Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1568)/Pietro Laurati

Pietro Laurati

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Stefano e Ugolino Andrea Pisano

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VITA DI PIETRO LAURATI PITTORE SANESE

Pietro Laurati, eccellente pittor sanese, provò, vivendo, quanto gran contento sia quello dei veramente virtuosi, che sentono l’opere loro essere nella patria e fuori in pregio, e che si veggiono essere da tutti gli uomini disiderati; perciò che nel corso della vita sua fu per tutta Toscana chiamato e carezzato, avendolo fatto conoscere primieramente le storie che dipinse a fresco nella Scala, spedale di Siena, nelle quali imitò di sorte la maniera di Giotto divolgata per tutta Toscana, che si credette a gran ragione che dovesse, come poi avvenne, divenire miglior maestro che Cimabue e Giotto e gli altri stati non erano: perciò che le figure che rappresentano [p. 145 modifica]la Vergine quando ella saglie i gradi del tempio, accompagnata da Giovacchino e da Anna e ricevuta dal sacerdote, e poi lo sponsalizio, sono con bell’ornamento così ben panneggiate e ne’ loro abiti semplicemente avvolte, ch’elle dimostrano nell’arie delle teste maestà, e nella disposizione delle figure bellissima maniera. Mediante dunque questa opera, la quale fu principio d’introdurre in Siena il buon modo della pittura, facendo lume a tanti belli ingegni che in quella patria sono in ogni età fioriti, fu chiamato Pietro a Monte Oliveto di Chiusuri, dove dipinse una tavola a tempera che oggi è posta nel paradiso sotto la chiesa. In Fiorenza, poi, dipinse dirimpetto alla porta sinistra della chiesa di Santo Spirito, in sul canto dove oggi sta un beccaio, un tabernacolo, che per la morbidezza delle teste e per la dolcezza che in esso si vede, merita di essere sommamente da ogni intendente artefice lodato. Da Fiorenza andato a Pisa, lavorò in Camposanto, nella facciata che è accanto alla porta principale, tutta la vita de’ Santi Padri con sì vivi affetti e con sì belle attitudini, che paragonando Giotto, ne riportò grandissima lode, avendo espresso in alcune teste col disegno e con i colori tutta quella vivacità che poteva mostrare la maniera di que’ tempi. Da Pisa trasferitosi a Pistoia, fece in S. Francesco in una tavola a tempera una Nostra Donna con alcuni Angeli intorno molto bene accomodati; e nella predella che andava sotto questa tavola, in alcune storie fece certe figure piccole tanto pronte e tanto vive, che in que’ tempi fu cosa maravigliosa; onde sodisfacendo non meno a sè che agl’altri, volle porvi il nome suo con queste parole: Petrus Laurati de Senis. Essendo, poi, chiamato Pietro l’anno 1355 da messer Guglielmo arciprete e dagli Operai della Pieve d’Arezzo, che allora erano Margarito Boschi et altri, in quella chiesa stata molto inanzi condotta con migliore disegno e maniera, che altra che fosse stata fatta in Toscana insino a quel tempo, et ornata tutta di pietre quadrate e d’intagli, come si è detto, di mano di Margaritone, dipinse a fresco la tribuna e tutta la nicchia grande della capella dell’altar maggiore, facendovi a fresco dodici storie della vita di Nostra Donna, con figure grandi quanto sono le naturali: e cominciando dalla cacciata di Giovacchino del tempio fino alla natività di Gesù Cristo. Nelle quali storie lavorate a fresco si riconoscono quasi le medesime invenzioni, i lineamenti, l’arie delle teste e l’attitudini delle figure che erano state proprie e particolari di Giotto suo maestro. E sebbene tutta questa opera è bella, è senza dubbio molto migliore che tutto il resto quello che dipinse nella volta di questa nicchia; perchè dove figurò la Nostra Donna andare in cielo, oltre al far gl’Apostoli di quattro braccia l’uno, nel che mostrò grandezza d’animo, e fu primo a tentare di rigrandire la maniera, diede tanto bella aria alle teste e tanta vaghezza ai vestimenti, che più non si sarebbe a que’ tempi potuto disiderare. Similmente nei volti d’un coro d’Angeli che volano in aria intorno alla Madonna, e con leggiadri movimenti ballando fanno sembiante di cantare, dipinse una letizia veramente angelica e divina, avendo massimamente fatto gl’occhi degl’Angeli, mentre suonano diversi istrumenti, tutti fissi et intenti in un altro coro d’Angeli, che sostenuti da una nube in forma di mandorla portano la Madonna in cielo, con belle attitudini e da celesti archi tutti circondati. La quale opera, perchè piacque, e meritamente, fu cagione che gli fu data a fare a [p. 146 modifica]tempera la tavola dell’altar maggiore della detta Pieve; dove in cinque quadri di figure grandi quanto il vivo fino al ginocchio, fece la Nostra Donna col Figliuolo in braccio, e S. Giovanni Batista e S. Matteo dall’uno de’ lati, e dall’altro il Vangelista e S. Donato, con molte figure piccole nella predella e di sopra nel fornimento della tavola, tutte veramente belle e condotte con bonissima maniera. Questa tavola, avendo io rifatto tutto di nuovo a mie spese e di mia mano l’altar maggiore di detta Pieve, è stata posta sopra l’altar di S. Cristofano a’ piè della chiesa. Nè voglio che mi paia fatica di dire in questo luogo, con questa occasione e non fuor di proposito, che mosso io da pietà cristiana e dall’affezzione che io porto a questa venerabile chiesa collegiata et antica, e per avere io in quella apparato nella mia prima fanciullezza i primi documenti, e perchè in essa sono le reliquie de’ miei passati, che mosso, dico, da queste cagioni, e dal parermi che ella fusse quasi derelitta, l’ho di maniera restaurata, che si può dire ch’ella sia da morte tornata a vita; perchè oltre all’averla illuminata, essendo oscurissima, con avere accresciuto le finestre che prima vi erano e fattone dell’altre, ho levato anco il coro, che essendo dinanzi occupava gran parte della chiesa, e, con molta sodisfazione di que’ signori Canonici, postolo dietro l’altar maggiore. Il quale altare nuovo essendo isolato, nella tavola dinanzi ha un Cristo che chiama Pietro et Andrea dalle reti, e dalla parte del coro è in un’altra tavola S. Giorgio che occide il serpente. Dagli lati sono quattro quadri, et in ciascuno d’essi due Santi grandi quanto il naturale. Sopra, poi, e da basso nelle predelle è una infinità d’altre figure, che per brevità non si raccontano. L’ornamento di questo altare è alto braccia tredici, e la predella alta braccia due. E perchè dentro è vòto e vi si va con una scala per uno uscetto di ferro molto bene accommodato, vi si serbano molte venerande reliquie, che di fuori si possono vedere per due grate che sono dalla parte dinanzi; e fra l’altre vi è la testa di S. Donato vescovo e protettor di quella città; e in una cassa di mischio di braccia tre, la quale ho fatta fare di nuovo, sono l’ossa di quattro Santi; e la predella dell’altare, che a proporzione lo cinge tutto intorno intorno, ha dinanzi il tabernacolo o vero ciborio del Sagramento di legname intagliato e tutto dorato alto braccia tre in circa, il quale tabernacolo è tutto tondo, e si vede così dalla parte del coro come dinanzi. E perchè non ho perdonato nè a fatica nè a spesa nessuna, parendomi esser tenuto a così fare in onor di Dio, questa opera, per mio giudizio, ha tutti quegli ornamenti d’oro, d’intagli, di pitture, di marmi, di trevertini, di mischi e di porfidi e d’altre pietre, che per me si sono in quel luogo potuti maggiori. Ma tornando oramai a Pietro Laurati, finita la tavola di cui si è di sopra ragionato, lavorò in S. Piero di Roma molte cose, che poi sono state rovinate per fare la fabrica nuova di S. Piero. Fece ancora alcune opere in Cortona et in Arezzo oltre quelle che si son dette; alcun’altre nella chiesa di S. Fiora e Lucilla, monasterio de’ monaci Neri, e in particolare in una capella un S. Tommaso che pone a Cristo nella piaga del petto la mano. Fu discepolo di Pietro, Bartolomeo Bologhini sanese, il quale in Siena et in altri luoghi d’Italia lavorò molte tavole; et in Fiorenza è di sua mano quella che è in sull’altare della capella di S. Silvestro in S. Croce. Furono le pitture di costoro intorno agli anni di nostra salute [p. 147 modifica]1350; e nel mio libro tante volte citato si vede un disegno di mano di Pietro, dove un calzolaio che cuce, con semplici ma naturalissimi lineamenti, mostra grandissimo affetto e qual fusse la propria maniera di Pietro, il ritratto del quale era di mano di Bartolomeo Bologhini in una tavola in Siena, quando non sono molti anni lo ricavai da quello nella maniera che di sopra si vede.

FINE DELLA VITA DI PIETRO LAURATI