Le stragi delle Filippine/Capitolo XXVII - Il bombardamento di Malabon

Capitolo XXVII - Il bombardamento di Malabon

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Capitolo XXVII - Il bombardamento di Malabon
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Capitolo XXVII


IL BOMBARDAMENTO DI MALABON


Malabon, al pari di Salitran, di S. Nicola, di Noveleta, di Rosario, di Binacayan e di altre ancora, non era che una semplice borgata di ben poca importanza come popolazione: ma la sua vicinanza a Manilla e la sua posizione le avevano dato un grande valore per gl'insorti, i quali fino dal principio della sommossa l'avevano fortemente occupata e trincerata. Essendo essa situata su di un canale interno, comunicante contemporaneamente colla capitale e con Bulacan, una cittadella importante tenuta dagli insorti, poteva quindi minacciare la prima e ricevere aiuti dalla seconda.

Fino allora, quantunque le bande che la occupavano costituissero un vero pericolo per Manilla che si trovava a cosí breve distanza, le truppe spagnuole non avevano osato attaccarla essendo essa costruita all'estremità d'un'isola che la metteva al sicuro d'una sorpresa, ma aveva già subíto non pochi bombardamenti da parte delle cannoniere, le quali erano riuscite ad isolarla, facendo occupare le rive del canale interno da una parte degli equipaggi.

Si sapeva però che alcune colonne spagnuole si erano accampate al di là del canale, aspettando il momento propizio per assalirla ed espugnarla con forze poderose, mentre altre cercavano di tagliarle le comunicazioni con Bulacan, sotto la direzione del generale Jaramillo, il quale si era già impadronito di uno dei principali campi degl'insorti uccidendo oltre trecento difensori e fugando tutti gli altri colla perdita d'armi e cavalli.

La notizia dello sbarco di Hang-Tu e di Romero era stata accolta con viva soddisfazione da tutte le bande di Malabon, le quali già cominciavano a dubitare della loro impresa, dopo gli ultimi disastri subiti dagl'insorti della provincia di Cavite e la vicinanza delle truppe spagnuole. La presenza dei due valorosi capi dell'insurrezione, faceva loro sperare giorni migliori ed una resistenza accanitissima. Hang ed il meticcio, dal canto loro, si erano subito messi alacremente all'opera, comprendendo che l'attacco delle truppe spagnuole, combinato coll'azione della squadra, non si sarebbe fatto molto attendere.

Mentre il primo si era incaricato di riorganizzare le bande, l'altro si era occupato delle opere di difesa per mettere la piazza in grado di resistere vittoriosamente al bombardamento della flotta.

Il tre soli giorni, la loro straordinaria attività aveva già dato insperati risultati, rendendo Malabon fortissima.

Mentre avevano fatto occupare i migliori punti del canale per mantenerlo libero, onde non avere interrotte le comunicazioni con Manilla e specialmente col comitato dell'insurrezione e colle società segrete dalle quali potevano sperare aiuti di uomini, d'armi e di munizioni, avevano fatto costruire dalla parte del mare imponenti trincee, armandole con tutti i pezzi d'artiglieria disponibili, per far fronte agli attacchi della flottiglia.

Quelle misure di difesa erano state prese in buon punto poiché il 28 marzo le cannoniere, dopo alcuni giorni di tregua, avevano ripreso vigorosamente il bombardamento, lanciando i loro obici contro le case della borgata.

Hang e Romero non si erano per questo mostrati inquieti, ma avevano accettata la tremenda lotta con grande serenità e calma, risoluti a farsi seppellire sotto le rovine della borgata piuttosto che arrendersi.

Da mattina a sera sulle trincee, là dove le bombe e le palle cadevano piú fitte, dirigevano intrepidamente il fuoco dei pochi pezzi che la piazza possedeva; e alla notte riparavano i danni prodotti dalle granate, rinforzando dovunque le difese.

Le case della borgata, sotto l'incessante fuoco della flottiglia cadevano in rovina, ma che importava? Le trincee resistevano e se venivano distrutte, si rialzavano piú robuste di prima e questo bastava.

Quel bombardamento d'altronde non impediva che gl'insorti continuassero a mantenere relazioni coi comitati segreti della capitale. Quasi ogni notte audaci corrieri inviati dalle società segrete, deludendo la vigilanza degli spagnuoli, che occupavano le sponde opposte del canale, giungevano, recando notizie della guerra.

Cosí avevano appreso che dovunque le piazze assediate resistevano, che Cavite e Noveleta si difendevano sempre disperatamente, che Bacoor si reggeva ancora, che Rosario aveva tenuto testa al nemico, e quelle notizie mantenevano alto il morale delle bande. Avevano però saputo che a Monte Haany gl'insorti erano stati battuti con gravi perdite e che piú di tremila famiglie e novecento combattenti avevano abbandonato la causa della libertà, ma la loro fiducia nel buon esito della lotta finale non era stata scossa.

Il 31 marzo però, una grave notizia era giunta al campo di Malabon e cioè che gli spagnuoli stavano preparando pel 2 aprile un attacco generale contro Cavite, Rosario e Malabon, per scoraggiare e avvilire le bande con una strepitosa vittoria.

Hang-Tu e Romero si eran ben guardati dal comunicare ai capi delle bande quelle nuove; ma avevano prese tutte le misure necessarie per resistere esattamente agli sforzi della flotta, la sola pel momento che poteva agire contro Malabon.

Già avevano osservato che altre cannoniere e barche a vapore armate d'artiglieria l'avevano raggiunta e che insieme si disponevano a forzare l'entrata del canale per potere, all'occorrenza, sbarcare gli equipaggi.

Il 1° aprile un comunicato del comitato segreto, portato da un messaggiero, aveva dato l'annuncio che Cavite e Rosario, strette dalla parte del mare e da terra, si trovavano agli estremi e che a Noveleta si combatteva disperatamente, con poca speranza di vincere.

L'indomani la flotta riprendeva con novella furia il bombardamento di Malabon. Le granate e le palle cadevano fitte sulla borgata, malgrado gli sforzi degli assediati per ridurre in silenzio i cannoni delle navi.

Le trincee franavano nei fossati costringendo i difensori a ritirarsi continuamente, abbandonando talvolta qualche pezzo d'artiglieria; le case diroccavano con immenso fracasso accumulando rottami su rottami; il campanile della chiesa cadeva pezzo a pezzo. Gli scoppi delle bombe echeggiavano dappertutto, provocando frequenti incendi che venivano spenti con grandi fatiche e gravi pericoli.

Romero, Hang-Tu e perfino Than-Kiú, la quale, malgrado le preghiere dei due capi non aveva voluto ritirarsi in un boschetto vicino, dove già si erano rifugiate le bande di riserva, non abbandonavano un solo istante le trincee, incoraggiando colla presenza ed il loro sangue freddo i difensori.

A mezzodí, quando piú furioso diventava il bombardamento, anche sulla opposta sponda del canale, si udí a tuonare il cannone. Gli spagnuoli, dopo d'aver occupato Obando e Calocan fugando i pochi insorti che vi avevano trovati, si erano avanzati verso il canale per prendere parte alla lotta e prestare valido aiuto alle loro cannoniere. Piazzata una batteria fra i canneti, si preparavano a prendere alle spalle i difensori di Malabon.

Udendo gli spari rombare da quella parte, Romero si era affrettato a raggiungere Hang-Tu.

— Stiamo per venire schiacciati, — gli disse. — Non credevo che gli spagnuoli fossero cosí vicini.

— Lo vedo, — rispose Hang. — Per Malabon temo che sia presto finita.

— Finita no, poiché le nostre bande sono ancora intatte ed in grado di battersi vittoriosamente, ma domani la borgata sarà distrutta.

— Che cosa consigli di fare?...

— Pensare di ridurre al silenzio la batteria.

— Ma non abbiamo alcun cannone dalla parte del canale.

— Farai imboscare alcune bande nei canneti e aprirai un nutrito fuoco di moschetteria sugli spagnuoli. Se si accorgono che da quel lato siamo deboli, potrebbero decidersi ad attraversare il canale.

— E non si può piú contare su alcun soccorso, — disse Hang, che era diventato assai pensieroso.

— Siamo ormai isolati, — rispose Romero. — Alcuni insorti mi hanno detto che poco fa si udiva tuonare il cannone verso Bulacan. Forse il generale Jaramillo a quest'ora attacca la città.

— Cosí avremo tutte le vie tagliate.

— Forse, ma non disperiamo ancora, Hang. I nostri uomini si battono bene. Va' ed affrettati.

Mentre il chinese andava a scegliere alcune bande per controbattere il fuoco delle schiere di terra, la flotta continuava il bombardamento, distruggendo la seconda linea di trincee, demolendo nuove case e danneggiando gravemente i pochi pezzi d'artiglieria degl'insorti.

Quella grandine di obici durò tutta la giornata con accanimento senza pari e non cessò che un'ora dopo il tramonto, quando ormai la metà dei cannoni degli insorti erano ridotti inservibili e mezza borgata era distrutta.

Nemmeno la batteria del canale era stata ridotta in silenzio, malgrado gli sforzi di Hang-Tu e dei suoi uomini.

Romero, temendo che i marinai della flotta approfittassero delle tenebre per scendere sulla spiaggia e tentare un attacco notturno, aveva fatto chiamare tutte le bande della riserva, disponendole fra i rottami delle trincee, poi aveva dato l'ordine di rialzare nuovi terrapieni, prevedendo per l'indomani un nuovo e piú disastroso bombardamento.

Prese tutte quelle misure, si era incamminato attraverso la borgata per consigliarsi con Hang-Tu, che credeva si trovasse ancora sulle rive del canale assieme a Than-Kiú, quando presso l'angolo d'una casa già in parte diroccata dagli obici della flotta, si vide tagliare la via da un uomo che pareva lo attendesse.

Credendo che fosse qualche spia spagnuola introdottasi nascostamente nella borgata, aveva estratta rapidamente una rivoltella, ma vide subito trattarsi d'un tagalo.

— Cosa vuoi? — gli chiese, vedendo che l'indigeno non si ritirava per lasciargli il passo.

Il tagalo girò all'intorno un rapido sguardo, come per essere certo che non vi fosse alcuno nei dintorni, poi disse:

— Vi attendevo, signor Ruiz.

— Sei forse un messaggero del comitato dell'insurrezione? — chiese Romero.

— No, ma vengo da Manilla. Sono sbarcato un'ora fa, sfuggendo alla sorveglianza degli spagnuoli.

— Da Manilla, — mormorò Romero, soffocando un sospiro. — E chi ti manda?...

— Una donna.

— Chi?...

Invece di rispondere, il tagalo sciolse un nodo della sua camicia e porse al meticcio stupito una piccola conchiglia, entro la quale stava celato un biglietto.

Romero, in preda ad una viva agitazione, si era ritirato sotto l'arco di una porta ed acceso uno zolfanello, aveva spiegato rapidamente il biglietto. Conteneva poche parole, scritte con una calligrafia elegante e che il meticcio ben conosceva, ma d'una gravità terribile:

«Noveleta, Rosario e Cavite sono cadute e tu sei accerchiato. L'insurrezione non ha piú bisogno di te ora. Fuggi prima che ti prendano e pensa sempre a chi ti vuol bene».

Romero aveva gettato un grido:

— Teresita!...

Poi al grido del cuore, aveva tenuto dietro un grido di dolore. — Vinta l'insurrezione! — aveva esclamato. — Cavite perduta!... Ecco che suona l'ultima ora per la libertà!... — Poi aveva tentato di lanciarsi attraverso la via per correre da Hang, ma il tagalo lo aveva arrestato, dicendogli:

— Parto questa notte istessa e domani rivedrò la persona che qui mi ha mandato. Che cosa devo dirle?...

Romero si era fermato.

— Ritorni da lei? — chiese, con voce angosciata. — Povera Teresita, pensa sempre a me, quantunque io mi batta contro i suoi fratelli e forse... non la rivedrò piú mai. Triste destino!...

— Ebbene? — chiese il tagalo. — I momenti sono preziosi e se tardo a ripartire, non potrei piú ritornare a Manilla.

— Le dirai che io penso sempre a lei e che Romero morrà col suo nome fra le labbra.

— Volete rimanere qui?...

— È necessario, — rispose Romero, sospirando. — Qui forse cadranno domani gli ultimi difensori della libertà e morrò anch'io con loro.

— Fuggite con me, signore. La mia barca fila come una freccia ed io vi condurrò a Manilla senza che gli spagnuoli se ne accorgano.

— Il capo dell'insurrezione non può abbandonare i suoi uomini, quando questi stanno per morire.

— Ma la mia padrona vi ama.

— Ed anch'io l'amo, ma Romero Ruiz non può diventare un vile.

— Allora addio, signor Ruiz.

— Una parola ancora.

— Parlate.

— Si sa adunque a Manilla che io difendo Malabon?

— Gli spagnuoli, o meglio il maggiore mio padrone, lo aveva saputo, ecco perché sono mandato qui.

— È a Manilla il maggiore?

— Sí, signor Ruiz.

— Addio. Dirai a Teresita che il mio cuore appartiene a lei e il mio corpo all'insurrezione.

Poi si allontanò rapidamente come se volesse nascondere la sua commozione e si recò sulle rive del canale, dove Hang-Tu stava facendo costruire alcune trincee pei suoi tiragliatori.

Il chinese, vedendo Romero, gli era mosso incontro.

— Buone nuove? — gli chiese.

— Tristi, — rispose Romero. — La bandiera della libertà è stata abbattuta e forse non ondeggerà piú mai sulle Filippine.

— Che cosa intendi di dire? — chiese Hang, impallidendo.

— Che il baluardo della libertà è stato preso...

— Cavite!...

— Ed anche Noveleta e Rosario.

— E noi adunque?...

— A noi non resta che morire.

— Sí, — disse Hang, con voce cupa. — Morire, ma sul sangue degli spagnuoli.

L'indomani, dopo due ore di bombardamento, malgrado la estrema difesa degl'insorti, Malabon veniva ridotta in cenere e le bande ricacciate nell'interno dell'isola, mentre il generale Jaramillo assaliva gl'insorti di Bulacan costringendoli a fuggire colla perdita di centocinquanta uomini.