesse recar tanta offesa alla coscienza letteraria d’alcuni fra’ miei concittadini. Me ne duole infinitamente, e sento purtroppo che il torto è tutto mio. Fo l’uomo di lettere e non ne so l’arti. Se io fossi letterato davvero ed italiano di cuore, non oserei pensare, non oserei scrivere ciò che io penso: non avrei letto mai il Tiraboschi, e di lui non avrei detto mai altro, se non che «il chiarissimo, l’eruditissimo, il sapientissimo Tiraboschi». Ma il male è fatto: pensiamo al rimedio.

Prima di tutto la ringrazio, signor canonico, del lungo elenco dei lodatori del Tiraboschi, ch’Ella si compiacque d’inviarmi. Quell’elenco mi ha persuaso, e la perorazione del di lei discorso mi ha cavate le lagrime. Che vuole Ella di piú? Si lasci intenerire dalle lagrime mie, e tra me e lei sia pace.

Ma non basta ancora. lo deggio alla veritá ed all’onore della patria una pubblica e solenne testimonianza della mia conversione. Dichiaro dunque a V. S., e con essa a tutti i canonici di lei confratelli, che io convengo pienamente nel parere dei dottori italiani, e dico che hanno veramente ragione ragionevolissima di venerare il Tiraboschi come profondissimo filosofone, e di disprezzare madama de Staël come frivolissimo intellettuzzo. [p. 116 modifica]

L’uomo che sacrifica l’amor proprio e il proprio decoro mondano alla veritá, e con aperta confessione si ricrede de’ suoi falli, non debb’essere confuso col peccatore ostinato. E però spero che i dottori italiani mi saranno liberali di qualche compatimento. Ad essi non importa, per altro, ch’io dica quali argomenti mi abbiano persuaso tutto ad un tratto tanta divozione per la filosofia tiraboschiana e tanto disprezzo per madama di Staël, di cui ho lasciata scappare dalla penna qualche lode in quel benedetto Conciliatore.— Sciagurata donnicciuola, qualche poco anche, per amor tuo, io era diventato lo scandalo del mio paese!— Ma a lei, signor canonico, io non voglio tacere che ad operare la mia conversione Ell’ebbe un potentissimo sussidiario in certo accidente tutto fortuito. Si contenti ch’io glielo narri alla distesa.

Col rimorso che in virtú della garbatissima di lei lettera mi serpeggiava giá per l’anima, io mi stava iersera invocando il sonno che non veniva. Piglio un libro: non fa per me. Ne piglio un altro: non mi contenta. Sporgo impaziente la destra piú in lá, e la mi vien posta sul tomo primo De la littérature di madama di Staël. Aprolo a caso; e mi cade sotto lo sguardo quel passo a pagina 181 e seguenti, che tratta delle ragioni per le quali la tragedia presso i romani non salí in grande celebritá.

Eccolo tal quale. A V. S. non fa bisogno che sia tradotto in italiano, perché l’intenda.

Les combats des gladiateurs avaient pour objet d’intéresser fortement le peuple romain par l’image de la guerre et le spectacle de la mort; mais, dans ces jeux sanglans, les romains exigeaint encore que les esclaves sacrifiés à leurs barbares plaisirs sussent triompher de la douleur, et n’en laissassent échapper aucun témoignage. Cet empire continuel sur les affections est peu favorable aux grands effets de la tragédie: aussi la littérature latine ne contient-elle rien de vraiment célèbre en ce genre. Le caractère romain avait certainement la grandeur tragique; mais il était trop contenu pour être théatral. Dans les classes même du peuple, une certaine gravité distinguait toutes les actions. La folie causée par le malheur, ce cruel tableau de la nature physique troublée par les [p. 117 modifica]souffrances de l’âme, ce puissant moyen d’émotion, dont Shakespeare a tiré, le premier, des scènes si déchirantes, les romains n’y auraient vu que de la dégradation de l’homme. On ne cite même dans leur histoire aucune femme, aucun homme connu, dont la raison ait été dérangée par le malheur. Le suicide était très-fréquent parmi les romains, mais les signes extérieurs de la douleur extrêmement rares. Le mèpris qu’excitait la démonstration de la peine, faisait une loi de mourir ou d’en triompher. Il n’y a rien dans une telle disposition qui puisse fournir aux développements de la tragédie.

On n’aurait jamais pu, d’ailleurs, transporter à Rome l’intérêt que trouvaient le grecs dans les tragédies dont le sujet était national. Les romains n’auraient point voulu qu’on représentát sur le théatre ce qui pouvait tenir à leur histoire, à leurs affections, à leur patrie. Un sentiment religieux consacrait tout ce qui leur était cher. Les athéniens croyaient auz mémes dogmes, défendaient aussi leur patrie, aimaient aussi la liberté; mais ce respect qui agit sur la pensée, qui écarte de l’imagination jusqu’à la possibilité des actions interdites, ce respect qui tient à quelques égards de la superstition de l’amour, les romains seuls l’éprouvaient pour les objets de leur culte.

Dopo tutta questa tiritera d’inezie, do un’occhiata alle note a piè di pagina, poi ad altre pagine piú avanti e ad altre piú indietro; e m’accorgo che la povera madama de Staël non sa cosa si dica, e non trova altra soluzione del problema fuorché nell’analizzare le instituzioni civili ed il carattere morale pubblico de’ romani, e nel derivarne la nullitá del loro teatro tragico.—Che libro superficiale!—diss’io allora—che miseria d’ingegno!—E mi si schiusero gli occhi dell’intelletto, e sbadigliai su’ miei traviamenti, e corsi ripentito a spolverare i volumi del Tiraboschi, sovvenendomi che anch’egli aveva parlato su questa materia. Corro all’indice; salto di lá al tomo primo, e mi innamora tosto la gravitá di quelle parole a pagina 174, § LI:

Prima di passar oltre, parmi che una non inutil quistione debbasi a questo luogo trattare, cioè per qual ragione, mentre in ogni altro genere di poesia arrivarono i romani a gareggiare co’ greci, nella teatral solamente rimanessero sempre tanto ad essi inferiori. [p. 118 modifica]

Io proseguiva a leggere; ma mi convenne obbedire al Tiraboschi, che mi rimandò molte pagine indietro. Dal qual mio viaggio retrogrado venni a raccogliere che prima de’ bei tempi della romana letteratura la poesia teatrale non era ancor molto in fiore, «per la ragione che l’arte di poetare non era in quell’onore che convenuto sarebbe».

Illuminato di tanto, tornai al § LI, onde sapere «perché nel piú bel secolo della romana letteratura la poesia teatrale non giugnesse a maggior perfezione». E qui confesso l’alta ammirazione che svegliò in me la logica semplice e chiara, e nondimeno profondamente intuitiva, con cui il chiarissimo Tiraboschi, sorretto da Orazio, ebbe la bontá di confidarmi che questo non fiorire della tragedia presso i romani proveniva dallo «strepito grande che facevasi nel teatro, sicché appena vi si potevano udire ed intendere i versi», ecc. ecc. «Garganum»—ripeteva il suggeritore del Tiraboschi—

Garganum mugire putes nemus aut mare tuscum,
tanto cum strepitu ludi spectantur, ecc.

Che consolazione fu allora la mia, stimatissimo don Ruffino, nel vedere appagata cosí bene la mia curiositá! Questa è ben altra filosofia che quella di madama! Chi niega al Tiraboschi acume di speculativo intelletto, o è stolido o è mentitore o è novatore. Ecco come in poche righe viene dal sapientissimo Tiraboschi stabilito un gran principio filosofico, il quale, come tutti i gran principi filosofici dell’universo, riesce applicabile in ogni tempo ad altri fenomeni. In virtú di esso io mi sento capace di spiegare le ragioni per cui al teatro la tale o tal altra opera in musica non è bella. E dico cosí:—La tale opera non è bella perché non la si ascolta.—E mi guarderò bene dal ripetere col volgo:—Non la si ascolta perché non è bella.—

Cosí l’importunitá della veglia e l’opportunitá della lettera di V. S. contribuirono entrambe a convertire al Tiraboschi un amico traviato, quale davvero mi pregio di essere sempre di V. S. molto reverenda.

Grisostomo.