Leonardo prosatore/Scritti scientifici/Considerazioni generali
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CONSIDERAZIONI GENERALI.
Le cose mentali che non son passate per il senso son vane. |
LEONARDO E LA NATURA
Non fa sì gran mugghio il tempestoso mare, quando il settentrionale aquilone lo ripercote, colle schiumose onde, fra Scilla e Cariddi, nè Stromboli o Mongibello quando le sulfuree fiamme, per forza rompendo e aprendo il gran monte, fulminano per l’aria pietre, terra, insieme coll’uscita e vomitata fiamma; nè quando le infocate caverne di Mongibello, rivomitando il male tenuto elemento, spigniendolo alla sua regione1, con furia cacciano innanzi qualunque ostacolo s’interpone alla sua impetuosa furia. E tirato dalla mia bramosa voglia, vago di vedere la gran commistione delle varie e strane forme fatte dalla artifiziosa natura, raggiratomi alquanto in fra gli ombrosi scogli, pervenni all’entrata d’una gran caverna, dinanzi alla quale, restando alquanto stupefatto e ignorante di tal cosa, piegato le mie rene in arco, e ferma la stanca mano sopra il ginocchio, colla destra mi feci tenebra alle abbassate e chiuse ciglia. E spesso piegandomi in qua e là per vedere dentro vi discernessi alcuna cosa, questo vietatomi per la grande oscurità che là entro era, e stato alquanto, subito si destarono in me due cose: paura e desiderio; paura per la minacciosa oscura spelonca, desiderio per vedere se là entro fussi alcuna miracolosa cosa.
Contro il principio d’autorità
e contro gli Umanisti.
So bene che, per non essere io litterato, che alcuno presuntuoso gli parrà ragionevolmente potermi biasimare coll’allegare io essere omo sanza lettere. Gente stolta! Non sanno questi tali ch’io potrei, sì come Mario rispose contro a’ patrizi romani, io sì rispondere, dicendo: quelli che dall’altrui fatiche se medesimi fanno ornati, le mie a me medesimo non vogliano concedere. Diranno che, per non avere io lettere, non potere ben dire quello di che voglio trattare.
Or non sanno questi che le mie cose son più da esser tratte dalla sperienzia, che d’altrui parola, la quale fu maestra di chi bene scrisse, e così per maestra la piglio, e quella in tutti i casi allegherò.
Se bene, come loro, non sapessi allegare gli altori, molto maggiore e più degna cosa a leggere allegando la sperienza, maestra ai loro maestri. Costoro vanno sgonfiati e pomposi, vestiti e ornati, non delle loro, ma delle altrui fatiche; e le mie a me medesimo non concedano; e se me inventore disprezzeranno, tanto maggiormente loro, non inventori, ma trombetti e recitatori delle altrui opere, potranno essere biasimati.
È da essere giudicati e non altrementi stimati li omini inventori e ’nterpreti tra la natura e gli uomini — a comparazione de’ recitatori e trombetti delle altrui opere — quant’è dall’obbietto fori dello specchio alla similitudine d’esso obbietto apparente nello specchio, che l’uno per sè è qualche cosa, e l’altro è niente. Gente poco obrigate alla natura, perchè sono sol d’accidental vestiti2 e sanza il quale potrei accompagnarli in fra li armenti delle bestie.
Lode dell’esperienza.
La esperienza non falla, ma sol fallano i nostri giudizi promettendosi di lei cose che non sono in sua potestà.
A torto si lamentan li omini della isperienza, la quale con somme rampogne quella accusano esser fallace. Ma làsciano3 stare essa sperienzia, e voltate tale lamentazione contro alla vostra ignoranza, la quale vi fa transcorrere co’ vostri vani e instolti desideri a impromettervi di quella cose che non sono in sua potenzia.
A torto si lamentan gli omini della innocente esperienzia, quella spesso accusando di fallacia e di bugiarde dimostrazioni.
O speculatore delle cose, non ti laldare di conosciere le cose che ordinariamente per se medesima la natura conducie. Ma rallegrati di conoscere il fine di quelle cose che son disegniate dalla mente tua.
La vera scienza.
Nessuna umana investigazione si pò dimandare vera scienzia, s’essa non passa per le matematiche dimostrazioni, e se tu dirai che le scienzie, che principiano e finiscono nella mente, abbiano verità, questo non si concede ma si niega, per molte raggioni, e prima, che in tali discorsi mentali non accade esperienzia, senza la quale nulla dà di sè certezza4.
Le cose mentali che non son passate per il senso son vane e nulla verità partoriscano se non dannosa, e perchè tal discorsi nascan da povertà d’ingegnio, poveri son sempre tali discorsori, e se saran nati ricchi e ’morran poveri nella lor vecchiezza, perchè pare che la natura si vendichi con quelli che voglian fare miraculi, abbin men che li altri omini più quieti, e quelli che voliano arricchire ’n un di vivino lungo tempo in gran povertà, come interviene e interverrà in eterno alli archimisti, cercatori di creare oro e argento, e all’ingegnieri che voglian che l’acqua morta dia vita motiva a se medesima con continuo moto, e al sommo stolto, negromante e incantatore.
Quale scienzia è meccanica,
e quale non è meccanica.
Dicono quella cognizione esser meccanica la quale è partorita dall’esperienzia, e quella esser scientifica che nasce e finisce nella mente, e quella essere semimeccanica che nasce dalla scienzia e finisce nella operazione manuale. Ma a me pare che quelle scienzie sieno vane e piene di errori, le quali non sono nate dall’esperienzia, madre di ogni certezza, e che non terminano in nota esperienzia, cioè che la loro origine, o mezzo, o fine non passa per nessuno dei cinque sensi. E se noi dubitiamo della certezza di ciascuna cosa che passa per li sensi, quanto maggiormente dobiamo noi dubitare delle cose ribelli a essi sensi, come dell’assenzia5 di Dio e dell’anima e simili, per le quali sempre si disputa e contende, e veramente accade che sempre, dove manca la ragione, suplisse le grida, la qual cosa non accade nelle cose certe.
Per questo che dove si grida non è vera scienzia, perchè la verità ha un sol termine, il quale essendo publicato, il letigio resta in eterno distrutto, e s’esso litigio resurge, è bugiara e confusa scienzia, e non certezza rinata.
Ma le vere scienzie sono quelle che la sperienzia ha fatto penetrare per li sensi e posto silenzio alla lingua de’ litiganti, e che non pasce di sogno li suoi investigatori, ma sempre sopra li primi veri e noti principi, procede successivamente e con vere seguenzie insino al fine, come si dinota nelle prime matematiche, cioè numero e misura, detta aritmetica e geometria, che trattano con somma verità della quantità discontinua e continua. Qui non si arguirà6 che due tre facciano più o men che sei, nè che un triangolo abbia li suoi angoli minori di due angoli retti, ma con eterno silenzio resta distrutta ogni arguizione e con pace sono fruite dalli loro devoti, il che far non possono le bugiarde scienzie mentali. E se tu dirai tali scienzie vere e note essere di spezie di meccaniche, imperochè non si possono finire se non manualmente, io dirò il medesimo di tutte le arti che passano per le mani degli scrittore, le quali sono di spezie di disegno, membro della pittura, e l’astrologia e le altre passano per le manuali operazioni, ma prima sono mentali, com’è la pittura, la quale è prima nella mente del suo speculatore e non può pervenire alla sua perfezione senza la manuale operazione. Della qual pittura li sua scientifici e veri principi, prima ponendo che cosa è corpo ombroso, e che cosa è ombra primitiva e ombra derivativa, e che cosa è lume (cioè tenebre, luce, colore) corpo, figura, sito, remozione, propinquità, moto e quiete, le quali solo colla mente si comprendono sanza opera manuale. E questa fia la scienzia della pittura, che resta nella mente de’ suoi contemplanti, della quale nasce poi l’operazione, assai più degna della predetta contemplazione o scienzia.
Contro l’alchìmia e la negromanzia.
Considera bene come, mediante il moto della lingua, coll’aiuto delli labbri e denti, la pronunziazione di tutti i nomi delle cose ci son note, e li vocaboli semplici e composti d’un linguaggio pervengano alli nostri orecchi, mediante tale istrumento; li quali, se tutti li effetti di natura avessino nome, s’astenderebbono inverso lo infinito, insieme colle infinite cose che sono in atto, e che sono in potenzia di natura; e queste non isprimerebbe in un solo linguaggio, anzi in moltissimi, li quali ancora lor s’astendano inverso lo infinito, perchè al continuo si variano di secolo in secolo, e di paese in paese, mediante le mistion de’ popoli che per guerre o altri accidenti al continuo si mistano; e li medesimi linguaggi son sottoposti alla obblivione, e son mortali come l’altre cose create; e se noi concedereno il nostro mondo essere eterno, noi direm tali linguaggi essere stati, e ancora dovere essere d’infinita varietà, mediante l’infiniti secoli, che nello infinito tempo si contengano7.
E questo non è in alcuno altro senso, perchè sol s’astendano nelle cose che al continuo produce la natura, la qual non varia le ordinarie spezie delle cose da lei create, come si variano di tempo in tempo le cose create dall’omo, massimo strumento di natura, perchè la natura sol s’astende alla produzion de’ semplici. Ma l’omo con tali semplici produce infiniti composti, ma non ha potestà di creare nessun semplice, se non un altro se medesimo, cioè li sua figlioli: e di questo mi saran testimoni li vecchi archimisti, li quali mai, o a caso, o con volontaria sperienza, s’abbattero a creare la minima cosa che crear si possa da essa natura; e questa tal generazione merita infinite lalde, mediante la utilità delle cose da lor trovate a utilità delli omini8, e più ne meriterebbono, se non fussino stati inventori di cose nocive, come veneni e altre simili ruine di vita o di mente, della quale lor non sono esenti, conciossiachè, con grande studio e esercitazione, vòleno creare, non la men nobile produzion di natura, ma la più eccellente, cioè l’oro, vero figliol de sole, perchè più che altra creatura a lui s’assomiglia, e nessuna cosa creata è più eterna d’esso oro. Questo è esente dalla destruzion del foco, la quale s’astende in tutte l’altre cose create, quelle riducendo in cenere o vetro o in fumo. E se pur la stolta avarizia in tale errore t’invia, perchè non vai alle miniere, dove la natura genera tale oro, e quivi ti fa’ suo discepolo, la qual fedelmente ti guarirà della tua stoltizia, mostrandoti come nessuna cosa, da te oprata nel foco, non sarà nessuna di quelle che natura adopri nel generare esso oro. Quivi non argento vivo, quivi non zolfo di nessuna sorte, quivi non foco, nè altro caldo che quel di natura vivificatrice del nostro mondo, la qual ti mostrerà le ramificazioni dell’oro sparse pel lapis9 ovvero azzurro oltramarino, il quale è colore esente dalla potestà del foco; e considera bene tale ramificazione dell’oro e vedrai che li sua stremi, con lento moto, al continuo crescano, e convertano in oro quel che toccan essi stremi, e nota che quivi v’è un’anima vigitativa, la qual non è in tua potestà di generare10.
Ma delli discorsi umani stoltissimo è da essere reputato quello il qual s’astende alla credulità della negromanzia, sorella della archimia, partoritrice delle cose semplici naturali11. Ma è tanto più degna di reprensione che l’archimia, quanto ella non partorisce alcune cose se non simile a sè cioè bugie, il che non interviene nella archimia, la quale è ministratrice de’ semplici prodotti della natura, el quale uffizio fatto esser non può da essa natura, perchè in lei non è strumenti organici, colli quali essa possa oprare quel che adopra l’omo mediante le mani, che in tale uffizio ha fatti e vetri12 ecc. Ma essa negromanzia, stendardo over bandiera volante mossa dal vento, guidatrice della stolta moltitudine, la quale al continuo testimonia, collo abbaiamento, d’infiniti effetti di tale arte, e n’hanno empiuti i libri, affermando che l’incanti e spiriti adoprino e sanza lingua parlino e sanza strumenti organici, sanza i quali parlar non si pol, parlino, e portino gravissimi pesi, faccino tempestare e piovere, e che li omini si convertino in gatte, lupi e altre bestie, benchè in bestia prima entron quelli che tal cosa affermano. E certo se tale negromanzia fussi in essere13, come dalli bassi ingegni è creduto, nessuna cosa è sopra la terra che al danno e al servizio dell’omo fussi di tanta valitudine: perchè se fussi vero che in tale arte si avessi potenzia di far turbare la tranquilla serenità dell’aria, convertendo quella in notturno aspetto, e far le corruscazioni e venti con ispaventevoli toni e folgori, scorrenti in fra le tenebre, e con impetuosi venti ruinare li alti edifici, e diradicare le selve, e con quelle percotere li eserciti, e quelli rompendo e atterrando, e oltre di questo le dannose tempeste, privando li cultori del premio delle lor fatiche, e qual modo di guerra po essere che con tanto danno possa offendere il suo nemico, aver potestà di privarlo delle sue ricolte? qual battaglia marittima po essere che si assomigli a quella di colui che comanda alli venti, e fa le fortune rovinose e sommergitrici di qualunche armata? Certo quel che comanda a tali impetuose potenzie sarà signore delli popoli, e nessuno umano ingegno potrà resistere alle sue dannose forze: li occolti tesori qual serrame o fortezze inespugnabili saran quelle che salvar possine alcuno, sanza la voglia di tal negromante? Questo si farà portare dall’oriente all’occidente, e per tutti li oppositi aspetti dell’universo. Ma perchè mi vo io più oltre astendendo? quale è quella cosa che, per tale artefice, far non si possa? quasi nessuna, eccetto il levarsi la morte. Adunque è concluso, in parte, il danno e la utilità che in tale arte si contiene, essendo vera14. E s’ellaè vera, perchè non è restata in fra li omini che tanto la desiderano, non avendo riguardo a nessuna deità? E so che infiniti ce n’è che per soddisfare a un suo appetito ruinerebbono Iddio con tutto l’universo. E s’ella non è rimasa infra li omini, essendo a lui15 tanto necessaria, essa non fu mai, nè mai è per dovere essere, per la difinizion dello spirito, el quale è invisibile, incorporeo, e dentro alli elementi non è cose incorporee, perchè dove non è corpo è vacuo, e il vacuo non si dà dentro alli elimenti, perchè subito sarebbe dall’elemento riempiuto16.
De Fisionomia e Chiromanzia.
Della fallace Fisionomia e Chiromanzia non mi astenderò, perchè in loro non è verità, e questo si manifesta, perchè tali chimere non hanno fondamenti scientifici.
Ver è che li segni de’ volti mostrano in parte la natura degli uomini, li lor vizi e complessioni. Nel volto:
a) Li segni che separano le guance da’ labbri della bocca, e le nari del naso, e casse degli occhi, sono evidenti se sono uomini allegri e spesso ridenti; e quelli che poco li segnano sono uomini operatori della cogitazione.
b) E quelli ch’hanno le parti del viso di gran rilievo e profondità sono uomini bestiali e iracondi, con poca ragione.
e) E quelli ch’hanno le linee interposte infra le ciglia forte evidenti sono iracondi.
d) E quelli ch’hanno le linee trasversali della fronte forte liniate sono uomini copiosi di lamentazioni occulte o palesi.
E così si po dire di molte parti.
Ma della mano? Tu troverai grandissimi eserciti esser morti ’n una medesima ora di coltello, che nessun segno della mano è simile l'uno all'altro; e così in un naufragio.
Scienza e pratica.
La scienza è il capitano, e la pratica sono i soldati.
Principio della indistruttibilità della materia.
(Anassagora)
Ogni cosa vien da ogni cosa, e d’ogni cosa si fa ogni cosa, e ogni cosa torna in ogni cosa, perchè ciò che è nelli elementi è fatto da essi elementi.
Sulla necessità.
O mirabile o stupenda necessità, tu costrigni colla tua legge tutti li effetti per brevissima via a partecipare delle lor cause; questi son li miracoli!
La necessità è maestra e tutrice della natura.
La necessità è tema e inventrice della natura, è freno e regola eterna.
Natura non rompe sua legge.
La natura è costretta dalla ragione della sua legge che in lei infusamente vive.
La mente nell’universo.
Il moto della terra contro alla terra, ricalcando quella, poco si move la parte percossa.
L’acqua percossa dall’acqua fu circuli dintorno al percosso;
per lunga distanza la voce in fra l’aria; più lunga in fra ’l foco;
più la mente in fra l’universo, ma perchè l’è finita non s’astende in fra lo infinito.
Note
- ↑ Allude alla regione del fuoco, dagli antichi posta tra la sfera dell’aria e la luna.
- ↑ Vestono la lor mente ignuda di pensieri presi, per caso, agli altri, oltraggiando la natura umana che vuole ognuno lavori col proprio cervello.
- ↑ Lascino. Nota il passaggio improvviso dalla terza alla seconda persona, dovuto all’improvviso accendersi dello sdegno.
- ↑ Par scritto proprio per oppugnare la sentenza di Pico della Mirandola, portavoce dei platonici fiorentini: «Mathematicae non sunt verae scientiae».
- ↑ Essenza.
- ↑ Disputerà.
- ↑ Ammira la sicurezza e l’esattezza dell’intuizione linguistica, e insieme la rispondenza del complesso ma unico periodo al complesso ma unico pensiero.
- ↑ Leonardo qui vede dall’alchimia nascere la chimica.
- ↑ Sottintende: lazzuli, ossia lapislazzuli, pietra preziosa azzurra, sparsa per lo più di vene d’oro: Con essa si fa l’azzurro oltramarino, con cui si dipinge a olio, a fresco e a tempera.
- ↑ Leonardo dà qui all’oro una fantastica virtù di sviluppo simile a quella delle piante, poeticamente imaginando che la natura possa creare i semplici per opera d’una forza generatrice misteriosa che sfugge alla ricerca dell’uomo.
- ↑ Che vorrebbe produrre i semplici.
- ↑ I vetri.
- ↑ Esistesse veramente.
- ↑ Se fosse vera.
- ↑ Loro.
- ↑ «La natura ha orrore del vuoto» dicevano gli antichi e con essi Leonardo, ma simile credenza, come tutti sanno, è crollata dopo gli studi galileiani. D’essa Leonardo a più riprese si serve per dimostrare che gli spiriti non possono aver dimora tra gli elementi del nostro mondo.