Le rime di M. Francesco Petrarca/Canzone XIX
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CANZONE XIX.
Nel mover de’ vostr’occhi un dolce lume,
Che mi mostra la via ch’al ciel conduce;
E per lungo costume,
5Dentro là dove sol con Amor seggio,
Quasi visibilmente il cor traluce.
Quest’è la vista ch’a ben far m’induce,
E che mi scorge al glorioso fine:
Questa sola dal vulgo m’allontana:
10Nè giammai lingua umana
Contar poria quel che le due divine
Luci sentir mi fanno:
E quando ’l verno sparge le pruine,
Et quando poi ringiovenisce l’anno,
15Qual’era al tempo del mio primo affanno
Io penso: se lassuso,
Onde ’l Motor eterno delle stelle
Degnò mostrar del suo lavoro in terra,
Son l’altr’opre sì belle;
20Aprasi la prigion’ ov’io son chiuso,
Et che ’l camino a tal vita mi serra.
Poi mi rivolgo alla mia usata guerra,
Ringraziando Natura, e ’l dì ch’io nacqui;
Che reservato m’hanno a tanto bene,
25E lei ch’a tanta spene
Alzò il mio cor; chè ’nsin allor’io giacqui
A me noioso, e grave:
Da quel dì innanzi a me medesmo piacqui,
Empiendo d’un pensier alto, e soave
30Quel core ond’hanno i begli occhi la chiave.
Nè mai stato gioioso
Amor, o la volubile Fortuna
Dieder' à chi più fur nel mondo amici;
Ch'i' nol cangiassi ad una
35Rivolta d'occhi: ond'ogni mio riposo
Vien, com'ogni arbor vien da sue radici.
Vaghe faville, angeliche, beatrici
Della mia vita, ove 'l piacer s'accende
Che dolcemente mi consuma, e strugge;
40Come sparisce, e fugge
Ogni altro lume dove'l vostro splende,
Così dello mio core,
Quando tanta dolcezza in lui discende,
Ogni altra cosa, ogni penser va fore;
45E sol'ivi con voi rimansi Amore.
Quanta dolcezza unquanco
Fu in cor d'aventurosi amanti; accolta
Tutta in un loco, a quel ch'i' sento, è nulla;
Quando voi alcuna volta
50Soavemente tra 'l bel nero, e 'l bianco
Volgete il lume in cui Amor si trastulla:
E credo, dalle fasce, e dalla culla
Al mio imperfetto, alla fortuna avversa
Questo rimedio provvedesse il cielo.
55Torto mi face il velo,
E la man, che sì spesso s'attraversa
Fra 'l mio sommo diletto
E gli occhi; onde dì, e notte si rinversa
Il gran desio, per isfogar il petto,
60Che forma tien dal variato aspetto.
Perch'io veggio (e mi spiace)
Che natural mia dote a me non vale,
Nè mi fa degno d'un sì caro sguardo;
Sforzomi d'esser tale,
65Qual'all'alta speranza si conface,
Ed al foco gentil ond'io tutto ardo.
S'al ben veloce, ed al contrario tardo,
Dispregiator di quanto 'l mondo brama,
Per sollicito studio posso farme:
70Porrebbe forse aitarme
Nel benigno giudicio una tal fama.
Certo il fin de' miei pianti;
Che non altronde il cor doglioso chiama;
Vien da' begli occhi alfin dolce tremanti,
75Ultima speme de' cortesi amanti.
Canzon, l'una sorella è poco inanzi;
E l'altra sento in quel medesmo albergo
Apparechiarsi: ond'io più carta vergo.