Le piacevoli notti (1927)/Notte sesta/Favola quinta
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FAVOLA V.
Pre' Zefiro scongiura un giovane che nel suo giardino mangiava fighi.
Eritrea
Suolsi dire, carissime donne, che la virtú consiste nelle parole, nell’erbe e nelle pietre; ma le pietre avanzano in virtute l’erbe e le parole: sí come per questa mia brevissima favoluzza intenderete.
Era nella città di Bergamo un sacerdote avaro, chiamato pre’ Zefiro, e aveva fama di aver gran danari. Costui aveva un giardino fuori della città presso alla porta che si chiama Penta. Il qual giardino era circondato de mura e fosse, di modo che non vi potevano entrare uomini nè animali, ed era ornato di diversi arbori d’ogni sorte; e tra gli altri vi era un gran figaro con suoi rami sparsi d’intorno, carico di frutti bellissimi e ottimi, di quali soleva participare ogni anno con gentil uomini e primai della città. Erano quei fighi di color misto tra bianco e pavonazzo, e gettavano lagrime come di mele; ed eranvi sempre guardiani, che gli custodivano diligentemente. Una notte, che per caso non vi erano li guardiani, un giovane ascese sopra quest’arbore; e scegliendo i fichi maturi, quelli con silenzio cosí vestiti nella voragine del ventre suo fedelmente nascondeva. Pre’ Zefiro, ricordandosi che non erano guardiani al suo giardino, vi andò volando; e subito che fu entrato dentro, vidde costui che sedeva su l’arbore, mangiando e fighi a suo bell’agio. Onde il sacerdote incominciò pregarlo che descendesse; e non descendendo, egli si gettò in genocchioni, scongiurando per lo cielo, per la terra, per i pianeti, per le stelle, per gli elementi e per tutte le sacre parole che si trovano scritte, che venisse giuso; e il giovane tanto piú attendeva a mangiare. Pre’ Zefiro, vedendo che non faceva profitto alcuno con tai parole, raccolse dell’erbe, ch’erano lí d’intorno, e in virtú di quelle lo scongiurava che descendesse; ed egli piú alto ascendeva, meglio accomodandosi. Allora il prete disse queste parole: — Gli è scritto che nelle parole, nell’erbe e nelle pietre sono le virtú; per le due prime ti ho scongiurato, e non ti hai curato di discendere; ora in virtú di quelle ti scongiuro che debbi venir giuso. — E cosí cominciò a trarli delle pietre con mal animo e gran furore; e ora l’aggiungeva nel braccio, ora nelle gambe e ora nella schiena. Onde per gli spessi colpi tutto enfiato, percosso e malmenato, gli fu forza a discendere; e dandosi il giovane alla fugga, depose i fighi ch’egli s’aveva ragunati in seno. E cosí le pietre avanzero in vertú l’erbe e le parole. —
il fine della sesta notte