Le stragi delle Filippine/Capitolo XXII - Fra il fuoco e l'acqua

Capitolo XXII - Fra il fuoco e l'acqua

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Capitolo XXII - Fra il fuoco e l'acqua
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Capitolo XXII


FRA IL FUOCO E L'ACQUA


Il grosso della colonna era giunto disordinatamente sulla riva dello Zapatè, credendosi assalito anche alle spalle e sui fianchi, ma nessun cavaliere aveva ancora osato slanciarsi in acqua, poiché le lance di alcuni tagali non avevano trovato fondo.

Il fiume, ingrossato da qualche recente acquazzone, correva rapido, frangendosi furiosamente contro i due argini e da quella parte non offriva alcun guado. Vi era quindi il pericolo, con tanti cavalli e con il pànico che aveva cominciato ad invadere le due bande, che il passaggio terminasse in una catastrofe.

Hang-Tu con uno sguardo aveva compresa la gravità della situazione, ma aveva pure capito che non vi era da esitare. O passare rapidamente il fiume, o farsi sterminare dai soldati spagnuoli che già accorrevano con forze imponenti da tutti gli accampamenti.

L'avanguardia, riparata dietro l'argine, si difendeva vigorosamente con scariche micidiali, ma non avrebbe potuto resistere a lungo all'irrompere della brigata.

— In acqua!... — gridò Hang-Tu.

In quel momento si rammentò di Romero e di Than-Kiú e s'arrestò, gettando uno sguardo angoscioso sui cavalieri che s'affollavano confusamente sulla riva.

— Romero!... — gridò.

— Eccomi! — rispose una voce.

Il meticcio stava per raggiungerlo, aprendosi impetuosamente il passo fra le bande. Udendo i primi spari, si era gettato dalla barella, malgrado le preghiere di Than-Kiú e dei meticci incaricati di vegliare su di lui, e fattosi condurre un cavallo lo aveva montato.

Aveva pur lui compreso la estrema gravità della situazione e da vero capo, non badando ai dolori causati dalla ferita, accorreva in prima fila per organizzare la difesa e guidare le bande attraverso il fiume. Than-Kiú lo aveva seguito coi quattro meticci.

Vedendosi di già sulla riva, Hang-Tu aveva respirato liberamente.

— Puoi reggerti, Romero?... — chiese.

— Sí, — rispose il meticcio.

— Than-Kiú, lascia il tuo cavallo e sali dietro di me.

— L'acqua non mi fa paura, Hang, — rispose la fanciulla.

— Ma la corrente è rapida. Sali e aggrappati a me. Il mio cavallo è vigoroso.

Than-Kiú obbedí.

— In acqua!... — gridarono i due capi.

Spronarono i cavalli e si slanciarono arditamente nel fiume. I loro uomini, incoraggiati nell'esempio e spaventati dall'accorrere degli spagnuoli, i quali avevano già aperto il fuoco, li seguirono confusamente. Quelli che erano rimasti senza cavalli erano balzati in groppa a quelli dei loro compagni o si erano attaccati alle code.

La corrente, che era rapidissima, trascinava uomini ed animali, minacciando d'inghiottire gli uni e gli altri. Per maggior disgrazia l'avanguardia, oppressa dal numero, aveva abbandonato l'argine balzando pure in acqua, sicché gli spagnuoli, giunti sulla riva, sparavano sui cavalieri della retroguardia, spargendo il terrore e la morte.

Hang-Tu e Romero, in testa a tutti, con furiose speronate cercavano di mantenere a galla i cavalli e di guidarli verso alcuni banchi di sabbia che si vedevano emergere nel mezzo del fiume, mentre Than-Kiú, pur tenendosi stretta al chinese, colla sinistra faceva fuoco contro gli spagnuoli, bruciando tutte le cariche della sua rivoltella.

Dietro di loro si dibattevano i chinesi ed i tagali, urlando come indemoniati. Presi da un pànico ormai irrefrenabile, si urtavano confusamente per essere i primi a giungere sull'opposta riva, imbarazzando le mosse dei poveri animali, i quali non si mantenevano a galla che con sforzi disperati.

Di quando in quando alcuni cavalieri e cavalli, colpiti dalle palle del nemico, scomparivano, trascinati dalla corrente, andavano ad urtare, violentemente contro gli altri, causando nuove disgrazie.

Le grida dei fuggiaschi, le urla dei feriti, i nitriti dei cavalli, gli spari ed i muggiti delle acque, formavano un baccano assordante tale da impedire ad Hang-Tu e Romero di dare qualsiasi ordine, per evitare che quella precipitosa ritirata si convertisse in un completo disastro. Invano urlavano ai loro uomini di tenersi lontani gli uni dagli altri, per non imbarazzare le mosse dei cavalli e raccomandavano la calma; la loro voce veniva coperta da quel fracasso assordante.

Le linee erano state rotte. Alcuni cavalli, impotenti a resistere all'impeto della corrente, erano stati trascinati lontano e si vedevano dibattersi a tre, quattro e perfino cinquecento metri dal luogo ove si erano tuffati; altri invece, erano stati respinti verso la riva ed i loro cavalieri erano caduti sotto il fuoco del nemico od erano stati fatti prigionieri.

Intanto Hang-Tu, Romero e dieci o dodici altri che non li avevano abbandonati, erano giunti sui primi banchi e là si erano arrestati in attesa dei compagni. Vedendo che gli spagnuoli non cessavano il fuoco e che continuavano ad ingrossare, si nascosero dietro ai cavalli e cominciarono a sparare.

I cavalieri che giungevano a due o tre alla volta, li imitavano per rendere meno disastrosa la ritirata degli altri che si trovavano ancora nelle acque profonde.

Le palle s'incrociavano sopra il fiume con strani miagolii. Cadevano uomini d'ambo le parti, Ma soprattutto insorti, le cui bande si assottigliavano rapidamente, mentre le compagnie nemiche ingrossavano sempre.

Dei duecento insorti, che erano entrati nel fiume, ne rimanevano centocinquanta; gli altri erano stati inghiottiti dalle acque ed i loro cadaveri, unitamente a quelli dei cavalli, si vedevano arenati presso i banchi o lungo le rive.

Hang e Romero, frettolosi di salvare i rimanenti e di sottrarli a quelle scariche micidiali, appena videro approdare gli ultimi cavalieri, comandarono nuovamente la ritirata.

Ormai la riva era vicina, e dietro gli alberi che la coprivano potevano trovare un ottimo rifugio.

Attraversarono rapidamente i banchi sempre sotto il fuoco che faceva grandi vuoti fra le fila degl'insorti, e si cacciarono in mezzo agli alberi, dove sostarono per attendere i compagni che avevano approdato due o trecento metri piú lontano.

— Presto, presto! — gridava Hang, — o avremo addosso anche le truppe che hanno guadato il fiume prima di noi.

Gl'insorti giungevano alla spicciolata, alcuni ancora a cavallo, altri a piedi e quello che era peggio, senz'armi, avendo dovuto abbandonarle per salvarsi a nuoto.

Quando Hang-Tu se li vide tutti intorno, ordinò ai cavalieri di prendersi in sella i compagni che avevano perduto i loro animali e diede il comando della partenza, sperando di poter giungere a S. Nicola prima che il generale Lachambre ordinasse l'attacco.

La borgata tenuta dagl'insorti non era lontana e con una rapida galoppata si poteva raggiungerla in meno di tre quarti d'ora.

Tutta la colonna si era lanciata al galoppo, inoltrandosi in una vallata in mezzo alla quale scorreva un piccolo affluente dello Zapatè, procurando di tenersi nascosta in mezzo agli alberi che coprivano il fondo ed i due pendii.

Dalla parte del fiume le detonazioni erano cessate, ma piú oltre, verso S. Nicola, si udivano squillare le trombe degli spagnuoli. Pareva che il generale si preparasse ad assalire.

— Speri di giungere in tempo? — chiese Romero, che cavalcava a fianco di Hang. — Conduciamo con noi rinforzi già stremati dalla lotta e dalla fatica e inoltre avviliti.

— Faremo quanto potremo. La presenza nostra può incoraggiare gli insorti ad una disperata resistenza. Quello che temo, è di trovare la via tagliata.

— Cercheremo di girare le posizioni spagnuole. Forse S. Nicola non è ancora stata circondata.

— Speriamo, Romero. E la tua ferita?...

— È già un po' cicatrizzata. Fra tre o quattro giorni tutto sarà finito.

— Non ti producono dolori le scosse del cavallo?

— Sí, ma sono sopportabili.

In quell'istante, verso il fondo della valle, si udirono a squillare delle trombe, mentre piú in alto si udivano muggire le conche di guerra delle bande insorte.

Hang-Tu, con una violenta strappata, aveva fermato il cavallo, guardando con inquietudine verso l'estremità della valletta.

— Che gli spagnuoli si muovano? — chiese.

— Lo credo, — rispose Romero, che si era pure arrestato. — Questi squilli comandano l'apertura del fuoco.

Aveva appena cessato di parlare che si udirono rimbombare in alto, con immenso fragore, due cannonate, poi subito dopo una terza dalla parte di Zapatè.

— Giungeremo troppo tardi!... — esclamò Hang, con rabbia.

— O non vi potremo nemmeno giungere, colle poche forze di cui disponiamo, — disse Romero.

— Perché?...

— Guarda lassú. Non vedi le schiere spagnuole avanzarsi attraverso i boschi, in masse considerevoli?... Tutta la prima brigata del generale Lachambre muove all'attacco e forse la seconda ha già guadato il fiume e si avanza per tagliare la ritirata agl'insorti.

— Non importa, Romero; caricheremo a fondo e passerà chi potrà.

Poi rizzandosi sulle staffe e snudando la catana, urlò:

— Avanti chi non teme la morte!...

La colonna si era slanciata al galoppo addentrandosi nella stretta valle, la quale terminava in un'aspra salita che doveva sboccare nei pressi di S. Nicola. Cercavano di affrettarsi, ma la natura del suolo, il quale era ingombro di macigni enormi, di gruppi di alberi e di cespugli, la costringeva di frequente a rompersi o a rallentare. Alcuni cavalieri, sia che possedessero cattivi animali o che si sentissero poco tentati di appressarsi alle forti colonne spagnuole, cominciavano a rimanere indietro per poi dileguarsi al momento opportuno.

Intanto verso S. Nicola l'attacco era cominciato con grande vigore e con molto slancio da parte delle due brigate del generale Lachambre, il vincitore di Salitran.

Il cannone rombava incessantemente e la moschetteria crepitava dovunque. Al di sopra degli alberi si vedevano alzarsi nubi di fumo bianco, mentre al di sotto si udivano le trombe a squillare la carica e i soldati a gridare.

— Viva il Re!... Viva la Reggente!...

Pareva che le bande insorte, trincerate nel borgo, si difendessero disperatamente, poiché anche lassú il fuoco di moschetteria si manteneva vivissimo, quantunque alcune case incendiate da qualche granata, ardessero come zolfanelli.

Romero e Hang nondimeno s'avanzavano sempre, benché si fossero accorti che la loro colonna andava assottigliandosi rapidamente. Sperava ancora di giungere inosservati alle spalle delle truppe spagnuole, di aprirsi il passo con una carica furiosa e di entrare al galoppo in S. Nicola.

Il loro piano doveva però in breve fallire. Alcuni spagnuoli che salivano pure la valletta attraverso i boschi, accortisi della presenza di quel gruppo di cavalieri, avevano dato l'allarme e, presa posizione in mezzo ad alcune rupi, avevano cominciato a far fuoco.

Hang-Tu e Romero, visto che i loro uomini esitavano a spingersi innanzi, si gettarono nei boschi di fronte per sottrarsi a quelle scariche, ma s'avvidero ben presto che anche da quel lato correvano il pericolo di venire, se non distrutti, almeno decimati.

Altri soldati che occupavano le alture della valletta, avevano pure aperto il fuoco ed avendo veduto che non riuscivano a danneggiarli, avevano cominciato a rotolare attraverso gli alberi macigni enormi, i quali scendevano con grande fracasso, balzando e rimbalzando e schiantando, nella loro corsa, non poche piante.

Alcuni chinesi e tagali, spaventati, avevano abbandonata la partita battendo precipitosamente in ritirata.

— Hang, — disse Romero, — stiamo per venire schiacciati entro questa valle.

— Ma lassú si combatte ancora, — rispose il chinese.

— Ma credi tu...

La frase gli fu troncata da una serie di spaventevoli detonazioni, che rombavano dalla parte di S. Nicola. Erano scoppiate delle mine od era saltato il deposito delle munizioni degli insorti?...

Hang-Tu stava per ridiscendere verso la valle, quando si udirono a echeggiare, verso l'estremità, delle grida confuse ma che parevano emesse da centinaia di persone, seguite subito da un terribile fuoco di moschetteria.

Romero e tutta la colonna si erano slanciati dietro al chinese e videro scendere nella valle, a precipizio, parecchie centinaia d'uomini mescolati, in una orribile confusione a numerosi gruppi di cavalli lanciati al galoppo.

Bastò loro un solo sguardo per comprendere di che cosa si trattava. Erano le bande insorte di S. Nicola che fuggivano all'impazzata, incalzate vigorosamente dalla prima brigata del generale Lachambre, la quale doveva avere già superate e conquistate le trincee.

Quell'onda di fuggiaschi, in pochi istanti, giunse addosso alla colonna. Era composta di meticci, di tagali, di chinesi, di malesi, di uomini e di donne, ma tutti invasi da un pànico irrefrenabile. Hang-Tu e Romero si erano slanciati in mezzo agli insorti per arrestarli, ma la loro voce non si udiva piú fra quell'urlío formidabile e gli spari che rimbombavano nella stretta valle, destando tutti gli echi.

— Fermatevi!... — tuonavano. — Volgete la fronte al nemico!... Noi siamo i capi dell'insurrezione!...

Nessuno badava a loro. Tutti fuggivano, gareggiando di velocità, gettando le armi e le munizioni per essere piú leggeri, urtandosi, spingendosi e calpestando coloro che cadevano. I cavalli che si trovavano in mezzo a loro, in gran parte privi dei loro cavalieri, accrescevano la confusione ed il numero delle vittime.

Le bande passarono come un fiume impetuoso dinanzi alla colonna e si dileguarono in mezzo ai boschi, lasciandosi dietro una lunga fila di morti e di moribondi orribilmente calpestati. Una gran parte dei tagali e dei chinesi, anzi i piú, che si trovavano con Hang e con Romero, invasi pure da quel pànico, li avevano seguiti, malgrado le grida e le minacce dei capi.

Era finita. Le truppe spagnuole, ancora una volta vittoriose, avevano abbattuta la bandiera della libertà che ondeggiava sulle trincee di S. Nicola, ed erano rimaste assolute padrone del campo.

L'insurrezione era stata domata sulle rive dello Zapatè, senza speranza che potesse risorgere.

Hang-Tu e Romero, vedendo che ormai tutto era perduto e che ogni resistenza sarebbe stata vana, si erano pure ripiegati verso l'uscita della valletta, per rivarcare il fiume prima che le brigate del valoroso ed audace generale tagliassero la ritirata.

La loro colonna era quasi del tutto sfumata. Attorno a loro non erano rimasti che sei meticci, tre tagali, un chinese e la valorosa Than-Kiú.

Percorsero al galoppo la valletta, salutati da parecchie scariche che gettarono a terra un meticcio ed un tagalo e si diressero frettolosamente verso il fiume, sperando colà di trovare alcune bande di fuggiaschi, ma rimasero delusi.

I difensori di S. Nicola, invece di attraversare lo Zapatè per tentare di guadagnare Cavite, la sola località ove ancora si combatteva con fortuna da parte degl'insorti, si erano dispersi fra le foreste e le montagne. Cercare di raggiungerli per riordinare la resistenza, non vi era neppure da pensare. Sarebbero state necessarie parecchie settimane ed in quel frattempo le vittoriose bande spagnuole avrebbero avuto il tempo per batterle e ribatterle.

— Non vi è nulla da tentare qui, — disse Romero ad Hang-Tu. — Lo Zapatè e Pamplona sono perduti per sempre.

— Lo temo, — rispose il chinese, con un sospiro. — Hang-Tu legge talvolta nell'avvenire.

— E lo ha veduto fosco?

— Sí, Romero.

— L'insurrezione però non è ancora spenta, Hang. Cavite, Bulacan, Bacoor, Malabon, Rosario, Noveleta e Santa Cruz sono ancora in mano dei patriotti e resistono sempre.

— Ma le truppe della vecchia Spagna — rispose Hang, — sono agguerrite e valorose, Romero. Anch'io, al principio dell'insurrezione aveva una grande fiducia nelle nostre bande, ma lo vedi in che modo esse combattono? Contiamo troppe sconfitte e ben poche vittorie. Orsú: in acqua o gli spagnuoli ci piomberanno ancora alle spalle. Al di là del fiume non avremo piú da temere, ora che anche la seconda brigata si trova a S. Nicola.

Spinsero i cavalli nel fiume ed avendo trovato un guado, raggiunsero felicemente la riva opposta, tagliando l'impetuosa corrente quasi in linea retta.

Hang-Tu, volendo frapporre fra la sua minuscola banda e le truppe spagnuole una distanza considerevole, tale da non poter venire sorpresa, quantunque fossero tutti stanchi, continuò la marcia gettandosi verso le montagne che formano la vallata del fiume.

Voleva raggiungere un posto elevato e affatto deserto per concedere alcuni giorni di riposo a Romero, prima di tentare la pericolosa e lunga marcia verso Cavite.

Nel pomeriggio, avendo trovato un luogo adatto per accampare, dava il segnale della fermata.