Le rime di M. Francesco Petrarca/Canzone XVIII
Questo testo è incompleto. |
◄ | Canzone XVII | Canzone XIX | ► |
CANZONE XVIII.
E l’ingegno paventa a l’alta impresa;
Nè di lui, nè di lei molto mi fido,
Ma spero che sia intesa
5Là dov’io bramo, e là dov’esser deve,
La doglia mia, la qual tacendo i’ grido;
Occhi leggiadri, dov’Amor fa nido,
A voi rivolgo il mio debile stile
Pigro da sè, ma ’l gran piacer lo sprona:
10E chi di voi ragiona
Tien dal suggetto un’abito gentile;
Che con l’ale amorose
Levando, il parte d’ogni pensier vile:
Con queste alzato vengo a dir or cose
15Ch’ho portate nel cor gran tempo ascose.
Non perch’io non m’aveggia
Quanto mia laude è ingiuriosa a voi:
Ma contrastar non posso al gran desio;
Lo quale è in me da poi
20Ch’i’ vidi quel che pensier non pareggia;
Non che l’agguagli altrui parlar, o mio.
Principio del mio dolce stato rio,
Altri che voi, so ben, che non m’intende.
Quando a gli ardenti rai neve divegno;
25Vostro gentile sdegno
Forse ch’allor mia indegnitate offende.
O, se questa temenza
Non temprasse l’arsura che m’incende;
Beato venir men! chè ’n lor presenza
30M’è più caro il morir che ’l viver senza.
Dunque ch’i’ non mi sfaccia,
Sì frale oggetto a sì possente foco;
Non è proprio valor che me ne scampi;
Ma la paura un poco,
35Che ’l sangue vago per le vene agghiaccia;
Risalda ’l cor, perchè più tempo avvampi.
O poggi, o valli, o fiumi, o selve, o campi,
O testimon’ della mia grave vita,
Quante volte m’udiste chiamar Morte?
40Ahi dolorosa sorte!
Lo star mi strugge, e ’l fuggir non m’aita.
Ma; se maggior paura
Non m’affrenasse; via corta, e spedita
Trarrebbe a fin questa apra pena, e dura;
45E la colpa è di tal, che non ha cura.
Dolor, perchè mi meni
Fuor di cammin' a dir quel ch’i’ non voglio?
Sostien' ch’io vada ove ’l piacer mi spigne.
Già di voi non mi doglio,
50Occhi sopra ’l mortal corso sereni,
Nè di lui ch’a tal nodo mi distrigne.
Vedete ben quanti color’ depigne
Amor sovente in mezzo del mio volto;
E potrete pensar, qual dentro fammi,
55Là ’ve dì, e notte stammi
Adosso, col poder ch’a in voi raccolto,
Luci beate, e liete;
Se non che ’l veder voi stesse v’è tolto:
Ma quante volte a me vi rivolgete,
60Conoscete in altrui quel che voi siete.
S’a voi fosse sì nota
La divina incredibile bellezza
Di ch’io ragiono, come a chi la mira;
Misurata allegrezza
65Non avria ’l cor: però forse è remota
Dal vigor natural che v’apre, e gira.
Felice l’alma che per voi sospira,
Lumi del ciel, per li quali io ringrazio
La vita che per altro non m’è a grado!
70Oimè, perchè sì rado
Mi date quel dond’io mai non son sazio?
Perchè non più sovente
Mirate, qual'Amor di me fa strazio?
E perchè mi spogliate immantenente
75Del ben, ch’ad ora ad or l’anima sente?
Dico, ch’ad ora ad ora,
(Vostra mercede) i’ sento in mezzo l’alma
Una dolcezza inusitata, e nova,
La qual ogni altra salma
80Di noiosi pensier disgombra allora,
Sì, che di mille un sol vi si ritrova:
Quel tanto a me, non più, del viver giova:
E se questo mio ben durasse alquanto,
Nullo stato agguagliarse al mio porrebbe:
85Ma forse altrui farebbe
Invido, e me superbo l’onor tanto:
Però, lasso, conviensi
Che l’estremo del riso assaglia il pianto:
E ’nterrompendo quelli spirti accensi,
90A me ritorni, e di me stesso pensi.
L’amoroso pensero
Ch’alberga dentro, in voi mi si discopre
Tal, che mi trae del cor ogni altra gioia:
Onde parole, ed opre
95Escon di me sì fatte allor, ch’i’ spero
Farmi immortal, perchè la carne moia.
Fugge al vostro apparire angoscia, e noia;
E nel vostro partir tornano insieme:
Ma perchè la memoria innamorata
100Chiude lor poi l’entrata;
Di là non vanno dalle parti estreme:
Onde s’alcun bel frutto
Nasce di me; da voi vien prima il seme:
Io per me son quasi un terreno asciutto
105Colto da voi, e ’l pregio è vostro in tutto.
Canzon, tu non m’acqueti, anzi m’infiammi
A dir di quel ch’a me stesso m’invola:
Però sia certa de non esser sola.