Le purce in ne l'orecchie

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Giuseppe Gioachino Belli

1835

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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1835

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LE PURCE IN NE L’ORECCHIE¹

     Uhm, pe’ mmé, spósa² mia, ho ggran pavura
Ch’a llui³ je sii successa quarche ccosa.
L’affare nun è llisscio, sora Rosa:
È ttroppo tardi e la nottata è scura.

     A mmé pperò nnun m’abbadate,⁴ spósa:
Fate conto che pparli una cratura.⁵
Dico accusì pperch’io l’ho ppe’ ssicura:
De resto poi nun ziate⁶ tanta ombrosa.

     Io me posso sbajjà vveh, spósa mia:
Mica ggià ssò pprofeta. Ma sta vorta,
Me sta in testa che ffo una profezzia.

     Cos’è cche ddiventate smorta smorta?
Ve séte messa in apprenzione? Eh vvia!
Chi ssa cche llui nun stii ggià ssu la porta.

4 febbraio 1835.

Note

↑ Metter le pulci nelle orecchie, vale: “suscitare in altri apprensioni, o paure, o sospetti, ecc..„
↑ Colla o stretta. [E qui sta per “amica,„ o altro simile.]
↑ Vostro marito.
↑ Non mi badate.
↑ Creatura.
↑ Non siate.

[1] Metter le pulci nelle orecchie, vale: “suscitare in altri apprensioni, o paure, o sospetti, ecc..„

[2] Colla o stretta. [E qui sta per “amica,„ o altro simile.]

[3] Vostro marito.

[4] Non mi badate.

[5] Creatura.

[6] Non siate.

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