<dc:title> Le piacevoli notti </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Giovanni Francesco Straparola</dc:creator><dc:date>1550-1553</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Straparola - Le piacevoli notti I.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Le_piacevoli_notti/Notte_III&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20191031100200</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Le_piacevoli_notti/Notte_III&oldid=-20191031100200
Le piacevoli notti - Notte III Giovanni Francesco StraparolaStraparola - Le piacevoli notti I.djvu
Già la sorella del sole, potente nel cielo nelle selve e ne gli oscuri abissi, con scema ritondità teneva mezzo il cielo: e già l’occidente orizzonte aveva coperto il carro di Febo, e le erratiche stelle d’ogni parte fiammeggiare si vedevano: e li vaghi augelli, lasciati i soavissimi lor canti ed il tra loro guerreggiare, ne’ suoi cari nidi sopra i verdi rami chetamente si riposavano, quando le donne e parimente i gioveni la terza sera nel luogo usato si raunorono al favoleggiare. Ed essendo tutti secondo i lor ordini postisi a sedere, la signora Lucrezia comandò che il vaso, come prima, portato fusse; e messevi dentro il nome di cinque damigelle, le quali in quella sera, secondo che le fusse dato per sorte, avessero l’una dopo l’altra ordinatamente a favoleggiare. La prima adunque che uscì dal vaso, fu Cateruzza; la seconda, Arianna; la terza, Lauretta; la quarta, Alteria; la quinta, Eritrea. Indi la Signora comandò che ’l Trivigiano il liuto prendesse e ’l Molino la viola, e tutti gli altri carolassino, menando il Bembo la carola. Finito il ballo e posto silenzio alla dolce lira, e chetate le sante corde del concavo liuto, la Signora a Lauretta impose che una canzonetta cantasse. La quale, desiderosa di ubidire e sodisfare alla sua Signora, prese per mano le altre compagne; ed unitesi assieme e fatta la debita riverenza, con chiare e sonore voci cantorono la seguente canzone. [p. 126modifica]
Signor, mentre ch’io miro nel bel viso,
Nel qual mi regge amore,
Nasce da be’ vostri occhi un tal splendore,
Ch’apertamente veggio il paradiso.
Così consenton dopo il desir mio,
Le lagrime, i sospir che ’n vano spargo,
E l’immenso e celato mio martire,
Ch’io corro a quell’estremo ultimo vargo,
Che fa sovente che me stesso oblio,
E fammi l’alma tant’alto salire,
Che ’n voi veggio per sorte
Servata la mia vita e la mia morte.
Dapoi che Lauretta con le compagne dimostrò col tacere la sua canzone esser giunta al fine, la Signora, nel chiaro viso di Cateruzza guardando, disse che alle favole della presente notte desse cominciamento. La quale, arrossita alquanto e poscia sorridendo un poco, cominciò in questa guisa.