Le stragi delle Filippine/Capitolo XXVI - La caccia al «padewakan»

Capitolo XXVI - La caccia al «padewakan»

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Capitolo XXVI - La caccia al «padewakan»
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Capitolo XXVI


LA CACCIA AL «PADEWAKAN»


Il «Padewakan», sfuggito miracolosamente alla crociera della flottiglia spagnuola, aveva messa arditamente la prora al nord-est, per passare attraverso alla seconda che vigilava dinanzi a Malabon.

Hang-Kai, sapendo che il secondo pericolo era ben piú grave del primo e piú difficile da evitarsi, trattandosi di sfidarlo invece di sfuggirlo, aveva dato gli ordini necessari onde il veliero si trovasse in grado di difendersi nel caso che fosse assalito.

Da uomo esperto, aveva fatto gettare dinanzi alle due spingarde ammassi di cordami, botti ripiene di ferraccio che servivano di zavorra e tutti i pennoni di ricambio, formando una specie di barricata per la difesa degli artiglieri, poi aveva fatti portare in coperta e caricare un centinaio di fucili, per fulminare colla maggior velocità possibile gli assalitori.

Aveva inoltre fatto aprire una cassa di bombe da gettarsi a mano, che era destinata ai difensori di Cavite, facendone portare alcune in coperta.

Egli sperava con tali proiettili di tener lontane le torpediniere, delle quali aveva molta paura, dopo d'aver corso il pericolo, di saltare in aria colla sua piccola nave.

— Ora sono tranquillo, — disse Hang-Tu. — Se qualche cannoniera troppo curiosa vorrà fermarci, spero di poterle respingere e di darle la risposta che si merita.

— Ma resisterà, il tuo padewakan, alle palle di quei grossi cannoni? — domandò il chinese. — Io ne dubito.

— Mi basteranno pochi minuti per condurvi a terra, — rispose il marinaio. — Che dopo mandino a picco il mio veliero, non m'importa, poiché io non tornerò piú al villaggio che abbiamo lasciato.

— Rimarrai a Malabon?...

— A Cavite non potrei piú andare ed io non son uomo da rimanere inoperoso, mentre tutti gl'insorti si battono.

— È vero, — disse Hang-Tu.

— Ah!...

— Che cos'hai?...

— Scorgo di già i fanali delle navi ancorate alla foce del Passig. Se questo vento non scema, fra mezz'ora passeremo dinanzi a Manilla.

Romero, che gli stava presso, appoggiata alla murata, udendo quelle parole aveva trasalito; poi si era raddrizzato fissando ardentemente gli occhi verso quei lumicini che indicavano la vicinanza della capitale, mentre un lungo sospiro gli sfuggiva dalle labbra.

Than-Kiú che si trovava a due passi da lui, seduta su di un gruppo di cordami e che non lo aveva perduto d'occhio un solo istante, si era accorta della mossa del meticcio.

Si alzò bruscamente, seguendo lo sguardo di Romero, poi gli si avvicinò senza far rumore.

Il meticcio continuava a guardare verso la foce del Passig, come se fosse attratto da una curiosità irresistibile. Si sarebbe detto che egli sperava di veder comparire da quella parte la donna amata e che non aveva riveduto dopo la sua partenza pei campi dell'insurrezione.

Than-Kiú gli si era avvicinata tanto da toccarlo, ma pareva che Romero non si fosse accorto.

— È laggiú che brilla la stella della donna bianca, — gli disse improvvisamente la giovane chinese. — La vedi, mio signore?... È sempre splendida.

Romero non si era mosso, né aveva risposto. Forse nulla aveva udito.

— Mi hai compreso, mio signore? —rispose Than-Kiú, dopo alcuni istanti di silenzio. — Guarda come luccica sopra Manilla, mentre la mia stella sta per tramontare in mare.

Romero guardò la giovanetta. Una viva commozione gli si scorgeva sui maschi ed energici lineamenti. La vicinanza di Manilla doveva aver scatenata la passione, che invano aveva cercato fino allora di soffocare.

— Tu soffri, — disse Than-Kiú, alla quale nulla era sfuggito. — Sia maledetta la donna bianca che tormenta il cuore del mio signore!

— Non parlare di lei, mia fanciulla, — disse Romero, con voce soffocata.

— Ma tu soffri.

— Che importa?

— Ed è sempre la donna bianca che ti fa diventare triste.

— Sí, — mormorò Romero, con un soffio di voce.

— E tu non dimenticherai mai quella donna che ti strazia il cuore?... Io, al tuo posto, l'avrei odiata.

— Non si odia chi si ama, Than-Kiú.

— Ah!... È vero, — disse la giovane, con tristezza. — Tu l'ami sempre!

In quell'istante, una voce partita da prora, echeggiò.

— Bada al largo!... Ci si dà la caccia!...

Hang-Tu ed Hang-Kai avevano abbandonata precipitosamente la murata e si erano lanciati verso poppa, in preda ad una certa inquietudine.

Un malese che si era inerpicato sul pennone di trinchetto, aveva lanciato quel grido d'allarme.

— Che cosa vedi! — chiese Hang-Kai.

— Una cannoniera che ci segue, — rispose il malese. — Ha spento or ora i suoi fanali, ma vedo le scorie che escono dalla ciminiera.

— Marcia su noi?...

— Sí.

— A quale distanza? — chiese Hang-Tu.

— A meno d'un miglio.

Hang-Kai ed il chinese si erano lestamente arrampicati sulle griselle, raggiungendo il pennone, nulla avendo potuto scorgere dalla tolda in causa della poca elevazione del veliero.

Il malese indicò loro una massa nera che si dirigeva verso il padewakan, e sopra la quale s'alzavano delle scorie che scintillavano distintamente fra la profonda oscurità.

— Sí, — disse Hang-Kai, — quella cannoniera si prepara a darci la caccia, ma spero di giungere a Malabon prima di essa.

— Abbordiamola, — disse il chinese. — Le armi non ci mancano.

— E ci manderanno a picco, — rispose il marinaio. — Se noi ci trovassimo sotto la costa oserei impegnare la lotta, ma qui in pieno mare, sarebbe una pazzia. Con due o tre colpi di cannone possono sfasciare il mio legno.

— Che cosa conti di fare adunque?...

— Di continuare la mia rotta spiegando piú tela che potremo.

— Sia, — disse Hang-Tu.

Si erano affrettati a scendere e dopo d'aver informato Romero del pericolo, avevano fatto spiegare due altre vele sopra i pennoni di maestra e di trinchetto per accrescere la velocità del piccolo legno.

La cannoniera segnalata, che si avanzava coi fanali spenti, per sorprenderlo e catturarlo, si era lanciata dietro al fuggiasco forzando la macchina, ma pareva che fosse una mediocre camminatrice, poiché non guadagnava molto.

Nondimeno Hang-Kai, Hang-Tu e Romero avevano prese tutte le disposizioni per difendersi estremamente. Tutti gli uomini erano stati chiamati in coperta e disposti dietro alle murate mentre i migliori artiglieri avevano caricate frettolosamente le due spingarde.

A mille metri, la cannoniera, il cui equipaggio doveva ormai essersi accorto che aveva da fare con un veliero montato da insorti, sparò una cannonata a polvere per intimare ai fuggiaschi di mettersi in panna1 e lasciarsi visitare, ma Hang-Kai si guardò bene dall'obbedire.

Non ricevendo alcuna risposta e vedendo che il piccolo veliero non si arrestava, sparò una seconda cannonata; e questa volta i fuggiaschi udirono in aria il sibilio acuto della palla.

— Fra poco comincerà a grandinare, — disse Hang-Kai, la cui fronte si oscurava.

— Abbordiamolo, — consigliò Hang-Tu. — Siamo in trenta ed io rispondo dei miei uomini.

— Credo che sia il partito migliore, — disse Romero, che aveva già armato il suo fucile. — Ordinariamente le cannoniere sono montate da equipaggi poco numerosi.

— Ma a me preme di non esporre la vita dei due migliori capi dell'insurrezione, in un combattimento che non sarà d'alcuna utilità per la nostra causa, — rispose Hang-Kai, con voce grave. — Finché ho la speranza di poter sfuggire all'attacco di quella cannoniera, non mi arresterò.

— Ma possono colarci a fondo.

— Non ancora, Hang-Tu. La notte è oscura e tu sai che le palle non hanno occhi e che gli artiglieri non hanno la vista dei gatti. To'!... Guarda!...

Una terza cannonata era echeggiata, ma anche questa volta la palla era passata sopra il padewakan, senza causare alcuna avaria. Stante l'oscurità e la poca elevazione del veliero, gli spagnuoli erano costretti a far fuoco a casaccio ed avevano ben poche probabilità di affondare i fuggiaschi prima dell'alba, se non riuscivano a diminuire la distanza.

Il padewakan non rispondeva, non essendo le sue spingarde di tale portata da misurarsi col grosso pezzo della cannoniera e poi aveva tutto l'interesse di non indicare la sua rotta esatta. Continuava a fuggire per poter giungere a Malabon prima dello spuntare del sole.

Le cannonate intanto continuavano e le palle cominciavano a cadere ben vicine. Già due volte avevano fatto spruzzare l'acqua a pochi metri dalla poppa ed una anche traversate le due gigantesche vele, smussando l'estremità inferiore del pennone di trinchetto.

Hang-Kai ed i suoi compagni non si preoccupavano delle palle, ma invece molto delle detonazioni, le quali potevano attirare l'attenzione di qualche altra nave spagnuola che facilmente doveva trovarsi in quelle acque.

Alle due del mattino la posizione non era di molto variata. Due altre palle avevano colpito il piccolo veliero, una sopra coperta fracassando parte della murata di babordo ed uccidendo due malesi, e un'altra aveva attraversato il ponte, troncando alcuni cavi delle manovre, ma la carena era rimasta intatta e ciò bastava.

La cannoniera però aveva guadagnato due o trecento passi ed alcune palle di fucile erano già giunte sul veliero, forando le vele in piú luoghi.

Hang-Tu insisteva sempre per darle battaglia, ma Hang-Kai resisteva ostinatamente. Il marinaio sapeva ormai che Malabon non era lontana e sperava ancora di giungervi prima che la nave venisse gravemente danneggiata.

Alle due e mezzo un malese che era stato mandato sul pennone di trinchetto, segnalava alcuni punti luminosi che brillavano verso il nord-est.

— Malabon!... — esclamò Hang-Kai, mandando un grido di gioia. — Fra venti minuti noi staremo a terra.

Gli spagnuoli, come se avessero compreso che la preda stava per sfuggire a loro, raddoppiavano le cannonate e con qualche successo, quantunque il cielo non accennasse ancora a rischiararsi.

Le palle cadevano attorno al veliero e qualcuna attraversò il ponte fracassando qualche malese. Hang-Tu, temendo per la giovane chinese, l'aveva costretta a ripararsi nella piccola camera di prora.

Hang-Kai, messosi alla barra, guidava il veliero di sua mano, avendo piena conoscenza della costa verso la quale muoveva.

I lumi di Malabon erano ormai diventati perfettamente visibili. Ancora un quarto d'ora e tutti erano salvi.

Ad un tratto però, furono veduti alcuni fanali rossi, bianchi e verdi che pareva si muovessero dinanzi alla costa. Hang-Kai era impallidito.

— Fulmini!... — urlò. — La costa è bloccata!...

A cinque o seicento metri si vedevano masse nere solcare il mare e pareva si dirigessero verso la cannoniera, la quale continuava a far fuoco.

Hang-Tu e Romero si erano lanciati verso prora.

— Abbiamo delle navi dinanzi a noi!... — esclamò il chinese.

— Forziamo il blocco, — rispose Romero. — Forse non siamo ancora stati scoperti. Hang-Kai, fila diritto e manda il padewakan addosso la costa: noi saremo pronti a far fuoco.

La flottiglia spagnuola pareva che non si fosse ancora accorta dell'avvicinarsi del piccolo veliero, poiché invece di muovergli incontro per tagliargli la via, si dirigeva verso la cannoniera. Con un po' d'audacia, gl'insorti potevano passare.

— Che nessuno mandi un grido, — disse Romero, — e che nessuno faccia fuoco prima del mio comando.

Hang-Kai, vedendo che le cannoniere accennavano a prendere il largo per tema di arenarsi sui numerosi banchi che si estendono dinanzi alla costa, avevano diretto il padewakan verso il canale di Malabon entro il quale sperava di rifugiarsi prima che la flottiglia si fosse accorta dell'inganno.

Già si era impegnato in mezzo ai banchi, manovrando fra di essi con meravigliosa sicurezza, quando si udí a gridare:

— Fuoco di bordata!...

Cinque colpi di cannone rintronarono, formando quasi una sola detonazione. Un uragano di mitraglia spazzò il ponte del veliero rasandolo come un pontone, mentre un obice fracassava parte della poppa.

I malesi ed i meticci della piccola banda, sbarazzatisi delle vele che erano cadute in coperta assieme agli alberi, ai pennoni ed alle manovre, scaricarono le spingarde ed i fucili, facendo però piú fracasso che danno.

Il padewakan affondava rapidamente, ma ormai era nel canale, entro cui le cannoniere non potevano seguirlo, specialmente con quell'oscurità.

— In acqua il canotto!... — gridò Hang-Kai.

Una piccola barca che stava in coperta fu subito calata. Hang-Tu, Romero e Than-Kiú e quattro uomini che erano stati feriti da quella pioggia di mitraglia vi balzarono dentro, arrancando verso terra, mentre tutti gli altri si gettavano a nuoto.

Una cannoniera che si era spinta fino all'entrata del canale, vedendo il piccolo veliero galleggiare ancora, le tirò contro un'ultima palla, una granata, la quale scoppiando diede fuoco alla cassa delle munizioni.

Il povero padewakan, già sdrucito e mezzo affondato, volò in pezzi con un lungo rimbombo, lanciando i suoi rottami fino sui banchi piú vicini, poi il suo scafo mutilato, scomparve sotto le acque.

— Ancora un istante di ritardo e saltavamo in aria anche noi, — disse Hang-Tu, che arrancava con lena disperata.

La costa non era che a pochi passi ed alcuni insorti, attirati da quegli spari e dallo scoppio erano accorsi sulla spiaggia, credendo che gli spagnuoli fossero sbarcati.

— Chi vive!... — gridarono, puntando le armi verso il canotto.

— Hang-Tu capo delle società segrete e Romero Ruiz capo supremo delle bande della provincia di Cavite, — rispose il chinese con voce tonante.

Le armi furono abbassate e tutti si slanciarono giú dalla spiaggia.

— I capi dell'insurrezione siano i benvenuti, — disse il comandante del drappello, aiutandoli a sbarcare. — I difensori di Malabon saranno orgogliosi di riceverli.


Note

  1. Mettersi attraverso il vento per fermarsi o rallentare la marcia. (N.d.A.)