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Gaio Valerio Catullo - Poesie (I secolo a.C.)
Traduzione dal latino di Mario Rapisardi (1889)
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Questo Suffeno — che ben hai conosciuto,
     O Varo, è assai — gentil, cortese, arguto:

Ma, oimè, scrive — o per dir meglio, fila
     Versi: a dir poco, — ormai n’ha diecimila

5Su la coscienza. — Nè già come vien viene
     Egli li copia, — oibò; ma in pergamene

Regali, in nuovi — quaderni ei pinge i suoi
     Carmi, li avvolge — in nuove assette; e poi

Nastri vermigli, — busta a piombo tirata,
     10Ed ogni cosa — spomiciata, lisciata.

Li leggi, ed ecco, — questo cortese e gajo
     Suffeno a un tratto — ti si muta in caprajo,

In zappatore, — ti mette proprio orrore:
     Tanto ci corre — dall’uomo allo scrittore.

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15O che ti gira — l’anima! Il più faceto
     Uomo pur ora, — basta che nel salceto

Entri dei versi, — più non si raccapezza,
     Divien più rozzo — della stessa rozzezza.

E dir, che mai — non è così beato
     20Siccome allora — c’ha un poema infilzato!

Allor s’esalta, — allora genuflesso
     Egli si getta — per adorar sè stesso.

Ma chi non piglia — papere? E chi nel seno
     Non tien riposto — un briciol di Suffeno?

25Ogn’uomo all’altro — l’error proprio rinfaccia,
     Nè guarda a tergo — dentro alla sua bisaccia.