Le stragi della China/5. Il mandarino prigioniero

5. Il mandarino prigioniero

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5.

Il mandarino prigioniero


Mentre i banditi si ripiegavano disordinatamente per non venire investiti dal fuoco, il quale si propagava con incredibile rapidità, distruggendo una dietro l’altra le case della borgata, una piccola truppa d’uomini s’avanzava a passo di corsa attraverso gli argini delle risaie.

Era composta di sette europei, vestiti di tela bianca e armati di fucili perfezionati e d’una diecina di cinesi, per lo più giovani, con ampi cappelli di paglia di riso sui quali si vedeva segnata in rosso una piccola croce.

Dinanzi al drappello marciava un uomo molto tarchiato e muscoloso, col viso assai abbronzato, gli occhi nerissimi, ed il mento ombreggiato da un pizzo.

Teneva in mano una tromba e suonava a pieni polmoni, cavando certe note da credere che quell’istrumento costituisse da solo una vera fanfara.

Precedeva il drappello a passi rapidi, balzando agilmente attraverso gli innumerevoli canaletti delle risaie, distanziando sempre più i suoi compagni, i quali di quando in quando erano costretti a prendere la corsa per non rimanere troppo indietro.

— Signor Muscardo, adagio — dicevano i suoi compagni. — Noi non siamo bersaglieri! Quarant’anni non vi pesano adunque sulle spalle?

— Avanti — rispondeva l’uomo tarchiato, staccando per un momento la tromba dalle labbra. — Avanti, alla carica! I boxers ci sono vicini!

Dei colpi di fucile rimbombavano in distanza, in direzione di Ming, annunciando al drappello l’attacco dei banditi.

A quegli spari che toccavano il cuore del comandante del drappello, succedeva di quando in quando un breve silenzio, per poi risuonare più nutriti.

— Signor Muscardo! — gridò ad un tratto uno di quelli che lo seguivano. — Vedo alzarsi delle fiamme in direzione di Ming!

Il condottiero aveva lasciata cadere la tromba per mandare un grido di furore.

— Canaglie! — esclamò. — Hanno incendiato il villaggio! Presto o bruceranno mio fratello e mio figlio!

Tutti si slanciarono a corsa sfrenata, preparando le armi. Le fiamme ormai si alzavano altissime e illuminavano la cima della torre. In mezzo allo scrosciare della moschetteria si udivano le urla feroci dei banditi e gli spari della spingarda.

I diciotto uomini, quantunque avessero già percorse parecchie miglia, divoravano la via come se avessero le ali ai piedi.

Correvano attraverso gli argini, balzavano sopra i canali, si tuffavano nelle acque limacciose delle risaie, superando tutti gli ostacoli.

Il signor Muscardo aveva ripreso la tromba e suonava disperatamente una carica furiosa per avvertire gli abitanti del villaggio che i soccorsi stavano per giungere.

— Eccoli! — gridarono gli europei.

I banditi, udendo quelle note squillanti, avevano compreso che dei nuovi nemici stavano per giungere.

Per non essere presi fra due fuochi, avevano superata rapidamente la cinta per far fronte a quel nuovo pericolo.

Vedendo che si trattava d’un piccolo drappello, si erano scagliati fra le risaie, con la speranza di mandarlo a rotoli con un solo urto.

Il signor Muscardo aveva interrotta la sua carica. Guadagnò lestamente una specie d’isolotto che si estendeva in mezzo ad una risaia, gridando ai suoi uomini:

— Formate il quadrato! Fuoco!

I banditi arrivano a gruppi, senza ordine, agitando forsennatamente le armi ed urlando a pieni polmoni per spaventare quel pugno d’uomini.

Avevano però da fare con gente solida e poco impressionabile. Non s’erano ancora rovesciati sulle risaie che già una scarica violentissima era partita dall’isolotto, gettandone a terra dieci o dodici.

Il drappello si era messo in ginocchio per offrire minor bersaglio e per mirare meglio, e continuava le sue scariche con rapidità prodigiosa, spargendo la morte fra le fitte file degli assalitori.

— Ancora un paio di scariche e poi all’attacco! — gridò il signor Muscardo, vedendo che il nemico cominciava a retrocedere confusamente. — Mostriamo a questi ladroni come sanno combattere gl’italiani.

Fatte le due scariche, i diciotto uomini si slanciarono nella risaia, caricando risolutamente il nemico.

I boxers, già assai malmenati dai fucili a tiro rapido di quella piccola colonna, non attesero l’urto.

Volsero coraggiosamente le spalle e si diedero a fuga precipitosa, sbandandosi in tutte le direzioni.

Il signor Muscardo stava per slanciarsi sulle loro orme per meglio completare la rotta di quei feroci predoni, quando vide qualche cosa agitarsi fra l’acqua fangosa della risaia.

— Vi è qualcuno che cerca di nascondersi — disse piombando addosso al bandito.

L’afferrò con la sinistra e lo strappò, senza sforzo apparente, dall’acqua, gettandolo ruvidamente sull’argine.

— Oh! — esclamò stupito. — Un bandito nella pelle d’un mandarino!

— Non sono un boxer — disse lo sconosciuto.

— Allora mi dirai che cosa facevi con quei birbanti.

— Ero loro prigioniero.

— Se quanto mi narrate è vero, sono ben lieto di avervi strappato dalle loro mani.

— Sono veramente un mandarino.

— Venite con noi.

— Non lo posso: ho una gamba rotta.

— Vi farò portare.

— Lasciatemi qui per ora e correte a salvare il missionario. La chiesa è in fiamme!

— I boxers possono tornare e trucidarvi.

— Son già fuggiti tutti.

— Non mi fido e vi condurremo con noi — disse il signor Muscardo.

Chiamò due cinesi e indicando loro il mandarino, disse:

— Incaricatevi di quest’uomo e portatelo alla missione.

Quindi si slanciò in direzione del villaggio, mentre i suoi compagni continuavano l’inseguimento sparando su quanti banditi si trovavano a tiro o che accennavano a opporre qualche resistenza.

Di tutte le case non rimanevano che pochi pali fumanti ed ammassi di tizzoni ancora ardenti, che, di quando in quando, ravvivati dal vento notturno, lanciavano in aria nuvoli di scintille.

La casa, la chiesa e la torre invece ardevano, diroccando pezzo a pezzo. Le vampe avevano dato fuoco alla palizzata e questa aveva comunicato l’incendio alla piccola cittadella, divorando le verande, le terrazze, i tetti, le pareti e distendendosi fino agli ultimi piani della torre.

Se gli europei ed i loro ausiliari avessero tardato ancora pochi minuti, la sarebbe stata finita pei difensori.

Padre Giorgio, Enrico, Sheng ed i loro compagni avevano però avuto il tempo di salvarsi, portando con loro le armi e parte delle munizioni e ritirandosi dall’altra parte della cinta.

Quando il signor Muscardo giunse, ansante, trafelato, presso la palizzata, padre Giorgio ed i suoi compagni stavano varcandola, servendosi d’una scala a mano.

— Fratello! — gridò il signor Muscardo slanciandosi verso il missionario. — Enrico, figlio mio!

— Roberto! — aveva esclamato padre Giorgio, precipitandosi fra le braccia dell’ex bersagliere. — Ah! Quale orrenda disgrazia! Tutti gli abitanti sono stati trucidati!

— Me l’ero immaginato — disse il brav’uomo, soffocando un sospiro. — Noi però le abbiamo date a quei banditi e spero si ricorderanno della lezione.

Il giovane Enrico in due sbalzi fu tra le braccia del padre.

— Non ho tremato, sai — disse. — Io non ho paura dei boxers.

— So che tu sei valoroso, figlio mio.

— Come te, padre.

— E Sheng?

— Eccomi, padrone — rispose il cinese.

— Tutti salvi, voi?

— Sì, ringraziando Iddio, — disse padre Giorgio, — ma quale strage, fratello! Ed io ero nell’impossibilità di accorrere in loro aiuto! Se l’avessi tentato, non avrei nemmeno salvato questi pochi uomini, né il tuo Enrico.

— E non è solamente qui che i boxers hanno commesso orrende barbarie. Durante la mia corsa verso il sud ho raccolto pessime notizie.

— Altre stragi, Roberto?

— Pechino è minacciata, Tien-tsin si dice sia in fiamme e nelle provincie centrali i cristiani cinesi, i missionari, le monache e gli europei vengono trucidati barbaramente.

— E le navi dei governi europei, cosa fanno?

— Mi è stato detto che hanno bombardato Taku e che hanno sbarcato truppe.

— Anche italiane?

— Sì, anche i nostri sono sbarcati, e si dice che marciano su Tien-tsin in compagnia degli inglesi, degli americani, dei russi e dei francesi.

— È adunque una ribellione gigantesca che si è scatenata sulla Cina?

— Sì, fratello, e non si sa come andrà a finire.

— Ed i tuoi uomini, dove li hai trovati? — chiese il missionario.

— Si erano radunati nella piccola stazione di Kiau essendo stati uccisi i loro ingegneri — rispose Roberto. — Ormai si ritenevano perduti, quando io giunsi a portare a loro la notizia che i boxers operavano nei dintorni di Pechino e che non vi era pericolo ad abbandonare il loro rifugio.

— E cosa faremo ora, fratello?

— Non ci resta che di fuggire scendendo il Canale Imperiale.

— Lo potremo noi?

— I cristiani mi hanno promesso di procurarci una giunca colla quale forse raggiungeremo il Mar Giallo.

— Sarà libera la via? — chiese padre Giorgio, con ansietà.

— Ecco quello che io ignoro. Si dice che i ribelli abbiano occupato la riva del canale; però ho fiducia che noi sapremo ingannarli.

— Dove ci aspetta la giunca?

— Alla foce del Weilo, in una palude che comunica col Canale Imperiale.

— Chi la comanda?

— Un nostro conoscente.

— Ed i boxers ci lasceranno tranquilli?

— Quelli che hanno assalito il villaggio?

— Sì, fratello.

— Credo che non ardiranno più inseguirci. Ne abbiamo uccisi più di venti.

— Bravo, padre! — gridò Enrico. — E ne uccideremo ancora molti se verranno nuovamente ad assalirci.

— Non li aspetteremo qui, figlio mio — disse l’ex bersagliere. — Partiremo subito perché i boxers non tornino in più grosso numero.

Poi, guardandolo con orgoglio, disse:

— Tu sei un coraggioso, Enrico. Non avrei mai creduto che alla tua età potessi combattere come un uomo.

— Un vero valoroso, fratello — disse padre Giorgio. — Comandava come un capitano e incoraggiava tutti.

— Ho fatto quello che ho potuto — rispose il giovane, mentre un vivo rossore gli imporporava le gote. — Non ho voluto essere da meno di mio padre.

— Mi credi un eroe — disse Roberto, sorridendo.

In quel mentre i due cinesi, ai quali il signor Muscardo aveva affidato l’uomo che aveva tratto dalle acque delle risaie, giungevano presso la cinta. Vedendoli portare a braccia quell’uomo grondante di acqua e di fango, padre Giorgio impallidì.

— Un ferito! — esclamò. — Forse uno dei tuoi operai?

— No, fratello — rispose l’ex bersagliere. — È un povero diavolo che era stato fatto prigioniero dei banditi e che io ho avuto la fortuna di salvare mentre affogava. Pare che abbia una gamba rotta.

— Allora bisogna curarlo subito; quel meschino deve soffrire immensamente.

Il missionario aveva fatto alcuni passi innanzi per vedere di che si trattava, quando tutto d’un tratto vide il supposto prigioniero balzare rapidamente a terra, respingere violentemente i due cinesi che lo portavano e darsi ad una fuga così precipitosa, da far credere che le sue gambe fossero tutt’altro che spezzate.

L’ex bersagliere ed Enrico avevano mandato un grido di stupore.

— Fugge!

— Ah! Briccone! Ha le gambe di lepre! Cosa vuol dire ciò?

Roberto si era subito slanciato dietro al fuggiasco, gridando:

— Fermati o faccio fuoco! Altro che gambe rotte!... Addosso, Enrico! Deve essere un boxer!

Il prigioniero correva come un daino cercando di raggiungere la risaia. Aveva alzata la sottana di seta onde non lo impacciasse e balzava ora a destra ed ora a sinistra, per impedire che lo pigliassero di mira.

L’ex bersagliere, Enrico ed i due cinesi si erano slanciati sulle sue orme. Avevano ormai compreso che quel briccone aveva le gambe perfettamente sane e che la storiella era stata inventata per ingannare la loro buona fede.

Roberto non era stato per nulla bersagliere. In quattro salti fu addosso al fuggiasco, afferrandolo per la lunga coda.

— Mio caro, hai fatto male i tuoi conti — gli disse. — Ora li rifarai assieme a me.

Il fuggiasco si era voltato rapidamente, tenendo in pugno un oggetto che l’ex bersagliere subito non distinse.

— Prendi! — gridò il bandito.

Un lampo ruppe le tenebre, seguìto da uno sparo. Roberto, con una mossa improvvisa, aveva evitato le palle, poi aveva afferrato il braccio del miserabile stringendolo e torcendolo così violentemente, da fargli cadere l’arma che impugnava.

— A me delle rivoltellate! — gridò. — Bandito!

— Lasciami o ti uccido! — urlò il fuggiasco, tentando di riprendere l’arma.

Enrico, che era giunto, fu pronto a raccogliere la rivoltella.

— Sei ferito, padre? — chiese con voce strozzata per l’emozione.

— Non mi lascio mai cogliere di sorpresa, ragazzo mio — rispose l’ex bersagliere.

— Ed il cinese diceva d’avere una gamba rotta!

— Gliela romperò io davvero! Sta’ fermo, canaglia, o ti strappo la coda!

Il prigioniero, trattenuto dalle mani poderose dell’ex bersagliere, ruggiva di rabbia come una bestia feroce presa al laccio e gettava occhiate furibonde ora sul giovane ed ora su Roberto.

— Lasciatemi, — disse, — o vi farò uccidere tutti! Io sono un uomo potente alla corte imperiale!

— Me ne infischio della tua potenza e anche della tua imperatrice — disse l’ex bersagliere. — Lascia un po’ che ti guardi in viso.

L’aveva appena osservato, quando un grido gli sfuggì:

— Io conosco quest’uomo! Tu sei il mandarino Ping-Ciao!

— Sì, sono io, il mandarino Ping-Ciao, consigliere dell’impero — disse il bandito audacemente.

— Fratello!

— Roberto — rispose il missionario che giungeva assieme a Sheng e ad alcuni cinesi.

— Il tuo nemico l’abbiamo preso.

— Chi?

— Ping-Ciao!

Il missionario aveva mandato un grido di doloroso stupore.

— Il padre di Wang! — aveva esclamato.

— Sì, il padre di quel Wang che tu hai indotto ad abbandonare la sua famiglia per farsi cristiano — disse il mandarino, stridendo i denti.

— T’inganni, Ping-Ciao — rispose il missionario con voce solenne. — Tuo figlio ha abbracciata la nostra religione spontaneamente ed ha lasciato la sua casa di propria volontà.

— Tu mi hai rapito il figlio! — urlò il mandarino, tentando di sfuggire alla stretta dell’ex bersagliere per slanciarsi addosso al missionario.

— Tu mentisci, Ping-Ciao.

— E ne hai fatto una sottana nera.

— No, Ping-Ciao. Tuo figlio è diventato cristiano, ma è ancora soldato.

— Gli hai insegnato a tradire la sua patria, cane d’un europeo.

— Basta! — tuonò l’ex bersagliere, scuotendolo ruvidamente. — E che! Credi tu che noi cristiani siamo canaglie della tua specie? Guarda cos’hai fatto, miserabile! Tutta questa rovina è opera tua!

— E non ho ancora finito — urlò il mandarino. — I boxers sono miei alleati e ve li scaglierò addosso perché sterminino anche voi!

— Non ti sono bastate tante vittime innocenti, Ping-Ciao? — disse il missionario. — Guarda quanti ne rimangono d’una popolazione che ancora poche ore or sono era viva al pari di te. Non ti senti rimordere la coscienza? Che cosa ti avevano fatto questi disgraziati che ora dormono il sonno eterno sotto le macerie del loro villaggio? E parli ancora d’altre stragi!

— È la tua vita che io voglio! — gridò il mandarino. — Ping-Ciao non perdona!

— Se colla mia morte cessassero le stragi io ti direi: eccola, prendila — disse il missionario. — Ma né tu né i ribelli si accontenterebbero.

— No, perché noi continueremo le nostre stragi finché vi sarà sul nostro suolo un solo europeo ed un solo cristiano.

— Tu però non vedrai morire né l’ultimo europeo né l’ultimo cristiano, canaglia — disse l’ex bersagliere. — Io ti farò appiccare alle palizzate di questo villaggio che tu hai distrutto.

— Appiccare me? Un mandarino, un consigliere dell’impero?

— Fossi anche consigliere del diavolo, non ti risparmierei. Ohe, amici, prendete quest’uomo e mettetegli al collo una solida fune.

Gli europei, che erano già tornati dall’inseguimento, avevano già afferrato il mandarino, quando padre Giorgio, con un gesto li arrestò.

— No — disse. — Noi non abbiamo il diritto di giudicare quest’uomo, né di diventare i suoi carnefici. Lasciamogli il tempo di pentirsi della sua esecranda opera.

— Vorresti lasciarlo andare? — chiese l’ex bersagliere.

— È il padre di Wang, Roberto.

— Se Wang è un bravo giovane, questo è un fior di birbaccione che merita cento volte la morte.

— Non lordiamo le nostre mani col suo sangue.

— Lo appicco, fratello, e gli appiccati non lordano di sangue a nessuno.

— Cosa direbbe Wang di noi, se venisse a sapere che noi gli abbiamo ucciso il padre? I cristiani devono perdonare.

— Io invece lo manderei tanto volentieri all’altro mondo! Ecco un uomo che ci darà ancora dei grossi fastidi, te lo assicuro.

— Dio ci guarderà.

Il missionario s’avvicinò al mandarino e gli sciolse la corda che un europeo gli aveva messa al collo; poi, ponendogli le mani sulle spalle, gli disse:

— Ping-Ciao, tu meriteresti la morte; che le vittime che giacciono intorno a te, ti perdonino. Va’, tu sei libero.

Il mandarino guardò per alcuni istanti il missionario, con due occhi foschi, quindi volse bruscamente le spalle e s’allontanò in direzione del Canale Imperiale, scomparendo fra le risaie.

— Fratello — disse l’ex bersagliere con accento di rimprovero, — io credo che tu abbia fatto male a lasciarlo andare.

— La generosità doma sovente i malvagi.

— Io invece ti dico che quel birbaccione ci procurerà delle noie. Appena avrà raggiunti i boxers ce li scaglierà dietro.

— Confidiamo in Dio, Roberto.

— E nei nostri fucili — disse l’ex bersagliere, crollando il capo. — Partiamo, compagni: qui non siamo più sicuri.