Le rime di M. Francesco Petrarca/Canzone XLI
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CANZONE XLI.
Come par che tu mostri, un’altra prova
Meravigliosa et nova,
Per domar me, conventi vincer pria:
5Il mio amato tesoro in terra trova,
Che m’è nascosto, ond’io son sì mendico,
E ’l cor saggio pudico,
Ove suol’albergar la vita mia:
Et s’egli è ver che tua potentia sia
10Nel ciel sì grande, come si ragiona,
E nell’abisso: (perchè qui fra noi
Quel che tu vali, e puoi,
Credo che ’l senta ogni gentil persona)
Ritoglia a Morte quel ch’ella n’à tolto;
15Et ripon le tue insegne nel bel volto.
Riponi entro ’l bel viso il vivo lume
Ch’era mia scorta; e la soave fiamma
Ch’anchor, lasso, m’infiamma
Essendo spenta; or che fea dunque ardendo?
20E’ non si vide mai cervo, nè damma
Con tal desio cercar fonte, nè fiume;
Qual’io il dolce costume
Ond’ho già molto amaro; et più n’attendo;
Se ben me stesso, e mia vaghezza intendo:
25Che mi fa vaneggiar sol del pensero,
E gir in parte ove la strada manca;
E con la mente stanca
Cosa seguir che mai giugner non spero.
Or’al tuo richiamar venir non degno:
30Che signoria non hai fuor del tuo regno.
Fammi sentir de quell’aura gentile
Di fuor, siccome dentro ancor si sente;
La qual’era possente
Cantando d’acquetar gli sdegni e l’ire;
35Di serenar la tempestosa mente,
E sgombra d’ogni nebbia oscura, e vile,
Ed alzava ’l mio stile
Sovra di sè, dov’or non poria gire.
Agguaglia la speranza col desire;
40E poi che l’alma è in sua ragion più forte;
Rendi agli occhi, a gli orecchi il proprio obbietto;
Senza ’l qual’, imperfetto
È lor’oprar’, e ’l mio viver’è morte.
Indarno or sopra me tua forza adopre;
45Mentre ’l mio primo amor terra ricopre.
Fa ch’io riveggia il bel guardo ch’un Sole
Fu sopra ’l ghiaccio, ond’io solea gir carco.
Fa’ ch’io ti trovi al varco;
Onde senza tornar passò ’l mio core.
50Prendi i dorati strali, e prendi l’arco;
E facciamisi udir, sì come sole,
Col suon de le parole
Nelle quali io ’mparai, che cosa è amore.
Movi la lingua ov’erano a tutt’ore
55Disposti gli ami ov’io fui preso, e l’esca
Ch’i’ bramo sempre: e i tuoi lacci nascondi
Fra i capei crespi, e biondi:
Che ’l mio voler altrove non s’invesca.
Spargi con le tue man le chiome al vento:
60Ivi mi lega; e puomi far contento.
Dal laccio d’or non fia mai chi mi scioglia
Negletto ad arte, e ’nnanellato ed irto;
Nè dell’ardente spirto
Della sua vista dolcemente acerba;
65La qual dì, e notte, più che lauro, o mirto,
Tenea in me verde l’amorosa voglia;
Quando si veste, e spoglia
Di fronde il bosco, e la campagna d’erba.
Ma poi che Morte è stata sì superba,
70Che spezzò ’l nodo ond’io temea scampare;
Nè trovar puoi, quantunque gira il mondo,
Di che ordischi ’l secondo,
Che giova, Amor, tuo’ ingegni ritentare?
Passata è la stagion: perduto hai l’arme
75Di ch’io tremava omai che puoi tu farme?
L’arme tue furon gli occhi, onde l’accese
Saette uscivan d’invisibil foco,
E ragion temean poco;
Che contra ’l ciel non val difesa umana;
80Il pensar’, e ’l tacer’; il riso, e ’l gioco;
L’abito onesto, e ’l ragionar cortese;
Le parole che ’ntese
Avrian fatto gentil d’alma villana;
L’angelica sembianza, umile, e piana,
85Ch’or quinci, or quindi udia tanto lodarsi;
E ’l sedere, e lo star, che spesso altrui
Poser’in dubbio, a cui
Devesse il pregio di più laude darsi.
Con quest’arme vincevi ogni cor duro:
90Or se tu disarmato; i’ son securo.
Gli animi ch’al tuo regno il cielo inchina,
Leghi ora in uno, ed or’in altro modo;
Ma me sol’ad un nodo
Legar potei; chè ’l ciel di più non volse.
95Quell’uno è rotto; e ’n libertà non godo:
Ma piango, e grido: Ahi nobil pellegrina,
Qual sentenza divina
Me legò inanzi, e te prima disciolse?
Dio, che sì tosto al mondo ti ritolse,
100Nè mostrò tanta, e sì alta virtute
Solo per infiammar nostro desio.
Certo omai non tem’io,
Amor, della tua man nove ferute.
Indarno tendi l’arco: a voto scocchi:
105Sua virtù cadde al chiuder de’ begli occhi.
Morte m’ha sciolto, Amor, d’ogni tua legge;
Quella che fu mia Donna, al Cielo è gita.
Lasciando trista, e libera mia vita.