Le stragi delle Filippine/Capitolo X - Attraverso i paesi dell'insurrezione

Capitolo X - Attraverso i paesi dell'insurrezione

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Capitolo X - Attraverso i paesi dell'insurrezione
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Capitolo X


ATTRAVERSO I PAESI DELL'INSURREZIONE


I due insorti e Than-Kiú, volte le spalle alle ultime case dei popolosi sobborghi di Manilla, si allontanavano rapidamente per non farsi sorprendere, prima che l'alba spuntasse, dalle truppe spagnuole che dovevano essersi concentrate nei dintorni della capitale.

La fanciulla chinese, piú pratica di tutti dei luoghi e che sapeva dove si trovavano accampate le forze del generale Polavieja operanti contro Cavite, e quelli di Lachambre e Cornell che miravano ad espugnare Salitran e d'impadronirsi delle rive dell'Imus, li guidava.

Invece di prendere la via costiera che metteva a Las Pinas, si dirigeva verso il sud-est come se avesse voluto avvicinarsi alle montagne che costeggiano la vasta Laguna della Baia, dalla quale esce il fiume Passig.

Hang-Tu, che aveva piena fiducia nella sagacia della giovane, e Romero, entrambi silenziosi e preoccupati dagli avvenimenti della sera, la seguivano senza chiederle dove li conducesse.

La notte era oscura assai e favoriva la loro fuga. Un velo di vapori, che il vento marino spingeva dal golfo di Manilla verso le montagne della Laguna, copriva il cielo, offuscando gli astri ed intercettando del tutto la luce della luna.

Nessun abitante, né alcun accampamento di soldati si scorgevano sui margini delle immense piantagioni che i ribelli attraversavano. Solo di quando in quando, in lontananza, si udivano i latrati di qualche cane vigilante la capanna di qualche povero coltivatore tagalo o chinese.

In aria invece volteggiavano numerosi quei brutti ed enormi pipistrelli, comunissimi in tutte le isole malesi ed anche nell'arcipelago delle Filippine, col corpo lungo circa quaranta centimetri e le ali membranose larghe oltre un metro, prese insieme.

Than-Kiú camminava sempre, con passo leggero, ma rapido. Quel corpiccino che sembrava cosí delicato e quasi privo di sangue, doveva possedere una resistenza straordinaria. Si sarebbe detto che sotto la pelle cosí diafana nascondeva dei muscoli intrecciati con fili d'acciaio.

Attraversate tre o quattro piantagioni di canne da zucchero e d'indaco, senza arrestarsi un solo momento, si era avanzata lungo il margine d'una foresta di felci arboree e di palme, ma giunta presso i primi alberi, aveva cominciato a rallentare il passo.

Pareva che temesse una sorpresa o qualche pericolo, poiché ascoltava di frequente con estrema attenzione e non si rimetteva in marcia se non dopo d'aver scrutato attentamente le macchie vicine.

— Che cosa temi? — chiese Hang-Tu, raggiungendola. — Io non so ancora dove ci conduci.

— Non me lo hai nemmeno chiesto, — rispose Than-Kiú.

— Tu conosci la via meglio di me, ma mi sembra che noi non andiamo verso Las Pinas.

— Là stanno le truppe del generale Cornell.

— Ma mi hanno detto che sull'Imus vi sono i nostri.

— Sí, guardati dalla 1° e 2° compagnia dei cacciatori del generale Zabala.

— Si potrebbe passare fra di loro.

— E cadremo fra le due brigate del generale Cornell.

— Tu la sai piú lunga d'un generale, — disse Hang-Tu, sorridendo. — Quanta intelligenza nella tua piccola testa!

Romero non aveva pronunciato una sillaba, ma aveva guardato la giovane chinese con ammirazione. Gli sembrava impossibile che quella fanciulla sapesse tante cose e che conoscesse cosí bene tutte le mosse e tutte le posizioni degli spagnuoli.

— Dove vuoi condurci, Than-Kiú? — chiese Hang.

— Verso la Laguna della baia. Colà non vi sono soldati spagnuoli.

— Ma giungeremo in tempo per organizzare la difesa di Salitran?...

— I cavalli delle isole corrono come il vento e Salitran non verrà assalita cosí presto.

— Ma dove troveremo dei cavalli noi?...

— Lo so io e forse troveremo Pram-Li. Venite.

— Una domanda ancora. Temi che vi siano degli spagnuoli in questo bosco?...

— Tutto può darsi. Sanno dove gl'insorti hanno le loro spie e possono aver preparato delle imboscate.

— Ecco un prezioso avvertimento, — disse Hang, estraendo la catana e la rivoltella. — Passa dietro di noi, Than-Kiú.

— Than-Kiú non si lascia sorprendere, — rispose la giovane, — e poi non teme la morte.

Si era rimessa in cammino, ma tenendo in pugno la rivoltina, s'avanzava però sempre con precauzione, poiché oltre gli spagnuoli che potevano aver occupato il bosco, aveva da temere i serpenti i quali si trovano numerosissimi anche nelle provincie meridionali di Luzon, specialmente dove vi sono delle grandi macchie. I pitoni sono comuni e cosí pure i boa e non mancano i rettili velenosi. Ve ne sono alcuni piccoli il cui morso produce una morte quasi fulminante, come ve ne sono invece altri che raggiungono dimensioni esagerate, poiché si dice che misurino perfino trenta piedi, ossia dieci metri.

Quella foresta però pareva che non celasse quei pericolosi ospiti, non udendosi alcun sibilo in nessuna direzione. Si vedevano invece, saltellare fra le erbe, a mo' delle rane, parecchi animaletti alti quindici o venti centimetri, forniti di grandi occhi rotondi, che luccicavano come quelli delle civette.

Erano i tarsi spettri, i piú strani esseri che si possa immaginare e che formano una delle piú singolari curiosità dell'arcipelago delle Filippine.

Questi animaletti, che sono d'indole notturna e che vivono celati nei boschi, hanno la testa rassomigliante alle rane, ma col muso in forma di cono, una bocca larghissima che sembra uno squarcio, due occhioni rotondi, gialli, fosforescenti e grandissimi, gli orecchi che somigliano a due cucchiai piantati su di un corto manico, le gambe anteriori brevissime e terminanti in dita nodose e ossute e quelle posteriori tre volte piú lunghe e spelate fino a metà.

Il loro pelame è finissimo, leggermente lanoso, bruno giallognolo, ma bianchiccio sul capo.

I tarsi sono riguardati come spiriti maligni e sono sfuggiti da tutti gli isolani; ma Than-Kiú non si preoccupava della loro presenza in quel bosco o non credeva alle superstizioni. Concentrava invece tutta la sua attenzione sulle macchie piú fitte per guardarsi dai nemici, sospettando sempre la loro vicinanza.

Aveva già percorso un mezzo miglio avanzando lentamente, seguita da vicino da Hang-Tu e da Romero, il quale aveva pure impugnata la rivoltella, quando s'arrestò bruscamente.

Un oggetto indefinibile, ma che parve ai suoi occhi come una linea sottile, le era passato dinanzi, emettendo un fischio acuto.

— Che cos'è questo sibilo?... — chiese Romero.

— Io l'ho udito ancora nel mio paese, — rispose Hang-Tu. — È un segnale.

— Sí, — disse Than-Kiú. — è passata dinanzi a me una freccia di guerra.

Fece cenno ai suoi compagni di non muoversi, poi andò a frugare in mezzo ad una macchia di gambir e ritornò mostrando loro una sottile asta. Era una freccia lunga un metro, ma invece della punta aveva uno zufolo.

— Deve averla lanciata un chinese, — disse Hang-Tu. — I nostri soldati usano tali frecce, quando di notte vogliono avvertire qualcuno.

Than-Kiú aveva compreso che un pericolo li minacciava e si era affrettata a retrocedere verso un macchione di palme sontar, i cui tronchi sostenevano fitti festoni di pepe selvatico.

Hang-Tu e Romero si erano affrettati a raggiungerla mettendosele ai fianchi onde proteggerla, nel caso che degli spagnuoli si mostrassero.

Passarono alcuni minuti, poi in cima ad un frondoso pombo, enorme albero che produce degli aranci grossi come la testa d'un bambino e che cresceva a circa cinquanta passi dal macchione, si udí uno stormire di fronde, come se qualcuno si aprisse un passaggio fra i rami.

Hang-Tu e Romero, che avevano alzati gli sguardi, scorsero ben presto una forma umana, la quale scendeva rapidamente, aggrappandosi ad alcuni calami che si erano avviticchiati al colossale tronco.

Quell'uomo, che pareva possedesse un'agilità straordinaria, tale da sfidare anche le scimmie, toccato il suolo, si era arrestato un istante, poi si era messo a strisciare verso il nascondiglio degli insorti.

— Una spia degli spagnuoli?... — aveva chiesto Hang-Tu, puntando la rivoltella.

— No, — aveva risposto Than-Kiú, abbassandogli il braccio. — È uno dei nostri.

— Tu sai molte cose che io ignoro, — disse il chinese.

— So dove si trovano i posti degl'insorti incaricati di vegliare sulle mosse degli spagnuoli.

— Lo vedo, Than-Kiú.

Intanto l'uomo si era accostato fino a pochi passi, ma poi si era arrestato dietro il tronco d'un'arenga saccharifera.

— Sei tu, Sheu-Kin? — chiese la fanciulla sottovoce e facendo un passo innanzi.

Colui che portava quel nome scivolò rapidamente fra le piante sarmentose del pepe selvatico, dicendo:

— Avevo sospettato in voi degl'insorti ed avevo lanciato la freccia di guerra per arrestarvi. Avete fatto bene, poiché gli spagnuoli da ieri sera hanno sorpreso il posto d'osservazione. Sono felice di rivederti, Than-Kiú.

Sheu-Kin era, come lo diceva il suo nome, un chinese che poteva aver diciott'anni, ma d'aspetto robusto. Teneva ancora in mano l'arco col quale aveva lanciato il dardo munito di zufolo, ma alla cintura portava una rivoltella ed un lungo coltello.

— Sei un bravo e fedele giovanotto, — disse Than-Kiú. — Sapevo di non ingannarmi affidandoti la sorveglianza di questa foresta. Sono partiti gli spagnuoli?...

— No, Than-Kiú. Vi sono due dozzine di uomini accampati intorno al posto.

— Ciò è grave. Ero venuta qui per avere alcuni cavalli e alcune armi per me ed i miei compagni.

— Vi saranno, — rispose il giovane chinese. — Il mio cane aveva fiutato i nemici prima che entrassero nella foresta ed ho potuto fuggire assieme ai cavalli dei corrieri giunti ieri dalle rive dell'Imus.

— Dalle rive dell'Imus?... — chiese Hang-Tu. — Quali notizie recavano?

— Parla, — disse Hang-Tu, udendo che il giovane chinese dopo di aver guardato sospettosamente Hang e Romero, esitava. — Questi sono due capi dell'insurrezione.

— Brutte nuove, — rispose Sheu-Kin. — Il generale Lachambre si preparava ad assalire i posti degli insorti sulle rive dell'Imus.

— Per spingersi su Salitran? — chiese Romero.

— Sí, — rispose il chinese.

— Allora bisogna partire senza ritardo, Hang-Tu.

— Lo so, — disse il capo delle società segrete. — Se Salitran cade, anche Cavite e Noveleta non potranno resistere a lungo, alle forze riunite di terra e di mare.

— Guidaci, Sheu-Kin, — disse Than-Kiú. — Abbiamo molta fretta.

Il giovane chinese si alzò e si mise in marcia, cacciandosi in mezzo a macchini di sontar, di felci arborescenti, di betel, di areca, di sagu e di banani, le cui grandi foglie proiettavano un'ombra cosí fitta, da non potersi scorgere alcun oggetto a tre passi di distanza.

Than-Kiú, Hang e Romero, erano costretti a tenersi ben vicini al chinese per non perderlo di vista e per evitare i tronchi delle piante e gli smisurati calami che s'intrecciavano a tutte le altezze.

Sheu-Kin però pareva che avesse gli occhi degli animali notturni poiché procedeva speditamente e senza esitare, evitando facilmente tutti gli ostacoli che ingombravano il cammino.

Dopo dieci minuti, avvertí i compagni che il terreno s'abbassava.

Ad Hang ed a Romero parve di scendere entro una cupa valletta, o meglio in una gola, le cui pareti erano coperte di piante dalle foglie gigantesche che s'incrociavano sulle loro teste, impedendo di scorgere, o quasi, il cielo.

— Dove andiamo? — chiese Hang.

— Sheu-Kin lo sa, — rispose Than-Kiú, che camminava dietro il giovane chinese.

Ben presto la gola cominciò ad allargarsi, diventando un po' piú chiara. Le piante erano scomparse, ma le pareti erano sempre altissime e sulle loro cime si vedevano curvarsi i grossi e fronzuti alberi della foresta

Sheu-Kin si era arrestato dinanzi ad una nera apertura che pareva s'internasse nel fianco della valletta.

— Attendetemi, — disse.

S'inoltrò entro quella spaccatura che doveva condurre in qualche caverna, e poco dopo usciva conducendo tre cavalli completamente bardati e dai cui arcioni pendevano tre fucili.

— Sono vostri, — diss'egli. — I corrieri ne troveranno altri a Manilla. Sono già avvertiti che il posto è stato sorpreso dagli spagnuoli.

— È necessaria la tua presenza in questo bosco? — gli chiese Than-Kiú.

— Attendevo l'alba per fuggirmene fino a Salitran. Credo che ormai piú nessun insorto si dirigerà qui per rifornirsi d'armi e di cavalli.

— Vieni con noi.

— Ma non abbiamo che tre cavalli, — disse Hang.

— Sheu-Kin salirà dietro di me, — rispose la fanciulla.

Balzarono in arcione e si misero in cammino. Il giovane chinese, che si teneva dietro Than-Kiú, aveva domandato d'inoltrarsi nella valletta per riguadagnarsi il bosco, onde allontanarsi verso la Laguna della Baia ed evitare gli appostamenti spagnuoli che sapeva essere numerosi intorno alla capitale.

Il terreno cominciava a salire; ma era assai aspro, interrotto da crepacci, da macigni caduti dall'alto ed ingombro di vecchi tronchi d'alberi che finivano d'imputridire in fondo a quella grande spaccatura. I tre cavalli però, tre vigorosi animali e di buona razza, varcavano facilmente quegli ostacoli e pareva che fossero impazienti di giungere sul piano per lanciarsi al galoppo.

Il giovane chinese tuttavia consigliava i cavalieri di frenarli, non essendo certo che l'uscita della gola fosse libera. Gli spagnuoli che avevano occupato il posto di rifornimento dei corrieri insorti, potevano essersi accorti di quei notturni viaggiatori ed aver teso un agguato.

Verso le quattro del mattino, quando il cielo cominciava a rischiararsi, i fuggiaschi giungevano all'estremità della valletta. Dinanzi a loro si estendeva la tenebrosa foresta, composta di macchioni d'alberi e di cespugli.

— Adagio, — aveva detto Sheu-Kin.

In quell'istante si udí una voce a gridare.

— Chi vive?...

Espana e Luzon!... — gridò il chinese.

Poi volgendosi verso Hang-Tu e Romero:

— Carichiamo o non usciremo piú da questa trappola.

Il capo degli uomini gialli ed il meticcio si gettarono dinanzi a Than-Kiú, poi lanciarono i cavalli al galoppo, armando i fucili.

Alcune ombre umane si agitavano sull'orlo del bosco e pareva che si disponessero a chiudere il passo.

— Fuoco!... — urlò Hang-Tu.

Tre spari echeggiarono, poi tre cavalli caricarono a corsa sfrenata, passando come un uragano in mezzo ad alcuni soldati che si erano gittati precipitosamente a destra ed a manca.

Una scarica rintronò. I soldati, accortisi dell'inganno, avevano pure fatto fuoco.

Il cavallo di Than-Kiú, che era l'ultimo, fece un brusco scarto, mandando un nitrito di dolore, ma continuò la corsa. La fanciulla si era mantenuta in sella, ma si era accorta che il povero animale era stato colpito.

— Sheu-Kin!... — esclamò.

— Lascialo correre finché ha forza, — rispose il chinese, che si teneva aggrappato alla sella.

Romero aveva però udito il grido della giovane. Con una violenta strappata costrinse il proprio cavallo a moderare la corsa, poi quando si vide passare accanto Than-Kiú, allungò le robuste braccia e la levò d'arcione.

Il momento era stato ben scelto, poiché poco dopo il cavallo montato da Sheu-Kin stramazzava pesantemente al suolo, spaccandosi la testa contro il tronco d'un albero.

Il suo cavaliere, proiettato innanzi dal colpo, girò due volte in aria, ma ebbe la fortuna di andare a cadere nel bel mezzo d'un folto cespuglio le cui fronde bastarono per impedirgli di fracassarsi le ossa.

— Morte di Fo!... Chi è caduto? — gridò Hang-Tu, arrestando il proprio cavallo.

Il giovane chinese, invece di rispondere, si rialzò con una agilità che indicava come nulla si fosse guastato e con un balzo si trovò dietro al capo degli uomini gialli.

— Avanti!... — gridò, stringendo le ginocchia e tenendosi alla sella.

Delle detonazioni rimbombavano verso l'uscita della valletta e se ormai non potevano produrre danno ai fuggiaschi che erano fuori di portata dai colpi, potevano però attirare l'attenzione di altri soldati.

I due cavalli, malgrado quel doppio carico, mantenevano un galoppo rapidissimo, evitando abilmente gli ostacoli che incontravano sul loro cammino.

Hang-Tu e Sheu-Kin si erano messi alla testa: Romero veniva dietro, sostenendo fra le braccia la giovane chinese.

Quella corsa furiosa durò una mezz'ora, poi i due cavalli cominciarono a rallentare. Le piante si diradavano ed il terreno saliva rapidamente. La pianura boscosa si tramutava in collina e piú oltre in montagna.

L'alba spuntava fugando rapidamente le tenebre ed al calore soffocante della notte succedeva una fresca brezzolina, vivificante e carica del profumo di mille piante in fiore.

Gli uccelli cominciavano a cinguettare sulle piú alte cime degli alberi. Le ciarliere gazze aprivano, ai primi raggi del sole, le loro ali screziate d'azzurro brillante; gli aironi si stiracchiavano le loro lunghe gambe; le splendide colombe, coronate dalle piume scintillanti d'oro e d'azzurro, si preparavano ad innalzarsi, mentre i grossi calao, dal becco enorme, mostruoso, facevano udire le loro grida sgradevoli, somiglianti allo stridere d'una ruota male unta.

Anche le scimmie che sono piuttosto numerose nelle foreste delle Filippine e soprattutto in quelle di Luzon, si preparavano a lasciare i loro rifugi notturni.

Sugli alberi fruttiferi si vedevano agitarsi non pochi di quei ridicoli quadrumani chiamati Bacantan, dal corpo svelto, la coda lunga, dal pelame ricco e morbido di color bruno piú o meno chiaro, alti circa un metro e mezzo, ma con un viso assai strano. Figuratevi che hanno la barba gialla, il labbro superiore spaccato ed un naso rosso come quello dei seguaci di Bacco e cosí lungo e adunco, che quei poveri animali sono costretti a tenerselo quasi sempre in mano per non fracassarselo contro i rami degli alberi.

Non mancavano nemmeno i macachi chiamati Monjet, altre scimmie barbute, colla testa piatta, il pelame verde bruno, la coda lunga e che quando vogliono divertirsi, vanno a percuotere, per ore di seguito, le grosse canne di bambú, improvvisando dei concerti molto rumorosi.

Hang-Tu, vedendo che il terreno continuava a salire e che i cavalli faticavano assai con quel doppio peso, si era arrestato, dicendo a Sheu-Kin:

— Dove andiamo?... I nostri animali non possono condurci fino a Salitran, se siamo costretti a raddoppiare il cammino.

— Vi è una fattoria sulla cima di questo colle, — rispose Sheu-Kin. — Colà troveremo dei cavalli.

— Conosci il proprietario?...

— Sí, ed è un malese.

— Allora non vi è da temere.

I cavalli dopo un breve riposo s'erano rimessi in cammino, ma Romero e Hang erano discesi per non affaticarli troppo e procedevano insieme, coi fucili sotto il braccio.

Il terreno saliva sempre, ma la foresta continuava a diradarsi. S'alzavano qua e là gruppi di fichi, alberi che crescono splendidamente in quelle isole, mentre tutte le altre piante di provenienza europea intisichiscono, producendo frutta avvizzite; macchioni di alberi gommiferi, di grossi e fronzuti tamarindi, di felci colossali, di nipa dalle bellissime foglie e di tigli detti del pitro, piante che dànno delle fibre tigliose bellissime che unite colla seta servono a fabbricare dei tessuti di meravigliosa finezza, assai apprezzati e molto ricercati sui mercati chinesi e giapponesi.

Di passo in passo che salivano, l'orizzonte si allargava. Attraverso agli squarci della foresta, i cavalieri potevano già scorgere la vasta baia di Manilla solcata da numerosi velieri e da cannoniere che lanciavano in aria nuvoli di fumo nerissimo e piú oltre, verso il nord, la selva di campanili della Ciudad e piú indietro i popolosi sobborghi del Passig.

Giunti sulla cima del colle, che era quasi sgombra di piante, apparve ai loro sguardi la vastissima Laguna della Baia che è divisa da quella di Manilla da un istmo largo poco piú di sette miglia, colla sua isola di Talim che ne occupa il centro e le sue isolette affollate dinanzi all'uscita del fiume.

Hang-Tu, salito sulla cima d'una rupe in compagnia di Romero, aveva volto ansiosamente gli occhi verso il mare, seguendo attentamente la curva pronunciatissima che descrive la baia di Manilla verso le coste meridionali.

— Eccolo il baluardo dell'insurrezione, — diss'egli, con un certo entusiasmo. — Lo vedi, Romero?

Il meticcio aveva arrestato lo sguardo su un grosso gruppo di casette biancheggianti all'estremità d'una lunga lingua di terra. Dinanzi ad esso si vedevano parecchi punti neri, sovra i quali s'alzava come una nebbia oscura.

— Cavite, — disse, — la vedo.

In quel momento un sordo colpo di cannone rimbombò in lontananza, ripercotendosi poco dopo fra le rocce della collina, seguito da un secondo, poi da un terzo.

— A Cavite si combatte, — disse Sheu-Kin, che li aveva raggiunti.

— Sí, la flotta la bombarda, — rispose Hang-Tu, la cui fronte si era abbuiata.

— Finché i nostri tengono Salitran, non v'è pericolo, — disse Romero. — Le cannoniere spagnuole non riusciranno a scacciare da Cavite i nostri fratelli.

— Ma se Salitran non potesse resistere?... Chi impedirebbe poi al generale Polavieja di prendere i nostri alle spalle, assalendoli dalla parte di terra?...

— Vi è Noveleta ancora.

— Verrà espugnata presto, Romero. Non potrà resistere a lungo agli assalti delle numerose truppe spagnuole.

— Ma noi andremo a scatenare l'insurrezione nelle province settentrionali. Luzon è vasta e fra i monti del centro nessuno potrebbe sloggiarci, né domarci.

— Lo si vedrà, — disse Hang-Tu, crollando il capo.

Lasciarono quella specie d'osservatorio e girando attorno ad una vetta, scesero in una stretta valle dove si scorgevano piccole piantagioni di zenzero e di canne da zucchero e piú oltre una casa di bell'aspetto, cinta da uno steccato, entro cui pascolavano numerosi cavalli e buoi.