Le piacevoli notti (1927)/Notte nona/Favola prima
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FAVOLA I.
Galafro, re di Spagna, per le parole d’un chiromante, che la moglie li farebbe le corna, fabbrica una torre e in quella pone la moglie; la quale da Galeotto, figliuolo di Diego re di Castiglia, rimane aggabbata.
[Diana.]
Sí come, amorose donne, la lealtà, che in una gentil madonna si trova, merita lode per esser sommamente comendata da tutti, cosí per lo contrario la dislealtà che la signoreggia, merita biasmo per esser parimenti vituperata da tutti. La prima distende le sue braccia in ogni parte, e da tutto il mondo è strettamente abbracciata; l’altra ha e piedi deboli e per la sua debolezza non può gir innanzi: onde nel fine rimane da ogn’uno miserabilmente abbandonata. Dovendo adunque io dar cominciamento al favoleggiare di questa notte, mi ho pensato raccontarvi una favola che vi sia di sodisfamento e piacere.
Galafro, potentissimo re della Spagna, fu uomo a’ giorni suoi bellicoso; e per le sue virtú superò molte provincie, e quelle al suo imperio sottomesse. Venuto il re alla senile età, prese per moglie una giovane, Feliciana per nome chiamata: donna veramente leggiadra, cortese e fresca come rosa; e per la sua gentilezza e maniere accorte, era sommamente amata dal re, nè ad altro pensava che compiacerle. Avenne che trovandosi un giorno il re a ragionamento con uno chiromante, il quale per comune fama era peritissimo nell’arte, vuolse che gli guardasse la mano, e dicesse la ventura sua. Il chiromante, inteso il voler del re, prese la sua mano e diligentemente mirò ogni linea che in quella si trovava; e guardato che l’ebbe, s’ammutí e pallido nella faccia divenne. Il re, vedendo il chiromante muto e bianco nel viso divenuto, conobbe apertamente lui aver veduta cosa che non gli aggradiva; e fattogli buon cuore, disse: — Maestro, dite ciò che avete veduto, nè temete; perchè quello che voi direte accetteremo allegramente. — Il chiromante, assicurato dal re di poter liberamente parlare, disse: — Sacra Maestà, molto mi spiace esser qui aggiunto per raccontarle cosa, per cui dolore e noia ne abbia a venire. Ma poscia ch’io sono assicurato da lei, dichiarerolle il tutto. Sappi, o re, che la moglie, che tanto ami, ti porrà due corna in testa; e però fa mestieri che con somma diligenza la custodisci. — Il re, questo intendendo, rimase piú morto che vivo; e data buona licenza al chiromante, imposegli che la cosa secreta tenesse. Or stando il re in questo affannoso pensiero, e considerando dí e notte quello che detto gli aveva il chiromante, e come schiffar puotesse un sí ignominioso scorno, determinò di mettere la moglie in una forte torre, e con diligenza farla servare; e cosí fece.
Era già divolgata d’ogn’intorno la fama, come Galafro re aveva fabricata la rocca, e in quella messa la moglie sotto grandissima custodia; ma non si sapeva la cagione. Questo pervenne all’orecchi di Galeotto, figliuolo di Diego re di Castiglia; il quale, considerata l’angelica bellezza della reina, e l’età del suo marito, e la vita che le faceva tenendola chiusa in una forte torre, deliberò di tentare se gli poteva far una berta; e sí come egli deliberò, cosí la deliberazione riuscí come era il desiderio suo. Imperciò che Galeotto prese gran quantità di danari e molte ricche merci, e in Spagna secretamente se n’andò, e in casa d’una povera vedova tolse due camere a pigione. Avenne che Galafro re una mattina per tempo montò a cavallo, e con tutta la sua corte se n’andò alla caccia, con animo di star fuori piú giorni. Il che avendo persentito Galeotto, si mise in ordine; e vestitosi da mercatante, e prese molte merci d’oro e d’argento, che erano bellissime e valevano uno stato, uscí di casa, e quinci e quindi andava dimostrando le sue merci per la città. Ultimamente pervenuto al luoco della torre, piú volte gridò: — Chi vuol comprar delle mie merci, facesi innanzi! Udendo le damigelle della reina il mercatante sí altamente gridare, si fecero ad una finestra; e videro bellissimi panni d’oro e d’argento in tal maniera ricamati, che era cosa ammirativa a vederli. Le donzelle subito corsero alla reina; e dissero: — Signora, quinci passa un mercatante e ha robbe le piú belle, le piú ricche che vedeste già mai: e quelle sono non da cittadini, ma da re, prencipi e gran signori; e tra le altre vi sono alcune a voi conformi, tutte ingemmate di preziose gioie. — La reina, bramosa di veder cosí belle merci, pregò i guardiani che entrar lo lasciassero; ma elli, temendo di non essere scoperti e malmenati, non volevano consentire, perciò che il comandamento del re era grande e gli andava la vita; pur addolciti dalle affettuose parole della reina e dalle larghe promesse del mercatante, lo lasciorono entrare. Il qual, prima fatta la debita e convenevole riverenza, la salutò; indi mostrolle le nobili sue merci. La reina, che era festevole e baldanzosa, vedendolo bello, piacevole e di natura benigno, incominciò ballestrarlo con la coda dell’occhio e accenderlo del lei amore. Il mercatante, che non dormiva, dimostrava nel volto corresponderle in amore. Vedute che ebbe la reina molte cose, disse: — Maestro, le cose vostre sono bellissime, nè hanno opposizione alcuna; ma tra tutte questa molto mi aggrada. Io volontieri saprei quello l’apprecciate. — Rispose il mercatante: — Signora, non è danaro che sofficiente sia a sodisfamento di lei. Ma quando vi fosse in piacere, io piú presto ve la donerei che venderla: pur ch’io fosse sicuro di ottener la grazia sua, la qual io reputo maggiore che ogni altra robba. — La reina, intesa la magnifica e generosa liberalità, e considerato l’altissimo suo animo, tra se stessa s’imaginò lui non esser persona vile, ma di grandissimo maneggio; e voltatasi a lui, disse: — Maestro, quello che voi dite, non è atto di uomo vile, che è piú delle volte dedito all’ingordo guadagno; ma con effetti dimostrate la magnanimità che nel cor vostro ben disposto regna. Io, quantunque indegna, mi offero a’ piaceri e comandi vostri. — Il mercatante, vedendo la reina ben disposta e la cosa riuscire sí come egli desiderava, disse: — Signora, vera e salda colonna della vita mia, l’angelica bellezza vostra, congiunta con quelle dolci e benigne accoglienze, mi ha sí fortemente legato, che io non spero potermi mai piú da lei dissogliere. Io per voi ardo, nè trovo acqua che estinguer possa sí ardente fuoco in cui mi trovo. Io da lontani paesi sono partito, e non per altro se non per veder la rara e singolar bellezza, la quale ad ogni altra donna vi fa superiore. Se voi, come benigna e cortese, nella grazia vostra mi accetterete, arrete un servo di cui potrete disporre come di voi stessa. — La reina, udite tai parole, stette sopra di sè, e prese ammirazione non picciola che ’l mercatante avesse tanto ardire; ma pur vedendolo bello e leggiadro, e considerando l’ingiuria che le faceva il marito tenendola chiusa nella torre, dispose al tutto seguire il piacer suo. Ma prima che lo contentasse, disse: — Maestro, gran cosa son le forze d’amore: le quali mi hanno ridotta a sí fatto termine, che io sono rimasta piú vostra che mia. Ma poscia che cosí vuol la sorte, ch’io sia in servitú d’altrui, son disposta che la deliberazione seguiti l’effetto: con questa però condizione, ch’io posseda la guadagnata robba. — Il mercatante, veduta l’ingordigia della reina, prese la nobil merce, e quella le diede in dono. La reina, invaghita della cara e preciosa robba, dimostrando di non aver il cuor di pietra nè di diamante, prese il giovane per mano e menollo in un camerino; e affettuosamente s’abbraciarono e basciarono. Il giovane, messala sopra il letto e lui coricatosi appresso, alziòle la camicia ch’era piú che neve bianca; e preso in mano il piviolo, che già dritto era, subito nel solco lo mise, e prese gli ultimi frutti d’amore.
Adempita che ebbe il mercatante la sua voglia, uscí di camera, e chiese alla reina la sua merce in dietro. La reina, questo intendendo, attonita rimase; e da dolore e da vergogna oppressa, cosí disse: — Non conviensi ad uomo magnifico e liberale addimandare in dietro la cosa lealmente donata. Questo fanno i fanciulli, che per la tenella età sono di senno e d’intelletto privi. Ma a voi, uomo savio e accorto, a cui non fa bisogno curatore, io la robba restituir non intendo. — Il giovane, che di tal cosa prendeva trastullo, disse: — Signora, se voi non me la darete, lasciandomi andare alla buon’ora, io mai non mi partirò di qua, sino attanto che ’l re venga: ed egli, giusto e sincero, o la pagherà, o farammela, com’è convenevole, ristituire. La reina, decetta dall’astuto mercatante, temette che il re non sopragiungesse; e contra sua voglia gli rese la robba. Partitosi il mercatante per uscir del castello, i guardiani lo assalirono, e addimandarono la cortesia che promessa gli aveva. Il mercatante non negò averli promesso: ma con patto, s’egli vendeva le sue merci o parte di quelle. — Onde, non avendole nè in tutto nè in parte vendute, non mi tengo esser obligato a darvi cosa alcuna, perciò che con quelle istesse merci, con le quali nella torre entrai, me n’uscisco fuori. I guardiani, accesi d’ira e di furore, non volevano che per maniera alcuna uscisse, se prima non pagava il scotto. Il mercatante, che era piú giotto di loro, disse: — Fratelli, poscia che voi mi vietate l’uscire, tenendomi qui a bada, io me ne starò sino a tanto che ’l re vostro venga: ed egli, magnanimo e giusto signor, determinerà la questione nostra. — I guardiani, che temevano che ’l re non venisse ed ivi il giovane trovasse, e come disubidienti uccider li facesse, apersono la porta, e a suo bel grado lo lasciarono gire.
Uscito il mercatante della torre, e lasciata la reina piú con vergogna che con robba, cominciò ad alta voce gridare: — Io il so, e non lo voglio dire: io il so e non lo voglio dire! — In quel punto Galafro ritornava dalla caccia: e udendo dalla lunga il grido che faceva il mercatante, molto se ne rise; e giunto al palazzo, e andato nella torre dove dimorava la reina, invece di saluto burlando disse: — Madonna, io il so, e non lo voglio dire! — e ciò replicò piú volte. La reina, udendo le parole del re, e pensando che dicesse da dovero e non da burla, si tenne morta; e tutta tremante, prostratasi a terra, disse al re: — O re, sappi ch’io ti ho tradito, e chiedoti perdono del mio gran fallo, nè è morte che io non meriti; ma confisa della tua clemenza, spero di ottener grazia e perdono. — Il re, che non sapeva la cosa, si maravigliò molto; e comandolle che si levasse in piedi, e gli raccontasse il tutto. La reina, smarrita, con tremente voce e con abondantissime lacrime li narrò il caso dal principio alla fine. La qual cosa intesa, disse il re: — Madama, sta di buona voglia, nè ti smarrire; perciò che quello che vuole il cielo, convien che sia. Ed in quell’ora fece spianar la torre, e pose la moglie in libertà: con la quale allegramente visse; e Galeotto, nel fatto d’arme vittorioso, con le sue merci a casa fece ritorno. —