Le odi di Orazio/Libro primo/IV
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IV.
Sciogliesi l’acre inverno, torna grato con zefiro aprile,
Spingon gli ordegni le carene asciutte;
Non più di stabbj il gregge, l’arator non più gode del foco,
4Nè candida pruína i prati inalba.
Già Vener Citerea guida i balli, imminente la luna,
E le Grazie venuste una alle Ninfe
Batton con piede alterno il terren, mentre ardente Vulcano
8L’atre officine dei Ciclopi accende.
Ora il nitido capo cinger puossi di verde mortella
O di fiori che il suol molle produce;
Ora è stagion che a Fauno tra l’ombre de’ boschi s’immoli
12O agnella ei chieda o voglia anzi un capretto.
Picchia con egual piede la pallida Morte a’ tuguri
E alle torri de’ re, Sestio beato.
Della vita la breve somma a noi lunga speme contende:
16Già te preme la notte e i favolosi
Mani e la tenue casa di Plutone, ov’entrato, nè i regni
Del vin co’ dadi sortirai, nè il molle
Licida mirerai, ch’or di sè tutti i giovani infiamma
20E le fanciulle scalderà fra poco.