Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1568)/Bartolomeo da Bagnacavallo et altri pittori romagnuoli

Bartolomeo da Bagnacavallo et altri pittori romagnuoli

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Vita di Bartolomeo da Bagnacavallo et altri Pittori Romagnuoli


Ertamente che il fine delle concorrenzie nelle arti, per la ambizione della gloria, si vede il più delle volte esser lodato; ma s’egli avviene che da superbia e da presumersi chi concorre meni alcuna volta troppa vampa di sé, si scorge in ispazio di tempo quella virtù che cerca, in fumo e nebbia risolversi; atteso che mal può crescere in perfezzione chi non conosce il proprio difetto e chi non teme l’operare altrui; però meglio si conduce ad augumento la speranza degli studiosi timidi, che sotto colore d’onesta vita onorano l’opere de’ rari maestri, e con ogni studio quelle imitano, che quella di coloro che hanno il capo [p. 214 modifica]pieno di superbia e di fumo, come ebbero Bartolomeo da Bagnacavallo, Amico Bolognese, Girolamo da Codignuola et Innocenzio da Imola pittori: perché essendo costoro in Bologna in un medesimo tempo, s’ebbero l’uno all’altro quell’invidia, che si può maggiore imaginare. E, che è più, la superbia loro e la vanagloria, che non era sopra il fondamento della virtù collocata, li deviò dalla via buona; la quale all’eternità conduce coloro che più per bene operare che per gara combattono. Fu dunque questa cosa cagione che a’ buoni principii che avevano costoro non diedero quello ottimo fine che s’aspettava. Conciò sia che il presumersi d’essere maestri li fece troppo discostarsi dal buono. Era Bartolomeo da Bagnacavallo venuto a Roma, ne’ tempi di Raffaello, per aggiugnere con l’opere, dove con l’animo gli pareva arrivare di perfezzione. E come giovane, ch’aveva fama in Bologna per l’aspettazione di lui, fu messo a fare un lavoro nella chiesa della Pace di Roma, nella cappella prima a man destra entrando in chiesa, sopra la cappella di Baldassar Perucci sanese. Ma non gli parendo riuscire quel tanto, che di sé aveva promesso, se ne tornò a Bologna, dove egli et i sopra detti fecero a concorrenza l’un dell’altro in San Petronio, ciascuno una storia della vita di Cristo e della madre alla capella della Madonna, alla porta della facciata dinanzi a man destra entrando in chiesa, fra le quali poca differenza di perfezzione si vede dall’una all’altra. Per che Bartolomeo acquistò in tal cosa fama di avere la maniera più dolce e più sicura. Et avvenga che nella storia di maestro Amico sia una infinità di cose strane, per aver figurato nella Resurression di Cristo gl’armati con attitudini torte e rannicchiate, e dalla lapida del sepolcro, che rovina loro addosso, stiacciati molti soldati; nondimeno per essere quella di Bartolomeo più unita di disegno e di colorito, fu più lodata dagli artefici. Il che fu cagione ch’egli facesse poi compagnia con Biagio Bolognese, persona molto più pratica nella arte che eccellente, e che lavorassino in compagnia in San Salvatore a’ frati Scopetini, un refettorio, il quale dipinsero parte a fresco parte a secco; dentrovi quando Cristo sazia coi cinque pani e due pesci, cinquemila persone. Lavorarono ancora in una facciata della libreria la disputa di Santo Agostino, nella quale fecero una prospettiva assai ragionevole. Avevano questi maestri, per avere veduto l’opere di Raffaello e praticato con esso, un certo che d’un tutto, che pareva di dovere esser buono; ma nel vero non attesero all’ingegnose particolarità dell’arte, come si debbe. Ma perché in Bologna in que’ tempi non erano pittori che sapessero più di loro, erano tenuti da chi governava e dai popoli di quella città i migliori maestri d’Italia. Sono di mano di Bartolomeo sotto la volta del palagio del podestà alcuni tondi in fresco, e dirimpetto al palazzo de’ Fantucci in San Vitale una storia della visitazione di Santa Elisabetta. E ne’ Servi di Bologna intorno a una tavola d’una Nunziata dipinta a olio, alcuni Santi lavorati a fresco da Innocenzio da Imola. Et in San Michele in Bosco dipinse Bartolomeo a fresco la capella di Ramazzotto, capo di parte in Romagna. Dipinse il medesimo in Santo Stefano in una capella due Santi a fresco con certi putti in aria assai begli. Et in San Iacopo una capella a Messer Aniballe del Corello, nella quale fece la Circoncisione di Nostro Signore, con assai figure; e nel mezzo tondo disopra fece Abramo, che sacrifica il figliuolo a Dio. E questa opera invero fu fatta con buona pratica e [p. 215 modifica]maniera. A tempera dipinse nella Misericordia fuor di Bologna in una tavoletta la Nostra Donna et alcuni Santi, e per tutta la città molti quadri et altre opere, che sono in mano di diversi. E nel vero fu costui nella bontà della vita e nell’opere più che ragionevole, et ebbe miglior disegno et invenzione che gl’altri, come si può vedere nel nostro libro in un disegno, nel quale è Gesù Cristo fanciullo che disputa con i Dottori nel tempio, con un casamento molto ben fatto e con giudizio. Finalmente finì costui la vita d’anni cinquantotto, essendo sempre stato molto invidiato da Amico Bolognese, uomo capriccioso e di bizzarro cervello: come sono anco pazze, per dir così, e capricciose, le figure da lui fatte per tutta Italia e particolarmente in Bologna, dove dimorò il più del tempo. E nel vero, se le molte fatiche che fece et i disegni, fussero state durate per buona via e non a caso, egli averebbe per aventura passato molti, che tenghiamo rari e valent’uomini. Ma può tanto, dall’altro lato, il fare assai, che è impossibile non ritrovarne infra molte alcuna buona e lodevole opera, come è fra le infinite che fece costui una facciata di chiaro scuro in sulla piazza de’ Marsigli, nella quale sono molti quadri di storie, et un fregio d’animali che combattono insieme, molto fiero e ben fatto, e quasi delle migliori cose che dipignesse mai. Un’altra facciata dipinse alla porta di San Mammolo, et a San Salvadore un fregio intorno alla capella maggiore, tanto stravagante e pieno di pazzie, che farebbe ridere chi ha più voglia di piagnere. Insomma non è chiesa, né strada in Bologna, che non abbia qualche imbratto di mano di costui. In Roma ancora dipinse assai; et a Lucca in San Friano una capella con strane e bizzarre fantasie, e con alcune cose degne di lode come sono le storie della Croce et alcune di Santo Agostino, nelle quali sono infiniti ritratti di persone segnalate in quella città. E per vero dire questa fu delle migliori opere, che maestro Amico facesse mai a fresco, di colori. Et anco in San Iacopo di Bologna, all’altare di San Nicola, alcune storie di quel Santo, et un fregio da basso con prospettive, che meritan di esser lodate. Quando Carlo Quinto imperador andò a Bologna, fece Amico alla porta del palazzo un arco trionfale, nel quale fece Alfonso Lombardi le statue di rilievo. Né è maraviglia che quella d’Amico fusse più pratica che altro, perché si dice che, come persona astratta che egli era e fuor di squadra dall’altre, andò per tutta Italia disegnando e ritraendo ogni cosa di pittura e di rilievo, e così le buone come le cattive; il che fu cagione, che egli diventò un praticaccio inventore. E quando poteva aver cose da servirsene vi metteva su volentieri le mani; e poi, perché altri non se ne servissi, le guastava. Le quali fatiche furono cagione, che egli fece quella maniera così pazza e strana. Costui venuto finalmente in vecchiezza di settanta anni, fra per l’arte e la stranezza della vita, bestialissimamente impazzò; onde Messer Francesco Guicciardino, nobilissimo fiorentino e veracissimo scrittore delle storie de’ tempi suoi, il quale era allora governatore di Bologna, ne pigliava non piccolo piacere insieme con tutta la città. Nondimeno credono alcuni, che questa sua pazzia fusse mescolata di tristizia, perché avendo venduto per piccol prezzo alcuni beni mentre era pazzo et in estremo bisogno, gli rivolle, essendo tornato in cervello, e gli riebbe con certe condizioni, per avergli venduto, diceva egli, "quando ero pazzo"; tuttavia, perché può anco essere altrimenti, non affermo che fusse così, ma ben dico che così [p. 216 modifica]ho molte volte udito raccontare. Attese costui anco alla scultura, e come seppe il meglio fece di marmo in San Petronio, entrando in chiesa a man ritta, un Cristo morto e Nicodemo, che lo tiene, della maniera che sono le sue pitture. Dipigneva Amico con amendue le mani a un tratto, tenendo in una il pennello del chiaro e nell’altra quello dello scuro; ma quello che era più bello e da ridere si è che, stando cinto, aveva intorno intorno piena la coreggia di pignatti pieni di colori temperati, di modo che pareva il diavolo di San Macario con quelle sue tante ampolle. E quando lavorava con gl’occhiali al naso arebbe fatto ridere i sassi, e massimamente se si metteva a cicalare, perché chiacchierando per venti, e dicendo le più strane cose del mondo, era uno spasso il fatto suo. Vero è che non usò mai di dir bene di persona alcuna, per virtuosa o buona ch’ella fusse, o per bontà che vedesse in lei di natura o di fortuna. E come si è detto fu tanto vago di gracchiare e dir novelle, che avendo una sera un pittor bolognese in sull’Ave Maria compero cavoli in piazza, si scontrò in Amico, il quale con sue novelle, non si potendo il povero uomo spiccare da lui, lo tenne sotto la loggia del podestà a ragionamento con sì fatte piacevoli novelle tanto che, condottisi fin presso a giorno, disse Amico all’altro pittore: "Or va, cuoci il cavolo, che l’ora passa". Fece altre infinite burle e pazzie, delle quali non farò menzione, per essere oggimai tempo che si dica alcuna cosa di Girolamo da Cotignuola, il quale fece in Bologna molti quadri e ritratti di naturale, ma fra gl’altri, due che sono molto belli, in casa de’ Vinacci. Ritrasse dal morto monsignor de Fois, che morì nella rotta di Ravenna, e non molto dopo fece il ritratto di Massimiliano Sforza. Fece una tavola in San Giuseppe, che gli fu molto lodata; et a San Michele in Bosco la tavola a olio che è alla cappella di San Benedetto, la quale fu cagione che con Biagio Bolognese egli facesse tutte le storie che sono intorno alla chiesa, a fresco imposte et a secco lavorate; nelle quali si vede pratica assai, come nel ragionare della maniera di Biagio si è detto. Dipinse il medesimo Girolamo in Santa Colomba di Rimini, a concorrenza di Benedetto da Ferrara e di Lattanzio, un’ancona, nella quale fece una Santa Lucia più tosto lasciva, che bella; e nella tribuna maggiore una coronazione di Nostra Donna con i dodici Apostoli e quattro Evangelisti, con teste tanto grosse e contrafatte, che è una vergogna vederle. Tornato poi a Bologna, non vi dimorò molto che andò a Roma, dove ritrasse di naturale molti signori, e particolarmente papa Paulo Terzo. Ma vedendo che quel paese non faceva per lui, e che male poteva acquistare onore, utile, o nome fra tanti pittori nobilissimi, se n’andò a Napoli, dove trovati alcuni amici suoi che lo favorirono, e particolarmente Messer Tommaso Cambi mercatante fiorentino, delle antiquità de’ marmi antichi e delle pitture molto amatore, fu da lui accomodato di tutto quello che ebbe di bisogno. Perché messosi a lavorare, fece in Monte Oliveto la tavola de’ Magi a olio, nella capella di un Messer Antonello vescovo di non so che luogo; et in Santo Aniello in un’altra tavola a olio la Nostra Donna, San Paulo e San Giovambatista; et a molti signori, ritratti di naturale. E perché vivendo con miseria, cercava di avanzare, essendo già bene in là con gl’anni, dopo non molto tempo, non avendo quasi più che fare in Napoli, se ne tornò a Roma. Per che avendo alcuni amici suoi inteso che aveva avanzato qualche scudo, gli persuasero che [p. 217 modifica]per governo della propria vita, dovesse tor moglie. E così egli, che si credette far bene, tanto si lasciò aggirare, che dai detti, per commodità loro, gli fu messa a canto per moglie una puttana che essi si tenevano. Onde sposata che l’ebbe, e giaciuto che si fu con esso lei, si scoperse la cosa con tanto dolore di quel povero vecchio, che egli in poche settimane se ne morì d’età d’anni 69. Per dir ora alcuna cosa di Innocenzio da Immola, stette costui molti anni in Fiorenza con Mariotto Albertinelli, e dopo, ritornato a Immola, fece in quella terra molte opere. Ma persuaso finalmente dal conte Giovambattista Bentivogli, andò a stare a Bologna; dove fra le prime opere contrafece un quadro di Raffaello da Urbino già stato fatto al signor Lionello da Carpi. Et ai monaci di San Michele in Bosco lavorò nel capitolo a fresco la morte di Nostra Donna e la Ressurrezzione di Cristo, la quale opera certo fu condotta con grandissima diligenza e pulitezza. Fece anco nella chiesa del medesimo luogo la tavola dell’altar maggiore, la parte disopra della quale è lavorata con buona maniera. Ne’ Servi di Bologna fece in tavola una Nunziata, et in San Salvadore un Crucifisso e molti quadri et altre pitture per tutta la città. Alla Viola fece per lo cardinale Ivrea tre logge in fresco, cioè in ciascuna due storie colorite con disegni d’altri pittori, ma fatte con diligenza. In San Iacopo fece una capella in fresco et una tavola a olio per madonna Benozza, che non fu se non ragionevole. Ritrasse anco oltre molti altri Francesco Alidosio cardinale, che l’ho veduto io in Imola insieme col ritratto del cardinale Bernardino Carniale, che ammendue sono assai begli. Fu Innocenzio persona assai modesta e buona, onde fuggì sempre la pratica e conversazione di que’ pittori bolognesi, che erano di contraria natura. E perché si affaticava più di quello che potevano le forze sue, amalandosi di anni cinquantasei di febre pestilenziale, ella lo trovò sì debole et affaticato, che in pochi giorni l’uccise. Per che essendo rimaso imperfetto, anzi quasi non ben ben cominciato, un lavoro che avea preso a fare fuor di Bologna, lo condusse a ottima fine, secondo che Innocenzio ordinò avanti la sua morte, Prospero Fontana pittore bolognese. Furono l’opere di tutti i sopradetti pittori dal MDVI infino al MDXLII. E di mano di tutti sono disegni nel nostro libro.