Le poesie religiose (1895)/Febbrajo

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Mors et Vita Elena
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FEBBRAJO





Sempre che con tepor primaverile
     Scota il vario febbrajo i sonnolenti
     Arbori, e desti su’ deserti rami
     Tenero verde e intempestivi fiori,
     5A voi, facili sogni, a voi, speranze
     Lusinghevoli, io penso, onde s’ingemma
     Anzi tempo l’incauta giovinezza,
     Datrice alma d’inganni. Irato a un tratto
     Del concesso governo urla aquilone,
     10Stagna i vividi succhi, abbrucia i novi
     Germogli, i fiori isterilisce, e a volo
     Precipitando dall’etnea montagna,
     Di subito nevischio i campi inalba.
     Guarda il mite cultore, e con un triste
     15Riso scrollando la vellosa testa:

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     Bene, esclama, più ch’altro a te s’addice
     Il morso di rovajo, o impaziente
     Mandorlo, a cui sì tarda la stagione
     Dei fiori; ben a te pronta a dar foglie.
     20O acacia infruttuosa: un’aura dolce
     Basta a sedurvi. Nascerà fra poco
     Zefiro con aprile, e invan tra’ vostri
     Aridi stecchi lene sospirando,
     Chiederà all’uno i saporosi frutti,
     25All’altro i mazzi degli eburnei fiori.
     Ma della vigna, ch’ancor freddi e brevi
     Dal ceppo screpolato alza i potati
     Salci, simili a dita, e ben fu saggia
     Di non destarsi all’aure ingannatrici,
     30Pender vedremo nel pomoso autunno,
     Quali mamme caprine, i pingui grappi,
     Onde il licore dell’oblio si spreme.