Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1550)/Benozzo

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Pesello e Francesco Peselli Lorenzo Vecchietto Sanese

BENOZZO

Pittore Fiorentino

Chi camina con le fatiche a la strada della virtú, ancora che ella sia (come e’ dicono) e sassosa e piena di spine, a la fine della salita si ritruova pur finalmente in un largo piano, con tutte le bramate felicità. E nel riguardare a basso, veggendo i cattivi passi con periglio fatti da lui, ringrazia Dio che a salvamento ve lo ha condotto, e con grandissimo contento suo benedice quelle fatiche che già tanto gli rincrescevano. E cosí ristorando i passati affanni con la letizia del bene presente, senza fatica pur si affatica per far conoscere a chi lo guarda come i caldi, i geli, i sudori, la fame, la sete e gli incomodi che si patiscono per acquistare la virtú, liberano altrui da la povertà e lo conducono a quel sicuro e tranquillo stato, dove con tanto contento suo lo affaticato Benozzo si riposò. Costui fu discepolo dello Angelico fra’ Giovanni, a ragione amato da lui, e da chi lo conobbe tenuto pratico di grandissima invenzione, e molto copioso negli animali, nelle prospettive, ne’ paesi e negli ornamenti. Fece tanto lavoro nella età sua, che e’ mostrò non essersi molto curato d’altri diletti; et ancora che e’ non fusse molto eccellente a comparazione di molti che lo avanzarono di disegno, superò nientedimeno col tanto fare tutti gli altri della età sua, perché in tanta moltitudine di opere gli vennero fatte pure delle buone. Dipinse in Fiorenza nella sua giovanezza alla Compagnia di San Marco la tavola dello altare; et in San Friano un Transito di San Ieronimo, che è stato guasto per acconciare la facciata della chiesa lungo la strada. Nel palazzo de’ Medici fece in fresco la cappella con la storia de’ Magi, et a Roma in Araceli, nella cappella de’ Cesarini, le storie di Santo Antonio da Padova, et in Santo Apostolo la cappella dello altar maggiore. La quale per le fatiche duratevi e per alcune figure scortate ebbe grido e fama grandissima in quella città, e fu cagione di farlo conoscere per molto pratico e diligente nella arte. Non mancano però alcuni che attribuischino questa cappella a Melozzo da Furlí, il che a noi non pare verisimile, sí perché di Melozzo non abbiamo visto già mai cosa alcuna, e sí ancora perché e’ vi si riconosce tutta la maniera di Benozzo; pure ne lasciamo il giudicio libero a chi la intende meglio di noi. Dipinse in questa cappella la Ascensione di Cristo, con assai ornamenti di prospettiva, ad instanzia, dicono, del Cardinale Riario, nipote di Papa Sisto IIII, dal quale ne fu molto remunerato. Fu costui abbondante di figure e di ogni altra cosa ne’ suoi lavori, e molto si dilettò di fare scortar le figure di sotto in su: cosa difficile e faticosa nella pittura. Fu chiamato dalla opera di Pisa e lavorò nel cimiterio a•llato al duomo detto Campo Santo una parete di muro lunga quanto tutto lo edifizio, e vi fece storie del Testamento vecchio, con grandissima invenzione di figure. E bene si può veramente chiamar questa una opera terribilissima, per esservi distintamente le storie della creazione del mondo a giorno per giorno, tutte quelle di Noè che fabrica l’arca e vi riceve gli animali, la inondazione del diluvio espressa con bellissimi componimenti e copiosità di figure e con ogni bello ornamento. Inoltre la superba edificazione della torre disegnata da Nebrot, lo incendio di Soddoma e delle altre città vicine, le istorie di Abramo, nelle quali sono da considerare affetti bellissimi; perché ancora che Benozzo non avesse molto singular disegno nelle figure, e’ dimostrò nientedimanco l’arte efficacemente nel sacrifizio di Isaac, per avere situato in iscorto uno asino in tale maniera, che e’ si volta per ogni banda; il che è tenuto cosa bellissima. Seguí appresso il nascere di Mosè, con que’ tanti segni e prodigii sino a che e’ trasse il popolo fuori de lo Egitto e lo cibò tanti anni dentro al deserto. Aggiunse a questo tutte le storie ebree sino a Davit et a Salomone suo figliuolo, sino che a lui viene la Regina Saba. E dimostrò veramente Benozzo in questo lavoro uno animo piú che invitto, perché dove sí grande impresa arebbe giustamente fatto paura ad una legione di pittori, egli solo la fece tutta e la condusse a perfezzione. Di maniera che avendone acquistato fama grandissima, meritò che nel mezzo di quel lavoro gli fusse posto questo epigramma:
QVID SPECTAS VOLVCRES, PISCES ET MONSTRA FERARVM
ET VIRIDES SILVAS AETHEREASQVE DOMOS?
ET PVEROS, IVVENES, MATRES, CANOSQVE PARENTES
QVEIS SEMPER VIVVM SPIRAT IN ORE DECVS?
NON HAEC TAM VARIIS FINXIT SIMVLACRA FIGVRIS
NATVRA, INGENIO FOETIBVS APTA SVO:
EST OPVS ARTIFICIS; PINXIT VIVA ORA BENOXVS.
O SVPERI, VIVOS FVNDITE IN ORA SONOS.

Nella medesima città di Pisa, nelle monache di San Benedetto a Ripa d’Arno, finí tutta la storia della vita monastica di quel santo, che non è piccola. Et inoltre molte opere a tempera in fresco et in tavola si veggono per tutta quella terra, facilissimamente lavorate da lui, come nella Compagnia de’ Fiorentini dirimpetto a San Girolamo, et infiniti altri luoghi che troppo sarebbe lungo il contargli. Dipinse a San Gimignano, et a Volterra tanto, che logoro finalmente dalla fatica in età di LXXVIII anni, se ne andò a ’l vero riposo nella stessa città di Pisa, in una casetta che in sí lunga dimora vi si aveva comperata nella carraia di San Francesco. La qual casa lasciò morendo alla sua figliuola, e con lagrime di tutta quella città onoratamente fu sepellito in Campo Santo con questo epitaffio:
HIC TIMVLVS EST BENOTII FLORENTINI QVI PROXIME HAS PINXIT HISTORIAS. HVNC SIBI PISANORVM DONAVIT HVMANITAS.
MCCCCLXXVIII.

Visse Benozzo costumatissimamente sempre, e da vero cristiano, consumando tutta la vita sua in esercizio onorato; per il che e per la buona maniera e qualità sua lungamente fu ben veduto in quella città e tenuto in pregio. Lasciò dopo sé, discepoli suoi, Zanobi Machiavegli fiorentino, et alcuni altri che non accade farne memoria.